Marco Cavallaro
“L’ironia è il sale della vita, aiuta a non prendersi troppo sul serio“
Marco Cavallaro, classe 1976, debutta in teatro nel ’92 e a 18 anni entra nell’Accademia del Teatro Stabile di Catania. Da anni, in lungo e in largo per l’Italia, l’attore-regista porta in giro le sue commedie di successo da lui scritte, dirette e interpretate.
Cavallaro, punta sulla comicità raccontando spesso l’amore, attraverso circostanze che riguardano tutti e tutte. Attinge dai film, da ciò che vive e osserva intorno a lui. Sovente, infatti, segna frasi che lo incuriosiscono e che svolgono un ruolo attivo nella stesura di una drammaturgia: lo ispirano.
Sostiene che ognuno debba completarsi da solo, altrimenti le relazioni non funzionano, e ritiene che per essere sarcastici bisogna avere un ampio livello culturale e dimostrare un’intelligenza spiccata, poiché quando non si coglie la satira ci si può offendere. Ridere dunque è necessario per cacciare la rabbia.
Non è facile dunque rimandare le situazioni reali portandole sui palchi, restituendole al pubblico, facendolo rispecchiare con sorriso. Ma Cavallaro ci riesce con il suo sguardo umoristico sulla contemporaneità, una cifra stilistica che lo contraddistingue nel panorama teatrale nostrano.
Questo fine settimana Marco Cavallaro sarà di nuovo ospite del teatro Marconi di Roma, fino al 2 febbraio, con la commedia “Come fosse amore” che scandaglia l’universo femminile senza però cadere nei classici stereotipi. Un uomo può appunto raccontare la donna se capace di ascoltare la sua parte muliebre.
Ricordiamo che il regista sarà anche sul palco insieme all’affiatato cast.
Marco Cavallaro, “quando le delusioni d’amore trovano sfogo in un rifiuto totale per il sentimento stesso, come si può tornare ad amare?” È una frase del suo spettacolo. Lei ha trovato una risposta?
“Si! Si può tornare ad amare andando dalla psicologa possibilmente. Ed è quello che fanno le tre giovani donne protagoniste di questo spettacolo. Le ragazze, deluse ormai dai loro rapporti amorosi, non riescono a trovare l’uomo che secondo loro le possa completare. Ho notato come sia frequente il pensiero che nella vita c’è bisogno di qualcun altro per completare se stessi. Credo che sia un grave errore: l’altro non ti completa, ti aiuta a vivere in modo migliore forse, ma non ti completa, prima di tutto devi imparare a completarti tu. Come in tutte le commedie che si rispettino, anche in ‘Come fosse amore’ c’è un problema di fondo su cui ruota tutta la storia, che poi è ciò che scatena la comicità: la psicologa sta peggio delle sue pazienti. È stata lasciata sull’altare, anche lei soffre di solitudine ed è alla ricerca di un uomo, fino a che non dice ‘basta’. Neanche a farlo apposta il fato interviene e come per magia arriva un uomo che si innamora di lei e la aiuta, a suo modo, a convincere le tre donne a credere nuovamente nell’amore.”
“Come fosse amore” nasce da una delusione d’amore?
“Questa è la domanda che mi fanno sempre quando scrivo le commedie. Confesso, però, che non c’è niente di autobiografico. E se anche ci fosse non lo dirò mai, neanche sotto tortura. Prendo in prestito una frase di Eduardo De Filippo che dice: ‘Le storie stanno fra le stelle, basta alzare le mani e saperle cogliere’. A volte la storia può nascere da una frase che leggo o che sento mentre vedo un film. Da lì sviluppo il racconto cercando di trovare delle belle situazioni che possano divertire il pubblico, ma soprattutto cerco di divertirmi. Uno dei complimenti più belli che ho ricevuto è venuto proprio da alcuni psicologi che sono venuti a vedere la rappresentazione, i quali mi dicono che il racconto si avvicina molto a situazioni reali e di questo sono molto contento. Vuol dire che il meccanismo funziona.”
“Come fosse amore” è una commedia che indaga più l’aspetto femminile dell’amore. Come riesce un autore uomo a raccontare in maniera ironica l’universo femminile senza cadere in un cliché?
“Eh. Ti rispondo con un’altra domanda: ‘Come ha fatto Enrico Ruggeri a scrivere la meravigliosa canzone – ‘Quello che le donne non dicono’?’ Così come una donna può raccontare gli uomini, anche un uomo può raccontare una donna. Dentro di noi esiste sia il maschile sia il femminile. Se sappiamo ascoltare anche l’altra parte possiamo comprendere di più l’altro sesso. Poi il teatro mi ha aiutato a studiare e ad analizzare tanto come anche approfondire l’universo femminile.”
Uno spettacolo dove metti in atto le sue doti da trasformista. C’è qualcuno a cui si ispira?
“Sì. Questo trasformarmi in scena è una cosa che mi diverte tantissimo. Mi ispiro molto ai personaggi che ho studiato da ragazzino. Per me, infatti, uno dei migliori trasformisti comici in pellicola era Jerry Lewis, un macchiettista meraviglioso. Apprezzo la scuola americana come quella inglese: i Monty Pyton sono stati e sono ancora oggi, per me, modelli di riferimento.”
“Così come una donna può raccontare gli uomini, anche un uomo può raccontare una donna. Dentro di noi esiste sia il maschile sia il femminile. Se sappiamo ascoltare anche l’altra parte possiamo comprendere di più l’altro sesso.”
Non è la prima volta che nei suoi spettacoli racconta le dinamiche di coppia. Cos’è che l’affascina particolarmente?
“È l’unico sentimento che ci accomuna a tutti. Abbiamo vite diverse ma l’amore almeno una volta nella vita lo abbiamo vissuto tutti, e spesso con dinamiche simili. Tutti siamo stati lasciati, tutti abbiamo lasciato, tutti abbiamo avuto amori tormentati, felici e/o complicati. Il segreto di una commedia è far si che il pubblico ci si riconosca dentro, ed è a questo punto che la platea si diverte: è masochista, si diverte a rivedersi.”
È vero quando si dice che “è più facile far piangere che far ridere il pubblico“?
“Sì, è vero. Perché la comicità è un meccanismo matematico. È una tecnica difficile da mettere in atto. Sai, far piangere è più semplice, poiché banalmente nelle tragedie si toccano le corde più scoperte delle persone. La risata nasce dalla cosa più stupida del mondo, che farà sempre ridere: scivolare sulla buccia di banana. Se vedi per strada qualcuno che perde l’equilibrio e cade, d’istinto ti viene da ridere. Stanlio&Ollio, Charlie Chaplin, Buster Keaton, basavano tutto su questi ‘slapstick’ di situazioni comiche dove le persone scivolavano e cadevano.”
Quant’è importante per lei l’ironia nella vita?
“L’ironia è il sale della vita, aiuta a non prendersi troppo sul serio. Il problema dell’irrisione è che per essere ironici bisogna avere un grande livello culturale: infatti, non tutti la colgono, soprattutto quella sottile. Spesso le persone si offendono. Senza ironia un essere umano è infelice. Al termine dei miei spettacoli, auguro sempre al pubblico ‘non una buona vita ma un anno pieno di risate’. Perché la risata è la cosa che manca di più nella vita di oggi: spesso le persone passano il loro tempo ad essere arrabbiate, invece è necessario ridere, ridere tanto.”
Luisella Polidori
Ringraziamo Marco Cavallaro per la sua disponibilità all’intervista.