Adriano Marenco
“Anche a questo serve il teatro, a rielaborare la storia, il grande lutto della storia, per farne qualcosa di universale“
Abbiamo incontrato Adriano Marenco, scrittore e drammaturgo dalla lunga carriera che pochi mesi fa ha dato alla luce una trilogia di copioni teatrali che raccontano un aspetto fondamentale della storia economica e politica del nostro paese.
L’opera è intitolata “Tre memoriali” e si divide in tre racconti dedicati alla famiglia Agnelli, ai tragici fatti del G8 di Genova del 2001 e alla figura di Giangiacomo Feltrinelli, il decano dell’omonima casa editrice.
I tre brevi volumi analizzano una faccia precisa dell’Italia attraverso figure vere, e altre inventate, che si muovono all’interno di circostanze realmente accadute.
Adriano Marenco continua a lavorare anche come direttore responsabile della collana letteraria Scenamuta e come autore di opere non destinate al teatro; in quest’intervista Marenco racconta ai lettori di Brainstorming Culturale l’evoluzione e lo spirito di “Tre memoriali” e approfondisce e anticipa alcune delle sue prossime iniziative.
Adriano Marenco, la sua attività professionale si divide tra giornalismo e drammaturgia: quale delle due la appaga maggiormente?
“Buongiorno a tutte e a tutti, intanto. Al momento mi limito alla drammaturgia. Ho lavorato come giornalista in passato, ora sto cercando di riprendere, ma il vezzo di non pagare i giornalisti ormai è dilagato ovunque. Comunque senza dubbio la drammaturgia è ciò che più mi realizza, anche se si può e si deve scrivere bene anche nel giornalismo.”
Ha esordito nel 2003 con la “La fenice cieca”, edito da Mario Pascale, mentre per Progetto Cultura è direttore responsabile della collana Scenamuta. Che significato assume oggi pubblicare e divulgare drammaturgie e in che stato è l’editoria?
“‘La fenice cieca’ è un poema che aveva vinto un concorso chiamato ‘La repubblica delle lettere’ ed il premio era appunto la pubblicazione. Il mio primo lavoro pubblicato da Progetto Cultura è stato un romanzo: ‘La palude e la balera’. In seguito con Mauro Limiti, Marco Limiti e Lisa Lombardi (che sono Edizioni Progetto Cultura) abbiamo pensato di pubblicare una collana di drammaturgia per autori italiani contemporanei. Io ne sono il direttore artistico. L’idea è nata dopo che avevano letto un mio testo, ‘Il pasto degli schiavi’. Siamo molto orgogliosi di quello che facciamo. Gli autori (purtroppo è doveroso sottolinearlo) non pagano nulla. Testi bellissimi che non avrebbero avuto mai nessuna possibilità di uscire dal computer sono ora pubblicati, e parliamo di autori pluripremiati come Marco Andreoli, Michelangelo Bellani, Laura Bucciarelli, Alessandra Caputo, Emanuela Cocco, Stefano D’Angelo, Fabio Massimo Franceschelli, Damiana Guerra, Alessandro Izzi, Alessia Giovanna Matrisciano, Pierpaolo Paladino, Fabio Pisano, Francesca Staasch, Davis Tagliaferro e molti altri. In che stato è l’editoria? Sembra in crisi da sempre ma è ancora viva, forse a stento ma viva.”
Viste le sue precedenti pubblicazioni, come è nato l’interesse per il teatro e nello specifico per la scrittura drammaturgica?
“Io non ho fatto un’accademia. La scrittura è stata un innamoramento, una di quelle cose che devi fare e basta. Non ho iniziato da ragazzino, è venuta col tempo. All’inizio il drammaturgo che più mi ha segnato è stato Georg Büchner, l’autore del Woyzeck. Ho cominciato a scrivere per il teatro perché a seguito della lettura di una mia Storia sul Manifesto mi è stato chiesto dal direttore artistico de La Palma Club di trarre un pezzo teatrale da quell’articolo per la sezione teatro del Fandango Jazz Festival. Poi non ho più smesso il vizio.”
