Al Museo Diocesano / Chiostri di Sant’Eustorgio di Milano trecento foto tra le più famose di Robert Capa, selezionate dagli archivi dell’Agenzia Magnum Photos, sono esposte sino al 13 ottobre prossimo. ‘Robert Capa – l’opera 1932-1954’, inaugurata lo scorso 14 maggio, racconta il percorso artistico, il metodo di lavoro e la coraggiosa vita del fotografo ungherese del ventesimo secolo che, con i suoi reportage, ha rischiato di perdere la sua esistenza più volte
“Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. Il problema è proprio questo: dovrebbe stare, al più, a fianco.“
Virginia Woolf
Robert Capa, pseudonimo di Endre Ernő Friedmann, in famiglia era soprannominato “Cápa”, squalo in ungherese. Coraggio e audacia hanno da sempre contraddistinto la sua attività professionale, tanto che il suo meritato successo di fotografo è strettamente connesso, almeno agli inizi, alla sua vita affettiva.
Il nesso in realtà è tale che è sorto il dubbio se i suoi scatti migliori siano opera di un fotografo o di una fotografa: Robert Capa è stato infatti compagno di vita e di professione di Gerga Taro.
“Non è sempre facile stare in disparte e non essere in grado di fare nulla, se non registrare le sofferenze che stanno intorno.“
Robert Capa
La coppia di fotografi di guerra Capa-Taro
L’incontro tra i due professionisti della pellicola risale al 1934. La giovane emigrata ebrea, Gerda Pohorylles, incontra a Parigi l’esule politico ungherese, André Friedmann, per reinventarsi come fotografi: Gerda Taro e Robert Capa.
Nell’agosto del 1936 l’amica procura un accredito stampa ad André Friedmann per poter documentare la Guerra Civile Spagnola e la coppia, per l’occasione, crea così il personaggio “Capa”, indistinto inviato ideato per ragioni di opportunità.
Gerda Taro e Robert Capa in questo modo cominciano la loro carriera di reporter di guerra fotografando gli abitanti del villaggio di Cerro Muriano nei pressi di Córdoba, folle che fuggivano dalle loro case sotto i colpi d’artiglieria franchista.
Al contesto risale il leggendario scatto del “Miliziano colpito a morte” (Cordova 1936), attribuito appunto a Capa, che ha reso famoso l’artista ungherese.
L’istantanea coglie la morte di un soldato dell’esercito repubblicano nell’attimo in cui viene colpito da un proiettile franchista. La foto inoltre è stata al centro del dibattito sull’attribuzione allo stesso Capa.
Di fatti, secondo alcuni ricercatori l’immagine sarebbe stata catturata con la Rolleiflex appartenuta a Gerda Taro, mentre Capa in quel periodo fotografava probabilmente con una Leica ed in seguito con una Contax.
Gerda Taro, viceversa, scatta in parallelo la famosa foto immagine della “Miliziana in addestramento” che, calzando scarpe femminili con tacco, punta la sua pistola: una donna rappresenta la guerra combattuta da un’altra donna.
“La verità è l’immagine migliore, la miglior propaganda.”
Robert Capa
Robert Capa: le guerre rese immortali
Il successo dei suoi scatti porta Capa a testimoniare altri quattro diversi conflitti bellici successivi alla Guerra Civile spagnola (1936-1939): la Seconda guerra sino-giapponese nel 1938; la Seconda guerra Mondiale (1941-1945); la Guerra arabo-israeliana (1948) e, infine, la Prima guerra d’Indocina (1954).
In particolare, Capa ha documentato “II Conflitto mondiale”, da Londra, in Nordafrica e in Italia, rivolgendo la sua testimonianza verso le azioni dello sbarco in Normandia e la liberazione di Parigi.
I reportage fotografici, di conseguenza, sono presto coronati da fama internazionale. Secondo i critici, dal lavoro di Capa è evidente l’empatia del fotografo verso i soggetti scelti, siano questi combattenti o vittime del conflitto.
Capa muore in Indocina nel 1954, proprio sul campo di battaglia a causa dello scoppio di una mina, dove era impegnato per il suo ultimo reportage dopo una lunga carriera tra i combattenti.
Considerata la prima fotografa impegnata sul terreno di guerra, Gerda Taro invece è stata anche la prima a perdervi la vita, travolta a 26 anni da un carro armato. Venne per questo ricordata come donna rivoluzionaria e coraggiosa, caduta sul lavoro difendendo e divulgando per le proprie idee.
“In una guerra si deve odiare qualcuno oppure amare qualcuno; è necessario avere una posizione oppure non si può capire ciò che succede. ”
Robert Capa
In memoria di Gerda Taro: la maleta mexicana
In memoria della compagna, Capa dedicò la raccolta “Death in the making”, realizzata appositamente per celebrarne l’opera, in cui le diverse fotografie raccolte provengono dalla nota Maleta Mexicana ritrovata nel 2007 a Mexico City.
Del volume si erano perse le tracce, per scoprire poi, nel 1939, che Capa aveva affidato le fotografie a un amico per evitare che cadessero in mano alle truppe naziste che stavano per entrare a Parigi. Solo a distanza di settant’anni, dunque, la valigia a lungo perduta, rivelò migliaia di negativi della coppia di reporter.
La cosiddetta “valigia messicana” tuttavia ha insinuato il dubbio che le istantanee, attribuite in precedenza a Capa, erano in realtà opera di Taro, rimasta all’ombra del più noto fidanzato Robert Capa, più nota per il suo legame col fotografo che come professionista.
L’esposizione si suddivide in nove sezioni tematiche: “Fotografie degli esordi“ (1932–1935); “La speranza di una società più giusta” (1936); “Spagna: l’impegno civile” (1936–1939); “La Cina sotto il fuoco del Giappone” (1938); “A fianco dei soldati americani” (1943–1945); “Verso una pace ritrovata” (1944–1954); “Viaggi a est” (1947–1948); “Israele terra promessa” (1948–1950); “Ritorno in Asia: una guerra che non è la sua” (1954).
Le stesse coadiuvano i visitatori e le visitatrici a ripercorrere l’arte del celebre fotografo che si incentra soprattutto sui campi di guerra, reportage che venivano pubblicati sia sulla stampa francese sia su quella americana, contribuendo alle cronache del tempo.
L’allestimento resterà in mostra sino al 13 ottobre prossimo al Museo Diocesano di Milano
Margherita Manara
Museo Diocesano / Chiosti di Sant’Eustorgio | Milano
Robert Capa – l’opera 1932-1954
dal 14 maggio al 13 ottobre
a cura di Gabriel Bauret
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