Riccardo D’Alessandro
“Offrire aiuto agli altri può essere un atto di guarigione personale e può portare speranza e conforto sia a chi dona sia a chi riceve. In questo modo si trasforma la propria afflizione in una fonte di forza e compassione che può avere un impatto positivo sulla vita di molte persone“
Riccardo D’Alessandro è parte del cast di “La storia di un uomo chiamato Francesco” diretto da Pino Cormani, che ha debuttato lo scorso 3 maggio nella capitale.
Sin da bambino si appassiona al mondo della recitazione e tuttora si muove tra cinema, teatro e televisione, collezionando esperienze sempre arricchenti. La sua ultima avventura, infatti, lo porta a recitare all’interno di una storia che viene trasposta ai giorni nostri: quella di San Francesco d’Assisi.
Interpreta così un personaggio di famiglia agiata vicino alla figura di Francesco dal quale impara e prende esempio, spogliandosi dei suoi averi e accostandosi alla vita semplice e alla natura.
Si può imparare ancora da San Francesco
D’Alessandro di conseguenza ci racconta cosa si porta dietro da questa personificazione, soprattutto ciò che ancora possiamo apprendere dal Santo di Assisi: il senso di un’esistenza genuina, felice, adita al cambiamento, a trattare gli altri con gentilezza e al rispetto della natura e non solo.
Aspetti, questi, che l’attore fa suoi attuandoli quotidianamente attraverso comportamenti consapevoli e che probabilmente ognuno di noi dovrebbe adottare.
Riccardo D’Alessandro inoltra lavora con entusiasmo anche come regista sia in ambito teatrale sia cinematografico, dirigendo vari cortometraggi cinematografici e videoclip musicali.
Riccardo D’Alessandro, venerdì scorso, al teatro San Raffaele di Roma, ha debuttato lo spettacolo diretto da Pino Cormani: “La storia di un uomo chiamato Francesco”. Che emozione ha provato?
“La mia esperienza allo spettacolo ‘La storia di un uomo chiamato Francesco’ al Teatro San Raffaele di Roma è stata estremamente emozionante. Il testo, diretto da Pino Cormani, è intenso ed empatico: racconta in modo coinvolgente l’attualizzazione della storia di San Francesco d’Assisi come il suo significativo cambiamento e rivoluzione. La domanda del regista era: ‘nel 2024 può nascere un nuovo Francesco d’Assisi?’ La risposta è complessa, ma credo che possiamo avvicinarci a tale ideale apprezzando le cose semplici, condividendo emozioni con gli altri e coltivando un’empatia genuina. Questo può contribuire a ridurre il materialismo e a valorizzare la vita in modo più autentico.”
Che personaggio ha interpretato e quanto esso è essenziale ai fini della narrazione?
“Nello spettacolo ho interpretato un avvocato, amico e stretto collaboratore della famiglia di Francesco, un ragazzo di 25 anni. Emergo come uno dei suoi amici immersi nella ricchezza, nell’usanza e nell’agio. Assistendo personalmente al cambiamento di Francesco, inizialmente mi mostro reticente e confuso rispetto a questa rivoluzione ideale. Tuttavia, quando mi rendo conto che Francesco è felice e sento anch’io nel mio cuore la possibilità di cambiamento, decido insieme ad altri amici di seguirlo. Ci spogliamo delle nostre ricchezze e entriamo nella comunità, apprezzando la bellezza della naturalezza. Il mio personaggio quindi rappresenta la transizione da una vita di agiatezze e dovizia a una più genuina e soddisfacente, essenziale per evidenziare il tema della metamorfosi e della ricerca della felicità oltre il materialismo.”
Cosa le è rimasto dentro della figura che ha impersonato?
“Interpretare il ruolo dell’avvocato amico di Francesco mi ha lasciato una profonda riflessione sulla natura del cambiamento e della felicità. Ho interiorizzato il conflitto tra la comodità della ricchezza e l’attrattiva della genuinità. Questa esperienza mi ha fatto comprendere l’importanza di seguire il proprio cuore e di essere aperto all’evoluzione, anche quando può sembrare spaventoso o controcorrente. Inoltre, ho imparato che la vera ricchezza risiede nelle relazioni umane sincere e nel vivere in armonia con se stessi e con gli altri, anziché nel possesso di beni materiali.”
La rappresentazione racconta le vicissitudini del Santo di Assisi trasposte ai giorni nostri. Cosa oggi si può imparare dalla vita di Francesco?
“Dalla vita di Francesco d’Assisi possiamo apprendere molto anche oggi. Prima di tutto, il suo stile di vita ci ricorda che non abbiamo bisogno di troppe cose materiali per essere felici. Ci insegna anche a rispettare la natura e a trattare gli altri con gentilezza, senza fare distinzioni di status o religione. La sua ricerca di una connessione spirituale ci spinge a riflettere su cosa sia davvero importante nella vita. Insomma, ci offre una guida su come vivere in modo più autentico e soddisfacente.”
Il Comunicato Stampa recita che si può vivere di cose semplici e imparare da esse, di essere gentili verso gli altri per combattere l’odio. Attualmente siamo purtroppo presi dalla velocità, siamo incantati dai nostri cellulari che ci distraggono dalla realtà e ci portano da altre parti virtuali, dunque, lei crede sia possibile ristabilire ritmi lenti e dedicarsi di più a noi stessi – curando il proprio spirito – e alle persone che ci circondano?
