Fantasticare è come giocare
Per la seconda volta all’Ar.Ma Teatro di Roma – dal 22 al 24 febbraio – è stata la volta de “L’uomo che sognava gli struzzi”. La rappresentazione teatrale è da considerarsi portavoce dell’omonimo monologo teatrale scritto da Bepi Vigna e riproposto da Fabrizio Passerotti diretto da Giulia D’Agostini
Lo spettacolo entra nell’anima della platea quel tanto che basta a evadere dalla realtà, coadiuvando così lo spettatore a creare il suo personale spazio immaginifico: in questo modo il teatro vince in tutti i sensi.
Dalla regia essenziale e dall’altrettanto scarna scenografia la pièce vede l’interprete mettere al centro la vera vicenda di Peppino Meloni, un insegnante di venticinque alunni dell’entroterra sardo: l’Ogliastra.
Le semplici gestualità seguono il corso del racconto – riprendendo esattamente il testo di Vigna – mentre gli efficaci toni di voce caldi e profondi descrivono emozioni, aneddoti, fatti storici, esperienze e desideri di un uomo che, seppur vissuto nel ‘900, pensava al futuro e si può considerare pertanto un’avanguardista.
La storia vera del personaggio genuino, viene quindi trasmessa in modo semplice come semplice è la drammaturgia che passa diretta. Le sole movenze e le parole sono l’assunto che lascia libero lo spettatore di immaginare l’intero accaduto durante lo scorrere della narrazione.
Quasi come dentro un film lo spettatore viaggia all’interno di un periodo storico ampio: la belle époque la fa da padrona; il Can Can rinvigorisce le personalità; il progresso, verso una vita migliore, dona speranza. Il primo Conflitto Mondiale e il palesarsi del Secondo non diedero però un’idea di un roseo avvenire.
Peppino tuttavia non si arrende mai, sogna. La storia si basa sui sogni, appunto. Il personaggio sogna. Sogna. Continua a sognare, finché in una notte di pioggia, nel piccolo centro abitato, un verso di un animale desta la sua attenzione e i suoi ricordi: improvvisamente rimembra l’Africa, l’Eritrea, con la sua natura selvaggia e la fauna feroce, in particolare gli struzzi.
Di conseguenza si svelano davanti a noi distese infinite dove questi esemplari corrono liberi. Alti e fieri, dalle gambe lunghe ed esili, dal collo minuto ed un corpo paragonabile a un grande pallone ma che non volano, sono alcuni dei particolari che guidano Peppino a raggiungere il suo sogno.
L’insieme poetico è accompagnato per dei tratti da una scelta musicale idonea ai tempi e ai momenti contestualizzati; intanto chi assiste si lascia rapire dai fatti realmente accaduti. Grazie all’amore di sua moglie Carmela e più tardi del figlio Franceschino, l’idea del maestro si realizza: ogni tassello seguito gli permetterà di vedere la sua opera compiuta.
Gli struzzi divengono il baricentro delle circostanze: le piume prima, lo “Struzzodromo” poi, come le corse degli animali, desteranno la curiosità e l’attenzione di tutti, persino in Europa. Infine, più in là negli anni, il figlio porterà avanti l’attività del genitore, andando in giro per il piccolo paese con tanto di “reclame” a seguito.
Le vicissitudini si susseguono con una fluidità sempre sostenuta dalla declamazione di Passerotti e in questa totale immersione prendono sempre più respiro speranze e sogni: ‘I sogni si sa, non si possono sempre controllare, a volte sembrano prendersi gioco di noi e vanno ove vogliono loro‘. A noi non rimane che fantasticare e portarci dietro questo spaccato storico, l’eredità di un vissuto in bianco e nero che diventa a colori.
Annalisa Civitelli
Foto: Civitas Creativa
Ar.Ma Teatro
dal 22 al 24 febbraio
L’uomo che sognava gli struzzi
monologo teatrale di Bepi Vigna
regia Giulia D’Agostini
con Fabrizio Passerotti
audio e luci Luca Tofanelli
prouzione I Girasogni