“Truman Capote. Questa cosa chiamata amore” andato in scena nel centralissimo Off Off Theatre della capitale, dal 15 al 17 marzo, è un monologo che omaggia il celebre scrittore statunitense. Gianluca Ferrato nei panni di Capote, drammaturgo americano omossessuale, che ha vissuto l’apice della propria carriera negli anni ’60 e’70, offre al pubblico una splendida interpretazione
Nell’enormità della sua attività letteraria, Truman Capote è noto al mondo grazie al suo romanzo “Colazione da Tiffany”(1958) reso ancor più celebre dalla trasposizione cinematografica, e al romanzo verità “A Sangue freddo” (1966).
Il film, vincitore di ben 4 premi Oscar, tra i quali l’interpretazione di Audrey Hepburn, divenuta icona di stile nel mondo grazie a quel ruolo, e la migliore colonna sonora “Moon River” fece lo strepitoso incasso di 22 milioni di dollari.
Il secondo, invece, tratta l’intervista ai due assassini della famiglia Clutter, in Kansas, coniando il primo esempio di non-fiction novel, ispirandosi a fatti realmente accaduti. L’autore infatti decise di recarsi sul posto dopo che la polizia brancolava nel buio. Il libro è stato tradotto in 37 lingue ed è divenuto anch’esso un film, specchio della società americana violenta a causa della facile vendita delle armi.
Il monologo, dai registri intellettuali e scritto da Massimo Sgorbani, si apre nella casa di Truman: pochi dettagli scenografici a cura di Massimo Troncanetti, come tavolo, sedie e la vestaglia da camera, ci fanno entrare nell’interiorità dello scrittore. Gianluca Ferrato ne incarna le sembianze in modo verosimile ed è molto efficace nel modulare la voce come da “checca isterica“.
L’attore quindi si presenta sul palco più somigliante possibile al personaggio che interpreta: indossa degli occhiali e inoltre ha il fisico mingherlino come Capote di mezza età. Le confidenze intime affrontano vari temi: dalla difficoltà di essere amato da bambino, al suo essere un cosiddetto “finocchio” in un’America troppo puritana e benpensante. Ferrato – Truman sostiene infatti che è meglio avere costumi sessuali liberi, invece di reprimersi troppo, altrimenti si diventa aggressivi e violenti. Si diventa se stessi solo “comportandosi male“.
Lo sfondo sociale dell’epoca viene dunque contestualizzato dalle vicende politiche ed economiche in un paese che divulga libertà e democrazia da un lato (le battaglie degli attivisti di colore Rosa Parks e Martin Luther King; i famosi moti di Stonewall, dove lo scontro tra la polizia e gli attivisti per i diritti dei gay del 1969 durarono ben tre giorni. Molti manifestanti vennero pestati e feriti con i manganelli: circa 1000 persone reagirono contro il focolaio provocato dai 200 agenti. Finalmente, nel 1973, l’“American Psychiatric Association” elimina l’omosessualità dalla lista dei disturbi mentali); mentre dall’altro riesce solo a tacere su faccende delicate e serie.
Emergono perciò dinamiche che intrecciano le idee dei Presidenti USA che hanno sempre preferito le armi, invece di scegliere la pace. Anche i fratelli Kennedy rientrano in questo quadro storico seppur più pacifisti: sono morti con molti scheletri nell’armadio, sfruttando la Monroe sino a farla suicidare. Per non parlare poi della meschinità della guerra in Vietman e contro il comunismo.
Quanto ad ipocrisia, Capote descrive delle feste mondane trascorse assieme allo “star system“, dove politici o ricchi imprenditori sposati e con prole si scambiavano i numeri di telefono delle migliori prostitute di Las Vegas ed apprezzavano i fiumi di vodka Martini offerti dal libertino scrittore.
Nel parlare di sé Ferrato – Truman continua riferendosi anche ad un’amica immaginaria, definendola per gran parte del monologo “tesoro, tesoro mio“. Si evincerà, dopo alcuni passaggi, che egli si rivolge a Marylin Monroe ma non come “femme fatale” degli anni d’oro di Hollywood, bensì come Norma Janes Baker, donna sensibile e generosa, capace di amare e di essere amata in una cornice di semplicità e di spontaneità.
Ferrato, guidato alla regia da Emanuele Gamba, sfoggia una recitazione impeccabile ed è immerso in un’atmosfera connotata dai colori predominanti del display scenografico e da alcuni costumi di scena (Elena Bianchini): il bianco e il nero. Le prime luci ci rimandano quasi al gioco delle ombre, supportando le scelte tecniche molto convincenti, in quanto elogiano il famosissimo party in bianco e nero, organizzato nel 1966 dallo scrittore dandy.
Il vero amore, ricordiamolo, è davvero qualcosa di raro da trovare per essere apprezzati dalla società, soprattutto in mezzo a tanti stereotipi e a maschere collettive. Tanti gli sforzi dell’artista dunque, nel bene e nel male, per combattere la sua solitudine.
Alessandra Bettoni
Foto Neri Oddo
Off Off Theatre
dal 15 al 17 marzo
Truman Capote. Questa cosa chiamata amore
scritto da Massimo Sgorbani
impianto e regia Emanuele Gamba
con Gianluca Ferrato
scene Massimo Troncanetti
costumi Elena Bianchini
assistente alla regia Jonathan Freschi
presentato da Florian Metateatro
in collaborazione con il Teatro Nazionale della Toscana