La natura e i suoi spazi: la nostra salute
Anche questa settimana è stata invasa dalle numerose notizie che popolano i giornali e le trasmissioni televisive circa il Corona virus. Tra le battute d’arresto e i picchi che esso ancora insiste a donarci, nel frattempo gli animali rivendicano i loro luoghi di appartenenza, ricomparendo nelle nostre città.
I canali di Venezia pullulano di pesci che nuotano nelle acque trasparenti; i prati dei parchi milanesi sono invasi di nuovo dalle lepri; i delfini, invece, si fanno ammirare di fronte al Castello di Miramare a Trieste e nei porti delle città marittime; mentre daini e cervi circolano indisturbati sui campi da golf nel Nord della Sardegna; infine, i cinghiali, sempre nell’isola, sostano nelle aiuole dei piccoli centri abitati.
Insomma, pare che la natura respiri e in nostra assenza ci spinge a riflettere sul fenomeno, sul cambiamento attuale. Come già scrivevamo la scorsa settimana proprio il virus deriva dalle azioni dell’uomo sull’ecosistema ma anche lo smog non è da meno. Le Pm 2.5 nell’atmosfera aumentano l’infiammazione polmonare. Dall’altro lato uno studio sull’ambiente svoltosi in Cina, risalente al 2003 e dunque sulla Sars da corona virus, ha rilevato un 84% di mortalità più elevato nelle aree con una peggiore qualità dell’aria.
In uno più recente (febbraio 2020 e pubblicato su “Toxicology letters”), lo scienziato cinese Qiang Tan affiancato da altri ricercatori, si è visto che il rapporto particelle inquinanti–aumento IL6 (proteina trascritta nell’uomo dal gene IL6) potrebbe scatenare una sequenza di Dna (successione di lettere che rappresentano la struttura primaria di una molecola di Dna) sulle cellule dei bronchi e quindi collegata all’infiammazione da inquinamento atmosferico. La sequenza di cui si parla però si compone da Rna, non da Dna, come il nuovo virus che sta facendo molte vittime.
A tal proposito la “Società italiana di medicina ambientale – Sima” ritiene che le polveri sottili siano un “vettore per il trasporto e la diffusione del Covid–19“. Ma in nostro soccorso interviene la ricerca scientifica di oggi che punta, infatti, a trovare anticorpi affinché questa e future epidemie siano debellate.
Ricordiamo che il Covid–19, come la Sars, l’Ebola, la Mers, l’influenza aviaria o suina, e l’Hiv, ovvero le malattie infettive trasmesse dagli animali all’uomo, in gergo dette “zoonosi”, è scoppiato proprio dal passaggio animale–essere umano. Il pangolino, specie in estinzione e di cui il commercio non è legale, può essere appunto la causa scatenante dell’attuale virus. L’animaletto in questione è considerato la specie “ospite”, consentendo così il passaggio dal pipistrello a noi ma non tutti concordano su questa ipotesi. Ciò che è certo è che questo è accaduto nei centri urbani.
Non solo: pare che il fattore principale sia la vendita di animali selvatici vivi ed esposti ancora in vita, che poi vengono abbattuti sul momento. Questo determina una dispersione di sangue, favorendo appunto la trasmissione del virus tra le specie.
Dunque, che ci insegna questa esperienza? Che apprendiamo da questo virus che dalla Cina ha viaggiato in tutto il mondo?
Che ognuno dovrebbe vivere i propri spazi senza l’invasione altrui. Lasciare in pace la natura secondo la nostra opinione risulta essere la via migliore. Siamo sicuri però che il dopo Corona virus saremo in grado di vivere in altro modo? Di prenderci cura di noi stessi e soprattutto dell’ambiente che ci ospita?
L’argomento è davvero ampio: tocca e sensibilizza il rapporto ecosistema e uomo. Ma se continuiamo a ridurre le barriere naturali che da sempre custodiscono la biodiversità e svariate specie animali, diamo adito ai virus di espandersi oltre il loro habitat naturale e di conseguenza venire a contatto con l’uomo.
È da qui che dobbiamo ripartire: comprendere e limitare i nostri gesti, trovare il giusto equilibrio tra noi e il territorio sia per la nostra salute sia per non intaccarlo oltre, più di quanto non abbiamo già fatto.