Giancarlo Sepe, tra i registi più visionari e quotati dei nostri anni, porta in scena nella meravigliosa cornice del teatro Argentina di Roma la storia di Barry Lyndon, il giovane aristocratico irlandese che inizia la propria scalata sociale durante la guerra dei Sette Anni. Tratta dal romanzo omonimo di William Thackeray e già portata sul grande schermo addirittura da Stanley Kubrik nel 1975, l’avventura di Redmond Barry Lyndon è una grande metafora sul senso della giustizia e della vita nella sua totalità
Il giovane Redmond Barry di Barry du Barry, discendente dai re d’Irlanda, vive una vita tra amori e guerre, in particolare quella dei Sette Anni, ma gli eventi che più caratterizzeranno la sua esistenza saranno quelli che lo trasformeranno da borghese di campagna a marchese di Lyndon. Lo sfondo storico della sua avventura sarà un pretesto per parlare di giustizia ed ingiustizia, ambizione e classismo, e soprattutto di un uomo che “che da povero è voluto diventare un capriccioso ricco aristocratico, nel momento sbagliato, nell’ora in cui cadono le teste dei vanitosi ricchi aristocratici” alle soglie della Rivoluzione Francese.
“Barry Lyndon” è uno spettacolo di regia: la rappresentazione non fa leva sulle interpretazioni o sulla forza del testo ma sulla costruzione delle scene che Giancarlo Sepe inventa ed allestisce come fossero quadri; in questo suo scopo il regista è aiutato da un’illuminazione meravigliosa e da costumi stupendi, variopinti e in un certo senso anche dissacranti.
Chi assiste allo spettacolo ha la netta sensazione di osservare qualcosa di bello e profondamente evocativo, risultato di un lavoro senza dubbio complesso e pieno di immaginazione.
Tutte le scene sono concepite come un suggerimento, un’intuizione, i dialoghi sono ridotti al minimo e molte delle azioni sono effettivamente mimate, come accennate, per lasciare che la bellezza dell’allestimento le sollevi dalle assi del palcoscenico e le renda ancora più potenti: l’interezza dell’opera diventa visivamente splendida e allo stesso tempo impegnativa.
Lo spettacolo si sviluppa fra momenti musicali e movimenti coreografati che rendono tutta la rappresentazione similissima ad un’opera lirica nella quale le scelte musicali, che pescano tra gli altri da Mozart, Schubert e Bach, completano l’assoluta sofisticatezza della messinscena.
Il modo in cui il romanzo di Thackeray viene riadattato è sicuramente una dimostrazione di coraggio e sicurezza dal momento che tutta la storia viene narrata al pubblico attraverso brevi monologhi fatti dal protagonista (interpretato dall’ottimo Mauro Brentel Bernardi) direttamente rivolto al pubblico e lunghe scene di raccordo che sono perlopiù “astratte”; il risultato finale è un’opera teatrale di altissima qualità e di potentissima carica evocativa che scongiura il rischio di disorientare o annoiare lo spettatore grazie anche ad una durata contenuta.
Gabriele Amoroso
Teatro Argentina
dal 23 ottobre al 4 novembre
Barry Lyndon
liberamente tratto dal romanzo di William Makepeace Thackeray
riduzione teatrale e regia di Giancarlo Sepe
con Massimiliano Auci, Sonia Bertin, Mauro Brentel Bernardi, Gisella Cesari, Silvia Como, Tatiana Dessi, Vladimir Randazzo, Federica Stefanelli, Giovanni Tacchella, Guido Targetti, Pino Tufillaro, Gianmarco Vettori
foto Salvatore Pastore
scenografie e costumi Carlo De Marino
muische a cura di Davide Mastrogiovanni e Harmonia Team
luci Guido Pizzuti
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro La Comunità 1972