Lei, di recente, ha pubblicato “Tre memoriali”, una trilogia di copioni che racconta un insieme di aspetti della società italiana che sembrano essere piuttosto lontani dalla materia più propriamente teatrale: da dove nasce l’idea per questa sua opera?
“Credo che la drammaturgia da sempre racconti e rivisiti le grandi storie per trarne conoscenza e poesia, a cominciare dai classici greci. Anche a questo serve il teatro, a rielaborare la storia, il grande lutto della storia, per farne qualcosa di universale. Uno degli ultimi casi, famoso e premiato in tutto il mondo, è la ‘Lehman Trilogy’ di Stefano Massini. I miei tre memoriali riguardano la famiglia Agnelli, Giangiacomo Feltrinelli e il G8 di Genova visto da Cassandra. È una materiale assolutamente teatrale. Non ho scelto a tavolino questi temi. Sono state ispirazioni, a volte epifanie, sulla mia strada. Poi sulla famiglia Agnelli e su Feltrinelli è stato scritto pochissimo, a livello di drammaturgia, rispetto all’enorme portata sociale ed economica che rappresentano. Se avessi coperto questo vulnus, anche solo all’un per cento, sarei già soddisfatto. Questi tre memoriali sono in fondo tre atti politici. Come scrive nella prefazione Fernando Mastropasqua in ‘Come El kann pe li Agnelli’ il primo atto politico è l’industria, in ‘UnoaZeroperNoi-Sandra C’ l’atto politico è la verità e in ‘Il senno di Osvaldo – Giangiacomo Feltrinelli tra utopia e paranoia’ è gli anni di piombo. Tra l’altro, riguardo a Feltrinelli, sono rimasto sorpreso scoprendo quante poche persone sapessero la sua storia. Accidenti leggiamo Feltrinelli ovunque e non sappiamo l’incredibile storia politica del suo fondatore, che ha creato, oltre alla casa editrice, i Gruppi d’Azione Partigiana un gruppo paramilitare di estrema sinistra nel 1970. Per non parlare della sua assurda morte.”
I tre copioni sono scritti con uno stile elaborato e quasi ermetico: perché ha scelto questo lessico così articolato e come lo ha costruito?
“Dei tre memoriali solo ‘UnoaZeroperNoi-Sandra C’ può essere considerato in parte ermetico, ma è dovuto al fatto che è ispirato alla ‘Cassandra’ di Christa Wolf, su idea di Samantha Silvestri. Poi Sandra C è Cassandra immersa nelle vicende del G8 di Genova, e Cassandra è LA profetessa, era necessario un linguaggio poetico e un filo più complesso. ‘Come El kann pe li Agnelli’ e ‘Il senno di Osvaldo’ hanno un linguaggio elaborato certamente, ma non ermetico. Io lavoro da sempre per riportare il linguaggio al centro del palco. Proprio come è sempre stato e come continua ad essere in tutto il mondo. Il teatro e la sua drammaturgia devono essere la punta della ricerca creativa di una nazione e a quanto pare solo in Italia è stato affidato alla sola voce degli attori, forse perché ormai la consuetudine è che gli attori si scrivano i copioni, anche per tagliare i costi. Al limite vengono riadattati testi storici famosissimi. E dove c’è spazio per la nuova drammaturgia? Forse questo è il grande problema del teatro italiano, l’assenza di drammaturgia (quando invece i drammaturghi ci sono eccome). Io sono cresciuto con Pinter, Beckett, Büchner, Brecht, Shakespeare, Marlowe, Letizia Russo, etc. e non credo che il teatro sarebbe giunto ai livelli letterari che ha raggiunto se gli autori avessero pensato solo ed esclusivamente a scrivere per un pubblico di analfabeti (e quello di Shakespeare e Marlowe lo era!). Certamente il linguaggio non deve essere fine a sé stesso. Ma non può neanche essere ridotto ad uno slogan per essere compreso da tutti. Diceva Goebbels: ‘Qualsiasi propaganda deve essere popolare e adattare il suo livello al meno intelligente degli individui a cui è diretta. Più grande è la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale richiesto’. Rispondeva, forse non a caso, Brecht ‘Se volete vedere solo quello che potete capire andate al bagno, non a teatro’. La drammaturgia deve allargare la mente, altrimenti serve a poco. Il pensiero è il solo modo che abbiamo per salvarci prima come individui e poi come comunità. Io elaboro il mio stile per renderlo evocativo, musicale, poetico e con dei contenuti, anche attraverso l’uso di frasi corte e spezzate e di uno stile paratattico. Ovviamente ci riesco, se ci riesco, solo a volte.”