“Assolutamente sì. È più che possibile ristabilire ritmi più lenti e dedicarci di più a noi stessi e alle persone che ci circondano. Anzi, è essenziale per il nostro benessere individuale e collettivo. Abbassare il ritmo e prendersi il tempo necessario per riflettere, connettersi con se stessi e con gli altri, è fondamentale per coltivare relazioni significative e per nutrire il nostro spirito. Anche se siamo immersi nella tecnologia e nella frenesia della vita moderna, è importante trovare equilibrio e stabilire priorità che includano il benessere mentale, emotivo e spirituale. Ciò potrebbe significare limitare l’uso dei dispositivi e dedicare più tempo alla meditazione, alla contemplazione, alla natura e al dialogo autentico con gli altri.”
Riccardo D’Alessandro, cosa vuol dire essere poveri oggi?
“Essere poveri oggi può assumere molte sfaccettature. Oltre alla povertà economica, che riguarda la mancanza di risorse finanziarie e materiali per soddisfare i bisogni essenziali, c’è anche quella sociale, che comprende l’isolamento, la mancanza di sostegno comune e la discriminazione. Inoltre, c’è la povertà emotiva e spirituale, che riguarda la mancanza di amore, di connessione significativa con gli altri e con se stessi, come la mancanza di un senso di scopo e di significato nella vita. Essere poveri oggi potrebbe anche significare non avere accesso alle risorse educative, sanitarie o culturali necessarie per realizzare il proprio potenziale e vivere una vita soddisfacente.”
Riguardo questo argomento abbiamo intervistato un suo collega Stefano Starna, il quale è stato in scena al Cometa off con “Naufraghi da marciapiede” basandosi sulla figura di Evio Botta, attore e poeta, denominato il “Re dei Barboni”. L’attore ci ha chiarito come secondo lui si può combattere la situazione dei senza tetto e non solo. Lei come percepisce tale circostanza?
“Sì, la situazione dei senza tetto è un grosso problema. La percepisco come qualcosa che richiede molta attenzione e azione immediata. Mi fa sentire molto dispiaciuto e mi spinge infatti a voler fare per aiutare. Penso che tutti dovrebbero avere un posto sicuro dove vivere. Vedere persone senza casa, che vivono per strada, mi motiva a sostenere programmi che offrono aiuto e alloggio a chi ne ha bisogno. Bisogna anche sensibilizzare la gente e combattere il pregiudizio contro i senza tetto, trattandoli con rispetto e dignità. Impegnarsi insieme, dunque, significa trovare soluzioni e assicurare che tutti abbiano un tetto sopra la testa.”
Esiste un modo per convertire la coscienza della gente con l’obiettivo di ribaltare/migliorare l’esistenza degli indigenti?
“Certo, possiamo cambiare la mentalità delle persone per aiutare gli indigenti. L’istruzione e la sensibilizzazione sono importanti: dobbiamo spiegare alle persone cosa significhi essere senza casa e quali sono le cause di questa situazione, ma anche promuovere politiche e programmi che forniscano aiuto concreto ai più poveri, come case accessibili e servizi sanitari. Coinvolgere la comunità e ascoltare le esperienze delle persone interessante è cruciale. Quando tutti si sentono implicati, siamo più vicini a trovare soluzioni che migliorino la vita dei bisognosi.”
A tal proposito, secondo lei, in che modo i giovani possono avvicinarsi a mondi a loro estranei al fine di sensibilizzarsi ed educarsi alle tematiche che riguardano i poveri?
“Ritengo che anche nella propria sofferenza si può trovare la forza e il desiderio di offrire aiuto agli altri. Spesso, le esperienze difficili ci rendono più empatici e sensibili alle sfide altrui. Decidere di offrire sostegno e solidarietà non solo può portare conforto agli altri, ma può anche contribuire a lenire il proprio dolore e a dare un senso alla propria situazione. Offrire aiuto agli altri può essere un atto di guarigione personale e può portare speranza e conforto sia a chi dona sia a chi riceve. In questo modo si trasforma la propria afflizione in una fonte di forza e compassione che può avere un impatto positivo sulla vita di molte persone.”
Che consigli si sente di dare ai giovani di oggi che comunicano tutte le loro paure e frustrazioni, traducendole in violenza e bullismo, nel non percepire un futuro solido?
“Il mio consiglio è quello di seguire le proprie passioni e di investire con sacrificio ed impegno il proprio tempo. Trovare soddisfazione in se stessi, amarsi e essere aperti all’altro, conoscersi ed accettare l’unicità di ogni persona sicuramente può aiutare ad eliminare violenza e bullismo.”
Da attore di teatro lei opera anche in ambito cinematografico e televisivo: quale ambiente predilige?
“Amo questo lavoro a 360 gradi. Da attore preferisco il teatro, da regista l’audiovisivo. Poi dipende dal progetto.”
Infine, se dovesse capitare che “La storia di un uomo chiamato Francesco” fosse di nuovo in programma in altri teatri italiani, perché venire ad assistere allo spettacolo e quali insegnamenti la platea può trarne?
“Perché è uno spettacolo che parla all’anima e dà modo agli spettatori di riflettere su sé stessi e ridimensionare alcuni aspetti della propria esistenza.”
Annalisa Civitelli
Ringraziamo Riccardo D’Alessandro per la sua disponibilità all’intervista.