Basato su una storia vera, ‘7 minuti‘ – in scena al teatro Vittoria di Roma fino al 24 marzo, vede undici operaie decidere se rinunciare a metà della loro pausa. Una perdita di poco conto, o qualcosa di più insidioso?
In una fabbrica come tante, la Piccardi&Rossi, undici donne sono scelte come rappresentanti delle trecento lavoratrici. Dieci di loro sono in attesa del ritorno di Bianca, la decana del gruppo, da un incontro con le cravatte che potrebbe mettere a rischio il posto di tutte. Quando l’anziana operaia fa ritorno, tergiversando come se fosse in arrivo qualcosa di terribile, porta invece un annuncio che pare indolore.
Nessun licenziamento, nessun aumento di lavoro: solo la peculiare richiesta per le dipendenti di ridurre di sette minuti la loro pausa da un quarto d’ora. Le rappresentanti sono ben disposte ad accettare la richiesta, così apparentemente umile – ma il terrore di Bianca mentre la annuncia sembra aprire a qualcosa di più buio dietro le quinte, un’insidia dai pianti alti che siglerebbe, una volta per tutte, la loro oppressione di dipendenti. Che fare?
7 minuti: come sale la tensione
La trama di ‘7 minuti’ è ispirata a un evento realmente verificatosi, all’interno di una fabbrica francese. Il contesto italiano – che si evince dal nome della fabbrica e delle protagoniste – aggiorna la situazione, perché sia comprensibile al pubblico, e spesso fin troppo vicina.
Il risultato del sondaggio che deciderà se accettare o rifiutare l’offerta delle cravatte non è importante, e condivide il fulcro dello spettacolo con le storie personali delle operaie, le loro scelte e le loro paure, in un intrico di quadri dolorosi e dolorosamente umani.
Un’ambientazione semplice
Undici personaggi è un numero importante da tenere in scena, ma nello spazio di ‘7 Minuti’, ciascuna operaia è caratterizzata e interpreta a tutto tondo.
Dal duro affetto di Bianca, la più anziana delle undici, verso le colleghe, come lei costrette a soggiacere a un palese e sottile ricatto, alla dolce Zoilée, vittima della xenofobia delle compagne, quando da sé non farebbe male a un fiore. Dalla ribelle Sabina, sempre in conflitto con la madre Odette, fino alla riluttante Loredana, il cui sogno romantico potrebbe essere tranciato sul nascere dalla possibilità di un licenziamento.
La semplicità dell’ambientazione inoltre – una sala riunioni, due tavoli e undici sedie, qualche brocca d’acqua con dei bicchieri – lascia le protagoniste ulteriormente sole con la loro decisione, e il prezzo che pagarla potrebbe portare nelle loro vite lavorative e private.
Brutale realismo verghiano
C’è chi ha voglia di sfidare le cravatte, questi signori supremi mai visti e mai chiamati per nome, per mantenere le piccole briciole di dignità rimaste; e chi piuttosto preferisce cedere per salvarsi, continuare a galleggiare, perché dopotutto cosa sono sette minuti.
Spiccano i monologhi di Agnieszka e Mahtob, accomunati a specchio da un argomento – la paura – che compenetra tutto il corpo di ‘7 minuti‘, anche i dialoghi più aggressivi e le risposte più piccanti.
Nella sua cruda semplicità, la rappresentazione combina un brutale realismo verghiano con uno studio umano e un adattamento prettamente, dolorosamente moderno. Un’esecuzione solida e undici performance impetuose la elevano a piccolo capolavoro.
Maria Flaminia Zacchilli
Foto: Manuela Giusto
7 minuti
Teatro Vittoria
dal 12 al 24 marzo
di Stefano Massini
Regia Claudio Boccaccini
con Viviana Toniolo, Silvia Brogi, Liliana Randi, Chiara Bonome, Chiara David, Francesca Di Meglio, Mariné Galstyan e Ashai Lombardo Arop
Musiche originali Massimiliano Pace
Scene Eleonora Scarponi
Registi assistenti Fabio Orlandi e Andrea Goracci
Tecnico luci e fonica Francesco Bàrbera