Gli anni che vanno dall’ascesa degli Agnelli alla fortuna della famiglia Feltrinelli occupano uno spazio molto importante nella complicata storia economica e politica del nostro paese, tuttavia lei ha scelto di dedicarsi soltanto a tre frangenti fondamentali di quell’arco temporale: per quale motivo ha prediletto proprio quei tre?
“Come dicevo a volte prendo una ’cotta’ per degli argomenti e devo lavorarci su, penso solo a quella cotta per mesi. Il G8 di Genova è stato per me l’evento che ha riportato l’Italia indietro di decine di anni, un punto di cesura come nel caso di Moro. La distruzione scientifica di un sogno e di un ideale. In tanti ne avevano già parlato e ne parleranno, io ho lavorato principalmente sul concetto di verità. È stato il primo evento totalmente mediatico in Italia, fotografato, ripreso da migliaia di persone. Eppure la verità percepita cambia continuamente a secondo del soggetto che la riprende. Eppure è così evidente. Gli Agnelli, come non parlare degli Agnelli? La famiglia più importante della storia d’Italia dal 1900. La Fiat è stata la più grande industria del nostro paese. Ha spostato centinaia di migliaia di vite dal sud al nord. In un certo senso gli Agnelli sono stati gli eredi diretti dei Savoia. Una famiglia con una storia personale che sembra davvero un dramma di Shakespeare, una quantità di morte l’ha funestata continuamente tra incidenti, suicidi, pazzia e malattie. Una lotta per il potere combattuta a livelli mondiali. Un materiale sterminato. Di Feltrinelli mi affascinava totalmente la sua figura: nome di battaglia Osvaldo, ex partigiano e figlio di miliardari, fonda una casa editrice per portare la cultura al popolo, fonda i GAP e partecipa alla lotta politica della sinistra estrema extraparlamentare negli anni di piombo. Un personaggio pieno di tutto. Una figura enorme. Una morte assurda sul suo campo di battaglia.”
Tutti e tre i copioni presentano degli aspetti piuttosto complessi da rappresentare realmente a teatro: la sua intenzione era quella di realizzare un lavoro che fosse effettivamente di sola lettura?
“Assolutamente no. Semplicemente credo che i punti più complicati (posto che se c’è una produzione con dei denari si risolve tutto) siano compito del regista. Leggendo Shakespeare non è che poi si cominciavano a tirare su veri castelli o a piantare foreste sul palco. I miei sono testi che presentano già una regia interna (ma non è assolutamente vincolante). ‘Sandra C’ è già andata in scena varie volte e ha vinto anche dei premi. Per quanto riguarda Feltrinelli dovrebbe essere realizzato dal Collettivo Lubitsch, la mia compagnia attuale, nel 2025. L’unico testo dei tre che davvero necessita di fondi, di un produttore o di essere acquistato, è quello sugli Agnelli. Questo testo è stato scritto con la massima libertà creativa, sapendo che senza fondi difficilmente si sarebbe potuto mettere in scena, ma l’argomento era troppo grande per farne un monologo su sedia. Come ho detto in altri termini prima, credo sarebbe ora di smetterla di pensare che scrivere drammaturgia sia un’arte amatoriale, da dilettanti. Se vi chiedessi chi è il più importante scrittore di tutti i tempi è credibile che mi rispondereste Shakespeare. Se invece vi chiedessi il più importante scrittore italiano del novecento è altrettanto credibile che mi direste Pirandello. Che lavoro facevano? Il drammaturgo appunto.”
