La prima volta che ho deciso di approfondire la mia conoscenza riguardo l’endometriosi ero al bar, sorseggiando un cappuccino mentre scrollavo foto su IG con inerzia, proprio come quando compi un’azione a cui non dai importanza. Poi il mio pollice assuefatto dai social si blocca, una frase colpisce la mia attenzione: “la malattia silenziosa”. Un po’ inquieta decido di fare rapidamente una ricerca online; la somma di quelle parole suscita in me qualcosa di scomodo, un sapore amaro che si mescola al dolce del cappuccino
Dolore mestruale, malattia invalidante, dolore durante i rapporti, stanchezza cronica, infertilità. Queste parole apparivano su ogni sito che aprissi, portandomi a trattenere il respiro ad ogni click. E, a colpire ancora più duramente – raggiungendo il mio stomaco – furono i blog.
Centinaia di donne che chiedevano aiuto, altre che con percepibile disperazione raccontavano quanto ci avessero messo per raggiungere una corretta dialisi; esami infiniti, talvolta dolorosi, incontri, supporti psicologici, incomprensioni con i propri partner.
E, tutto questo si poteva racchiudere in una sola parola, endometriosi: la crescita del tessuto endometriale (ossia quello che si sfalda durante il ciclo mestruale) al di fuori dell’utero, anziché al suo interno.
A soffrire della patologia sono milioni di donne in tutto il mondo. In Italia, almeno il 10-15% delle donne in età riproduttiva ne è affetta, mentre interessa il 30-50% delle donne infertili, o con difficoltà di concepimento.
Nella maggior parte dei casi, la malattia si presenta nella fascia d’età che va dai 25 ai 35 anni, ma in alcuni casi può verificarsi anche durante un’età più bassa.
E, proprio all’inizio di quest’anno, la patologia è stata inserita nell’elenco delle prestazioni sanitarie coperte dal servizio sanitario nazionale: si parla quindi dei LEA – Livelli Essenziali di Assistenza. Di conseguenza chi soffre di endometriosi ha diritto all’esenzione fiscale.
Endometriosi: noi ed il tabù del ciclo mestruale
Durante tutta l’adolescenza ho pensato infatti a quanto fosse fastidioso e limitante avere il ciclo. Credo, inoltre, che tuttora le ragazze vivano le mie stesse sensazioni di allora.
Per chiedere un assorbente ad un’amica ci si sente tuttora costrette a inventare un linguaggio in codice da fare invidia anche all’alfabeto farfallino. Sia mai senta qualche compagno!
Oppure qualcuno che possa provare imbarazzo o, peggio, scegliere di prenderti di mira e affibbiarti uno squallido soprannome che potrebbe rimanerti appiccicato addosso fino alla maturità. Come se il liceo non fosse già abbastanza difficile!
Avere dolori mestruali è una guerra fisica e mentale contro te stessa e il mondo; raramente avere il ciclo significa essere autorizzate a mettere la testa sul banco, anche se le tue ovaie vanno a fuoco, il più delle volte insieme alla tua mente. Portare a termine una versione di greco o di latino diviene un compito decisamente arduo.
L’idea che mi sono fatta, dunque, è che ancora oggi non sia piacevole dover affrontare l’adolescenza, una volta al mese, come un tabù. Tu stessa lo sei. E se le mestruazioni sono uno scoglio sociale così grande da superare, come può essere soffrire di endometriosi, anche se non si sa cosa sia?
Un ospite sgradito
Del disturbo si conosce e se ne parla poco. C’è una scarsa sensibilizzazione al tema, nonostante limiti la vita quotidiana, tra mille complicazioni e rinunce, incertezze e diagnosi.
Stare attente agli zuccheri, ad alcune farine, ai grassi saturi ed ovviamente escludere l’alcool, che sappiamo benissimo essere diventato ormai sinonimo di convivialità, ma questa è un’altra storia.
Dunque, vedere trasformare la propria vita per fare spazio a un ospite sgradito è un sacrificio, proprio perché non sei stata tu a sceglierlo.
Se ne parla all’interno della serie tv “Antonia“, almeno ci si prova. L’argomento endometriosi però viene affrontato in modo marginale: un tentativo esiguo con l’obiettivo di far arrivare la tematica a noi e allargarne la conoscenza.
Tu sai che io so?
Siamo quindi relegate in questo ruolo di grandi accuditrici, di culle, di incubatrici, di First Lady, di “se stai zitta è meglio”, non possiamo chiamare il nostro capo e dirgli “ho l’endometriosi, sto male, non vengo al lavoro”. No. Noi dobbiamo soffrire. Per il ciclo, per l’endometriosi, per il parto, dopo il parto e amen.
È il gioco del telefono senza fili, in cui ci si passa – silenziosamente – sostegno, con la speranza che all’ultima del cerchio arrivi l’informazione corretta.
Tuttavia, non è questa la soluzione che stiamo cercando, è solo il risultato degli strumenti che non ci lasciano usare, ancora una volta.
Endrometriosi: sette donne “Imperformance”
Ma c’è chi ha deciso di darci questi strumenti in modo tangibile e di trasformare quel telefono in un megafono, modificando così tutte le parole dette alla migliore amica, alla ginecologa, al cane, in uno spettacolo teatrale: “Imperformance – Storie di donne con endometriosi”.
Questo è quello che Sona Haroni e altre sei donne hanno deciso di fare per raccontare la malattia.
L’idea nasce dalla psicoterapeuta Sona ovvero restituire l’intensità di un’emozione provata durante la visione di una rappresentazione molto toccante e dall’esigenza di descrivere un argomento a lei familiare, sensibilizzando lo spettatore attraverso una serie di testi scritti e interpretati in modo del tutto autentico.
Endometriosi: sul palco un pezzo di sé
Dopo un momento di assestamento organizzativo, come ogni pièce richiede, Sona e le sue compagne di viaggio, si immergono in un’esperienza nuova per tutte, guidate dalla regia del musicista ed attore Alessandro Camilli.
Ognuna di loro porta sul palco un pezzo di sé, lasciandosi condurre dalla penna che traccerà il foglio con testi brillanti o più drammatici, accompagnate sul palcoscenico da due uomini – tra cui lo stesso Alessandro – e due amici a quattro zampe.
Con una scenografia povera e un cambio di costumi dal vivo, queste storie sono tutto ciò di cui la platea, ma soprattutto noi donne, avevamo bisogno.
“Imperformance – Storie di donne con endometriosi” – andato in scena lo scorso maggio al teatro Tordinona di Roma, e patrocinato dalla Città metropolitana di Roma Capitale – ha riscontrato delle ottime critiche, tanto da tornare a calcare il palcoscenico nella città di Salerno il prossimo 28 marzo.
Sentirsi in imbarazzo per qualcosa che fa parte del proprio percorso ci fa soffrire ancora di più. Ci rende schiave di un gioco di potere inventato dagli uomini, per gli uomini, tuttavia noi ci siamo stancate di non partecipare escludendo così la possibilità di prenderci la vittoria.
L’endometrosi è una malattia seria, costringe una donna su sette a condurre una vita con numerosi limiti e non possiamo permettere né permetterci che questi limiti diventino anche emotivi, perché non esistono colpe da attribuirsi.
Parlarne senza vergogna è difficile, perché siamo e ci siamo talmente abituate a vivere in quello stato, a sentirci sbagliate, da esserci appropriate di quel ruolo nonostante sia scomodo.
Dobbiamo essere il megafono di noi stesse, per tutte e tutti.
Silvia Bruni