Mamadou Dioume:
“Il teatro indica, anticipa, diverte, spinge a porci domande”
Abbiamo incontrato Mamadou Dioume, attore e collaboratore del leggendario regista britannico Peter Brook.
In scena già dagli anni ’60, l’artista franco senegalese si è sempre distinto per una presenza scenica imponente e la dedizione alla ricerca e, proprio grazie a Peter Brook, Dioume ha portato in scena per ben quattro anni consecutivi il ruolo della sua vita: Bhima nel “Mahābhārata”.
Attivo sia sulle scene che nel cinema, Mamadou Dioume recita in tre lingue e negli anni si è anche dedicato con successo alla regia ma soprattutto all’insegnamento: da più di venticinque anni Dioume tiene workshop e laboratori in tutta Europa e in Africa.
Da tempo residente in Italia, Mamadou (proprio col suo nome ama farsi chiamare) prosegue a lavorare alternativamente come attore e come pedagogo e continua a trasmettere insegnamenti e segreti fondamentali per le carriere di tantissimi giovani attori.
La sua è una carriera lunghissima e piena di successi ma, fondamentalmente, cosa significa per lei essere un attore?
“Essere attore per me vuol dire aprirsi, spogliarsi di ogni cosa e lasciarsi attraversare completamente dai flussi emozionali che si generano in noi. È un lavoro difficile che ci mette costantemente di fronte ai nostri limiti e ai nostri blocchi interiori ed è proprio lì che dobbiamo intervenire affinché possiamo donarci completamente. Il teatro è un’offerta, è condivisione. L’attore non deve mai cadere nell’esibizionismo o lasciarsi ingabbiare in una tipologia di personaggio: l’attore deve essere molteplice”.
Per anni lei ha collaborato con il celeberrimo regista inglese Peter Brook: quali sono gli insegnamenti più importanti che Brook le ha lasciato e continua a lasciarle?
“L’incontro con Peter è stato molto importante nella mia carriera. Quando ci siamo conosciuti ero già un attore affermato in Senegal ma ho ricominciato tutto da capo. Peter mi ha insegnato la generosità, la disponibilità rispetto al lavoro, a se stessi, al gruppo, al testo, allo spettacolo. Peter ha sempre cercato di far apparire l’essere che giace dentro l’involucro carnale che ci avvolge: serviva un cambiamento nel teatro e l’abbiamo realizzato”.
Quale è il teatro che Mamadou Dioume ama vedere come spettatore?
“Amo guardare un teatro autentico, pieno di emozioni e significati, che racconti la vita senza illustrarla, che accordi attori e spettatori come strumenti di un’unica grande orchestra”.
Lei è reduce dallo spettacolo “Il quarto vuoto” di Gina Merulla: cosa ha rappresentato questo lavoro per lei?
“‘Il Quarto Vuoto’ è stato un lavoro molto impegnativo sia dal punto di vista psicologico sia emotivo. A partire dalla drammaturgia abbiamo intrapreso un viaggio interiore fatto di impulsi, attitudini, istinti primordiali. Eliminando la nostra sfera personale abbiamo cercato di parlare dell’essere umano: questa era la direzione scelta da Gina, noi attori abbiamo metabolizzato questo percorso e tutto è venuto fuori, a fior di pelle”.
Lei è nel mondo del teatro da tanti decenni, quale futuro vede per questa meravigliosa forma di arte?
“Il teatro indica, anticipa, diverte, ci spinge a porci domande. Per me è un seme cui corrisponde una crescita interiore ed esteriore che permette di innalzarsi e innaffia i rapporti umani. Oggi siamo davanti al rischio che sia cancellata questa fonte come se dovessimo rimanere nell’oscurantismo; il teatro deve ritrovare le premesse di Aristofane e di Brecht, riscoprire il suo ruolo sociale e continuare il suo cammino verso l’universale”.
Da diversi anni lei tiene dei seminari per giovani attori, sempre di successo e molto frequentati: quale lavoro fa Mamadou Dioume e a quali progetti sta lavorando attualmente in quanto insegnante?
“Spiegare il mio lavoro mi è difficile visto che ogni incontro è diverso dal precedente: quando differenti persone, individui unici, entrano nella sala teatrale qualcosa accade e l’esito è sempre imprevedibile. Partiamo sempre da un lavoro fisico e vocale intensivo e un training emotivo profondo per poi avvicinarci al testo ed esplorarlo in tutte le sue potenzialità. Sto svolgendo un progetto formativo con Gina Merulla al Teatro Hamlet e tengo seminari in tutta Italia per trasmettere qualcosa che sia una necessità e un bisogno per chi incontro”.
Quando potremo rivederla in scena?
“Dopo le ultime repliche de ‘Il Quarto Vuoto’ mi auguro presto e sarà una bella sfida portare questo lavoro in diversi contesti culturali. Ho ancora fame e sete e l’incontro con il pubblico è uno stimolo essenziale per me ma come si dice in francese ‘Je ne veux pas etre l’arbre qui cache la foret’ – non voglio essere l’albero che oscura la foresta – perché avete tanti bravi ragazzi in gamba qui in Italia e bisogna dar loro una chance”.
Gabriele Amoroso