Alessio Arena: “Con ‘Atacama!’ vi racconto il Sud del mondo”
La pubblicazione del disco ‘Atacama!’ è un’occasione che non ci siamo fatti sfuggire per una proficua conversazione con Alessio Arena, scrittore napoletano, spagnolo di adozione e con una marcata inclinazione musicale.
‘Atacama!’ è un lavoro che ha visto la luce tra Napoli, la Spagna e il Cile e ci narra di colori, sensazioni e verosimilmente vocazioni del Sud del mondo; quest’ultimo concetto, la chiave per capire il messaggio di Arena.
Quindi, la scoperta, almeno per noi, di un artista che porta con sé l’urgenza di comunicare in maniera completa e con tutti i canali a sua disposizione. Una sfida ardua ma perfettamente in linea con i tempi.
Il suo ultimo disco, “Atacama!” è un concentrato di anime latine: Napoli, Spagna e Cile. Qual è secondo lei l’elemento unificatore, se presente, di queste tre entità geografiche?
“Ce ne sono tantissimi di elementi in comune. A voler soffermarsi solo su uno di essi, potremmo dire che sono tre latitudini geografiche con una storia di emigrazione. Il sud è una prospettiva di vita. Quella di coloro che sono nati sulla riva più difficile del mondo”.
Lei, oltre che musicista è anche scrittore. C’è qualcosa in comune nel processo creativo tra musica e letteratura?
“Non qualcosa, tutto. Canzone e romanzo hanno solo un’urgenza diversa. Più immediata, la prima, più articolato, dosificato, filtrato, il secondo. Ma io non sono anche uno scrittore. Sono solo uno scrittore. Canto e compongo musica perché considero la letteratura nella sua accezione più ampia e allargata. Una letteratura performativa. L’idea dello scrittore chiuso in casa a sgobbare su una scrivania è rispettabile e affascinante anche per me. Ma forse un po’ superata. Io, quando non sono a scrivere, porto il mio racconto su un palco e davanti a un microfono. Ma non sono l’unico. È una tendenza innegabile, questa della letteratura multimodale, e non le nascondo quanto mi sorprenda che mi si faccia sempre questa domanda. Immagino che lei sia molto più giovane di me e probabilmente sarà un assiduo spettatore di Netflix. Ecco, lì, se vede bene, ci sono sceneggiatori che interpretano, girano, fanno le musiche del proprio telefilm”.
Tornando al suo ultimo lavoro discografico, qual è stato l’elemento ispiratore per la sua ideazione?
“‘Atacama!’ è un viaggio attraverso tradizioni musicali di latitudini diverse. Un viaggio verso casa, certo, verso Napoli. Ma con i bagagli pieni delle musiche e delle storie che ho raccolto in questi anni, in cui ho viaggiato parecchio. Ho pubblicato un nuovo romanzo e ho vissuto un periodo di sei mesi in Cile, nel deserto del Grande Nord. Lì ho cominciato a scrivere le canzoni di questo nuovo disco. E lì ho incontrato Manuel García, un artista che da molti è considerato il nuovo Victor Jara e che duetta con me nel brano che dà nome al disco”.
Abbiamo trovato una netta differenza di interpretazione vocale tra i brani in spagnolo rispetto a quelli in italiano. Ci potrebbe spiegare il perché di questa scelta interpretativa?
“Mi intriga quello che dice. È la prima volta che mi fanno notare questa cosa. Dunque, se mi permette, le risponderei con un’altra domanda: a cosa si riferisce quando parla di differenza interpretativa? Io, napoletanofono nativo, ho imparato a parlare italiano e spagnolo quasi in contemporanea, a sei anni. Perché da allora, per infinite vicissitudini familiari, la mia vita è divisa tra Spagna e Italia. Ho inciso molti dischi in spagnolo, molti in collaborazione con altri artisti catalani. Su un piano puramente tecnico-musicale, bisogna ricordare anche che questo disco ha avuto sei produttori diversi. Il fatto che le canzoni suonino molto diverse è un scelta. Ho sempre trovato forzata l’idea di un disco inciso in una settimana in uno stesso studio, con un suono univoco dalla prima all’ultima traccia”.
Lei è uno dei tanti italiani che vive all’estero, per l’esattezza a Barcellona: che differenze trova, in ambito lavorativo, rispetto all’Italia?
“Vivere di musica e di letteratura credo sia più o meno lo stesso in ogni paese d’Europa. In generale, non esiste un grande rispetto per chi dedica la propria vita a lavori di creatività. Barcellona è una città apparentemente libera e aperta. Ma bisogna faticare per sentirsi davvero integrati”.
Da conoscitore del mondo di lingua spagnola, come definirebbe in poche parole quel contesto culturale?
“Senso tragico della vita. Fatalismo. Contestazione politica. Fascismi ricorrenti. Buona musica. La letteratura più libera del mondo”.
Per concludere, la sua vita finora è stata curiosa e prodiga di espressione artistica. Cosa augura a Alessio Arena per il futuro? O meglio, quali i suoi obiettivi più ambiziosi?
“Mi piacerebbe poter incontrare quante più persone possibili. Posso risponderle così? L’ambizione più grande credo sia quella di poter condividere il proprio racconto con quante più persone siano disposte ad ascoltare”.
Sergio Battista