Marco Zordan: “Sul palco prediligo qualità e accuratezza”
Una figura poliedrica quella di Zordan, la quale riveste più ruoli in una sola persona. Direttore Artistico del Teatro Trastevere, sito nell’omonimo quartiere della città eterna, attore e regista, si è cimentato nella messa in scena di ‘Radice di due’, uno spettacolo che ha a che fare con i numeri.
Noi abbiamo trovato la pièce estremamente deliziosa. E, sicuramente, impattiva. Un rimando agli anni ’90 in cui una coppia si scopre e vive il loro rapporto, in cui si analizza l’essenza di una relazione per comprendere, infine, che esistono persone dalle quali non si può prescindere.
Attento e preciso Marco Zordan ama portare in scena rappresentazioni qualitativamente valide e costruite con meticolosità. Non amante dei numeri, però considera al contempo, che essi servono a mettere ordine certe situazioni complicate.
Insomma un’artista a tutto tondo, il quale possiamo definire perfezionista di natura: attende sempre il momento giusto per mettere in opera una sua idea.
Marco Zordan: da Direttore Artistico del Teatro Trastevere a regista e attore. Quali “abiti” veste meglio?
“Bella domanda! Quello dell’attore è sinceramente il più comodo, mi sgrava di un po’ di responsabilità, e poi mi riconnette con l’atto intorno a cui gira tutto il resto, cioè la performance in sé. Gli altri li vesto perché mi piace sempre proporre e propormi per portare avanti delle idee e delle convinzioni artistiche in cui credo profondamente”.
Dal 6 all’11 novembre è andato in scena “Radice di due”: come ha concepito la regia di questo spettacolo?
“L’ho concepita come un lungo ricordo, sospeso e poetico, in cui quello che è avvenuto nel passato è visto da un punto di vista esterno che coincide con quello del pubblico, e questo ne aumenta la comicità e allo stesso tempo l’empatia”.
Solitamente in che modo sviluppa il suo lavoro: mediante regie semplici o complesse?
“Come scritto da alcuni, tento di essere sempre a servizio dello spettacolo e mai protagonista. Tento di mettere in condizione gli attori di essere supportati in ogni momento, con l’ausilio di tutti i mezzi che l’artigianato teatrale ci fornisce: luci, musiche, scene e qualche magia”.
Perché “Radice di due” e che valenza hanno i numeri per lei?
“‘Radice di due‘ è andare all’essenza di un rapporto, capire che aldilà degli screzi e delle incomprensioni, ci sono persone dalle quali non potremo mai prescindere! I numeri, ecco, non sono proprio i miei migliori amici, anche se ogni tanto la loro schiettezza, mi serve a mettere in ordine un po’ di situazioni ingarbugliate”.
In che stato verte attualmente il teatro italiano?
“Ci sono tanti ‘Teatri italiani’, quello commerciale, quello indipendente, quello pubblico, ognuno con le sue criticità e i suoi successi. Vedo con interesse tutto quello che riesce ad attrarre spettatori in platea e, a mio avviso, sono belle storie, con allestimento curato ed un coinvolgimento del pubblico ‘Hic et Nunc’, che superi uno schema di separazione troppo netto tra palco e Platea”.
Sul palco, dunque, qualità e accuratezza o pressapochezza e rapidità nel proporre le proprie opere?
“Qualità e accuratezza. L’ultima regia per l’appunto l’avevo fatta 4 anni fa: se non sono più che sicuro di avere bene in mente ciò che andrò a fare sul palco, preferisco pensarci ancora. Ho infatti progetti in mente che rimangono in gestazione anche per tre/quattro anni e, finché le cose non si mettono nel verso giusto, per me non è mai il momento di metterli in scena e quindi dargli vita”.
Annalisa Civitelli