Che tipo di ricerca storica ha eseguito per realizzare questa trilogia?
“Le solite, si leggono libri, si vedono film, documentari, si prendono appunti, si incamera tutto e poi si cerca di dimenticarlo per scrivere più liberamente. Il fatto storico va trasfigurato in una poesia concreta. Bisogna cercare di trasformare la storia in qualcosa di più grande della vita. Mantenendo sempre una fedeltà ai fatti storici e politici in sé. Per me, in letteratura, solo così si può giungere all’essenza stessa della storia che si racconta.”
Tuttora lei si dedica al teatro tanto da aver fondato anche la compagnia Patas Arriba Teatro, la quale si fonda su “un linguaggio teatrale autonomo e originale, basato su una drammaturgia politica e poetica e su un esito scenico onirico e visionario”. Ci spiega in che modo vi distaccate dalle classiche compagnie teatrali e come cercate di parlare di politica e di poesia attraverso il concetto di visionarietà?
“Sono felice che vi ricordiate dei Patas Arriba Teatro. È stata un viaggio meraviglioso quello con Pamela Adinolfi, Alessandra Caputo, Valentina Conti e Simone Fraschetti. Tra gli anni più belli della mia vita. Al momento la mia compagnia attuale è il Collettivo Lubitsch di Torino fondata con Nathalie Bernardi. Simone Fraschetti ha fatto la regia del primo spettacolo ‘La favola nera del boia in tutù’ (uno spettacolo che sta facendo tante repliche in Italia) e farà la prossima ‘Sotto questo crollo’. Pamela Adinolfi continua a essere la nostra fotografa di scena. Il concetto di base è sempre quello che avete citato. Non so se ci distacchiamo dalle classiche compagnie teatrali (sicuramente da quelle con i fondi pubblici!). La maggior parte dei miei testi (esattamente come quelli dei tre memoriali) cercano di affrontare la politica con un linguaggio che sia anche poetico, poesia e visionarietà sono tratti distintivi anche delle regie di Simone Fraschetti. Ecco, forse una cosa che cerchiamo di fare è quella di portare anche un po’ di ‘spettacolo’ e ‘sorpresa’, sul palco evitando, se non è strettamente necessario o collegato ad una precisa poetica su un testo particolare, una scenografia sedia e lampadina.”
Infine, ci sono altri lavori letterari o teatrali ai quali si sta dedicando?
“Certo! A giugno ha debuttato a Bologna lo spettacolo ‘I lupi mannari vanno a funghi’ (è la storia di un serial killer) con la regia di Valentina Anselmi con Nathalie Bernardi e Giacomo Mariani nel cast. Al momento sto facendo le prove con il gruppo SenzaMetaTeatro per uno spettacolo horror che debutterà a Torino ‘Dentem pro Dente’ con Nathalie Bernardi, Fabio Bosco, Gigi Colasanto, Silvio Murari e Alessia Pratolongo. A breve inizieranno le prove di ‘Sotto questo crollo’ (un testo che ha vinto diversi concorsi) con il Collettivo Lubitsch, la regia sarà di Simone Fraschetti, nel cast Francesco Balbusso, Nathalie Bernardi e Silvio Murari. Inoltre ho terminato da poco il mio secondo romanzo ‘Fine capitale mai’.”
Vi ringrazio di cuore per le vostre domande.
Gabriele Amoroso
Ringraziamo Adriano Marenco per la disponibilità all’intervista.