Lo scorso 12 novembre, al teatro Giuditta Pasta di Saronno è andato in scena ‘Chiaroscuro, vita di Artemisia Gentileschi’ che inquadra l’artista caravaggesca seguendo una narrazione evocativa. Un elegante esperimento che gioca con le forme e i colori della voce
Una giovane donna che fugge, col favore della notte lascia la sua casa per ricominciare una vita dove le voci, il giudizio del mondo, non può inseguirla.
Un inizio evocativo com’è tutto lo spettacolo, soprattutto non appena si riconosce in quella ragazza, accompagnata da un marito che la conosce a malapena, Artemisia Gentileschi, una delle più grandi artiste che ci consegna la storia dell’arte, tanto da non venire schiacciata nemmeno da una cronaca ingombrante, pur se è quella, di lei, che i più ricordano.
La partenza notturna, che dalla sua Firenze le consegnava un futuro a Roma, non si è verificata quando, nel 1612, ha deciso di denunciare la violenza subita, per mano di un amico del padre e artista da poco.
La sua, che resta tuttavia soprattutto la vicenda di una straordinaria artista, ha un tratto epico che merita di essere cantato.
Chiaroscuro: voci adamantine e corpi pieni di storie
Lo fa, infatti, la compagnia Piccolo Canto, che il 12 novembre scorso – con ‘Chiaroscuro, vita di Artemisia Gentileschi’ – ha portato sul palcoscenico del teatro Giuditta Pasta di Saronno la voce di Artemisia e la moltiplica.
Ciascuna delle interpreti, Francesca Cecala, Miriam Gotti, Barbara Menegardo, Ilaria Pezzera, Swewa Schneider, presta infatti ad Artemisia voci adamantine e corpi pieni di storie: le proprie, che s’intrecciano e si specchiano nell’arte e in quelle dell’artista.
Così come, per lei, specchio è stata invece la tela, su cui ha saputo trasportare il dolore, il coraggio e la rivalsa di un talento che merita di essere più di una lontana voce in cronaca, che tuttavia giunge da lontano per porre domande aperte ancora oggi.
Un lavoro pieno di grazia
La regia di Andrea Chiodi accompagna un testo che apre la porta sul segreto di una dote e sulla vita di una donna come sulla penombra di un atelier, dove i suoni e le immagini si rincorrono e si legano, prendendosi – come in un sogno – tutto lo spazio dei pensieri, e di conseguenza quello del teatro.
‘Chiaroscuro, vita di Artemisia Gentileschi’, è una rappresentazione piena di grazia, in cui il canto non è solo uno strumento ancillare o un pezzo di bravura ma la spina dorsale che dipana la storia.
Un elegante esperimento che gioca con le forme e i colori della voce, con il fascino che sprigiona, come quando la senti vicina, come accade nei podcast, a cui questo lavoro indubbiamente guarda, con i suoi microfoni sempre in scena.
Chiaroscuro: ingiustizie ancora da risolvere
Ma è un lavoro parente anche dell’opera: le sue eroine tragiche, con lo studio di Artemisia che risuona con il salotto vuoto di Violetta Valery, e con le forme di ribellione delle donne costrette a reagire a uomini che decidono per loro.
Artemisia, però, riscrive anche questa narrazione riscattando con il suo ingresso nell’Accademia dei Lincei – prima tra le artiste e tra le donne – anche gli obiettivi mancati di quel padre che pure sarà chiamato a firmare l’ammissione per conto suo.
Vita e storia si intrecciano nei loro chiaroscuri come la cronaca e l’arte, in questo raffinato testo, e la pittura e la musica sul palcoscenico, insieme alle ingiustizie ancora da risolvere.
E tuttavia, nella stima di Galilei come nella memoria dell’oggi, a quattro secoli di distanza, ad essere rimasto, consegnato alla storia, non sono gli uomini che l’hanno legata, ma il nome e l’arte di Artemisia Gentileschi.
Chiara Palumbo
Foto: Federico Buscarino
Teatro Giuditta Pasta – Saronno
12 novembre
Chiaroscuro
Vita di Artemisia Gentileschi
di Gaetano Colella
Regia Andrea Chiodi
con Francesca Cecala, Miriam Gotti, Barbara Menegardo, Ilaria Pezzera e Swewa Schneider
Composizione canti, drammaturgia sonora Miriam Gotti
Compagnia Piccolo Canto
Realizzato con il contributo di “Life is live”
Realizzato con i fondi Otto per Mille Valdese
Un progetto di Smart Italia con Fondazione Cariplo