Jacqueline Bulnés: “Danza, teatro fisico e musica dal vivo, una combinazione molto rischiosa”
Abbiamo incontrato la ballerina, coreografa e direttrice americana che sta cercando di sbarcare il lunario qui in Italia. Jacqueline Bulnés ci racconta infatti del suo intento di costruire un suo pubblico in un paese in cui è difficile far arrivare la danza contemporanea.
La giovane artista internazionale ha alle spalle una lunga carriera che sin dagli esordi le conferisce anche riconoscimenti importanti. Lavora nel nostro paese, in Danimarca, in Inghilterra e negli Stati Uniti con uno spirito infaticabile e professionale.
Nel suo ultimo lavoro, ‘The Gravity Between’, riesce a coinvolgere musicisti danesi, quattro attori italiani e una ballerina canadese.
All’interno del progetto la sinergia è percettibile e lo stesso vive di un respiro innovativo, basandosi sulle energie che gli esseri umani trasmettono tra loro. Il concetto di gravità è dunque la forte spinta che ha motivato la Bulnés a intraprendere un’esperienza vitale: l’incontro e il dialogo con le diverse culture.
Perché “The Gravity Between”: la gravità è intesa come energia vitale? Quasi una sorta di calamita capace di avvicinare gli esseri umani?
“Per me è proprio così. Il nome del nostro progetto è stato ispirato da una forte energia che ha riunito ciascuno degli artisti coinvolti. Quindi, essendo animato dall’idea di questa forza energetica, abbiamo usato questo concetto come tema per costruire movimento e suono”.
Quanta valenza ha per lei il contatto con le persone?
“La connessione umana è fonte essenziale per la mia arte in qualità di coreografa. Gran parte del mio lavoro si concentra infatti sull’impressione che le persone provano a vicenda e sui momenti reali che stimolano il cambiamento”.
Il progetto ha un’anima internazionale: quanto è importante lavorare con colleghi di altre nazionalità?
“Il mio lavoro di coreografa è iniziato a Roma con un gruppo di attori che ha creduto nella mia visione creativa. La nostra collaborazione è stata piena di vita e vitalità tanto da invogliarmi a esplorare altri scambi culturali come quello internazionale, per me estremamente importante”.
Cosa ha acquisito da questa esperienza?
“Essa mi ha insegnato a migliorare la comprensione e la comunicazione verso le altre culture attraverso il movimento, la voce e il suono. Inoltre ha reso l’esperienza stessa più gratificante!”
È stato faticoso catturare la platea italiana?
“È la prima volta che produco uno spettacolo di danza, teatro fisico e musica dal vivo. La combinazione di questi tre generi è molto rischiosa, poiché richiede un pubblico abituato a generi differenti. Per questo motivo, talvolta, lo spettatore non è sicuro di come rispondere a ciò che vede e tale confusione potrebbe tradursi in modo negativo. Tuttavia, penso di essere riuscita a raggiungere un nuovo pubblico aperto a questo tipo di performance. Ora non ci resta che scoprire dove si nasconde il resto degli spettatori”.
Nella performance si respira un senso di libertà e di ri–nascita, è così e a che scopo?
“Onestamente, da quando ho iniziato a lavorare come coreografa mi sono sempre interessata, più che al senso di libertà, ai temi della morte e alla rinascita. Questo potrebbe avere a che fare con la morte di mia madre, quando avevo 18 anni. Spesso si presenta ancora nei miei sogni come se fosse ancora viva e vivesse in un’altra parte del mondo. La vedo, ma non riesco a raggiungerla. Credo nel movimento e nello spostamento dell’energia e di come sia sempre presente, sia nella morte sia nella vita”.
Cosa possiamo imparare dal lasciarsi andare e dunque a liberarci dalle nostre paure?
“Se possiamo imparare a vivere più liberamente, non permettendo alla paura di stordirci negativamente, allora penso che possiamo vivere una vita più piena”.
Tra trama e danza c’è correlazione?
“Si. Il mio obiettivo è infatti condividere storie con il pubblico e desidero, al contempo, che lo stesso usi la propria immaginazione mentre assiste a una rappresentazione. Spero che, attraverso il movimento, il suono e la parola, ognuno possa vivere il proprio viaggio ed esserne toccato in maniera diversa”.
Che valore ha per lei il ballo?
“Ho iniziato a ballare molto giovane, dopo aver visto danzare mia sorella. Quando ero un’adolescente, mia madre era molto malata e mia sorella ha lasciato la nostra casa a causa del dolore. Circa due anni dopo, dopo la morte di mia madre, ho quasi smesso di ballare, perché non avevo mia sorella accanto a me; qualcosa però mi ha convinto a continuare e quel ‘qualcosa’ era ciò che mi ha tenuto vicino a loro durante tutti questi anni”.
Secondo lei, qual è l’approccio del pubblico: come reagisce la platea al suo spettacolo di danza contemporanea?
“Come accennavo in precedenza, sto cercando di ‘costruire’ il nostro pubblico in Italia ma probabilmente ci vorrà del tempo. Mi sembra infatti che nel vostro paese chi ama la danza sia abituato a vedere solo la danza tradizionale, che però ho abbandonato molti anni fa. Spero pertanto che il nostro pubblico da voi cresca, poiché abbiamo quattro italiani nella nostra compagnia. Allo stesso tempo continuerò a esibirmi in paesi dove ho già guadagnato l’interesse e il rispetto della platea: Danimarca, Inghilterra, Scozia e Stati Uniti”.
Perché venire a vedere “The Gravity Between”?
“Se non conosci la mia arte e la mia danza potresti sperimentare qualcosa di nuovo, ispirato alla connessione umana eseguita da talentuosi artisti internazionali. Ulteriormente potresti rimanere sorpreso o pieno di domande e, dopo aver assistito alla performance, te ne andrai cambiato. Prova a venire e ti garantisco che non te ne pentirai: potresti addirittura godere dello spettacolo!”
Annalisa Civitelli