A volte i classici vengono rappresentati in modo originale e straordinario. “Le mammelle di Tiresia”, messo in scena al teatro Maubel per la prima volta (24 giugno del 1917) per la regia di Pierre Albert-Birot, dal 12 al 17 marzo è stato ripreso sul palco del Trastevere, grazie alla visione rivoluzionaria del giovane Andrea Martella
Il dramma surrealista di Guillaume Apollinaire fu composto tra il 1903 e il 1917. L’autore francese rivisita a modo suo il mito di Tiresia, nome che risponde all’indovino greco, figura mitologica condannata alla cecità. Dietro a questa leggenda ci sono diverse teorie: la più verosimile e la più vicina alla trasposizione dell’autore francese vede il personaggio tebano passeggiare sul monde Cillene: qui assiste all’accoppiamento di due serpenti ma la scena lo infastidisce a tal punto da uccidere la femmina. Viene così tramutato in donna per sette anni, provando tutti i piaceri dell’universo femminile. Trascorso tale periodo Tiresia si trova di fronte la medesima scena: questa volta uccide il serpente maschio, per ritrovarsi nuovamente uomo.
In sala ci accolgono dei palloncini rosa sparsi sul pavimento: un chiaro riferimento alle diverse forme del seno femminile. Gli attori aprono lo spettacolo entrando dalla platea e il prologo ha inizio. Walter Montevidoni (il Direttore / il Popolo di Zanzibar) dà dunque vita alla pièce con tono carico ed energico.
Su una scenografia composta da fili argentei e un grande cerchio sullo sfondo – installazione a cura di Valerio Giacone per gentile concessione della galleria d’arte Faber – e altri elementi che definiscono l’ambientazione, le diverse figure si muovono abilmente sulla scena: ognuno di loro è padrone del proprio ruolo (e sì, perché i sei attori prestano la voce ai diversi personaggi interpretati).
Vediamo la versatile Simona Mazzanti nei panni di Teresa / Tiresia e la Cartomante; il puntuale Flavio Favale recita la parte de il Marito; il calzante Edoardo La Rosa dà voce a il Gendarme; l’effervescente Vania Lai impersona il Chiosco / Presto / il Figlio; infine, la brava Giorgia Coppi è la Giornalista parigina / Lacouf / una Signora.
L’ottima recitazione è la fetta portante di tutta l’opera: tutto il cast si esibisce in maniera corale e singola. Si percepisce infatti una sinergia che si allinea all’eccellente lavoro svolto dalla Compagnia Hangar Duchamp, la quale nel gennaio 2018 si esibì sullo stesso palco con “Il cuore a gas” di Tristan Tzara.
Ritmo e movimento dunque coincidono per donare allo spettacolo surreale e visionario un tocco originale e riconoscibile. Il costante tappeto sonoro (a cura di Attila Mona) è composto da timbri elettrici che vengono poi spezzati da una scelta musicale tipica anni ’80. Nell’insieme emerge anche la varia strumentazione che gli attori utilizzano durante l’esibizione e un microfono che pende dal soffitto rimanda gli effetti desiderati.
Seppur scritta nel secolo scorso, la storia risulta alquanto attuale: Teresa si vuole liberare del marito troppo ossessivo, pertanto desidera cambiare sesso e divenire uomo. Si sveste di conseguenza delle sue mammelle per il tanto ambito scambio di sesso. La donna anela al potere dell’uomo mentre quest’ultimo vuole ottenere ricchezza: in un giorno solo partorisce 49051 bambini.
Oltre la visione di supremazia che di fatto la donna esercita sull’uomo almeno dal principio, il sottotesto probabilmente suggerisce il senso dell’immedesimazione ovvero calzare l’una i panni dell’altro e viceversa. Questa idea potrebbe assumere valore se si pensa a un contesto, quale il ‘900, dove la donna aspirava alla libertà personale, rivestendo ruoli anche di spessore.
Al contrario, se si guarda l’intero scenario nel particolare periodo storico come quello attuale viene immediatamente da pensare che nel corso dei secoli poco cambia, soprattutto se sulla donna continuano ad essere perpetrati atti di violenza, di diseducazione e di svalutazione civile che lasciano la collettività esterefatta e immobile di fronte a certe sentenze, e l’autorità è ancora delegata all’uomo.
L’esibizione dall’impeccabile regia e in cui tutto funziona alla perfezione – persino i costumi scelti da Anthony Rosa sono funzionali e vantano una meticolosa ricercatezza – ci lascia dunque riflettere su più fronti e forse, proprio oggi, dovremmo comprenderne la parte positiva, per accrescere le nostre personali capacità e conoscenze, senza tuttavia ostacolarle con violenza e superiorità. Dovremmo vivere ognuno nel rispetto dell’altro assolvendo ciascuno ai doveri personali con giudizio e responsabilità.
Annalisa Civitelli
Foto Manuela Giusto
Teatro Trastevere
dal 12 al 17 marzo
Le mammelle di Tiresia
dramma in due atti e un Prologo
di Guillaume Apollinaire
regia Andrea Martella
personaggi ed interpreti:
Simona Mazzanti Teresa-Tiresia / la Cartomante
Flavio Favale il Marito
Edoardo La Rosa il Gendarme
Vania Lai il Chiosco / Presto / il Figlio
Giorgia Coppi la Giornalista parigina / Lacouf / una Signora
Walter Montevidoni il Direttore / il Popolo di Zanzibar
ambienti sonori Attila Mona
disegno luci Pietro Frascaro
costumi Anthony Rosa
installazione scenografica Valerio Giacone e foto Manuela Giusto
per gentile concessione della galleria d’arte Faber si ringrazia Cristian Porretta