Singolare serie di successo o ennesima soap opera?
La serie televisiva spagnola ideata da Álex Pina ha iniziato le riprese per la quinta e ultima parte. In attesa del rilascio dei nuovi episodi su Netflix, andiamo ad analizzare le stagioni disponibili finora nel tentativo di individuare il punto di svolta che ha trasformato una piccola serie tv in fenomeno mondiale
Indicare con precisione gli ingredienti per uno show di successo non è un compito facile. Forse ‘La casa di carta’ è riuscita ad avere presa sul pubblico per la facile fruibilità o per le sfumature da soap applicate a una serie d’azione, oppure perché mette in scena una domanda che un po’ tutti ci siamo posti: “è possibile realizzare la rapina perfetta?”.
Si tratta di questo, dunque, di una rapina. Oltre al semplice furto però, alla base della serie c’è il tema della battaglia contro il capitalismo portata avanti dai Dalì, banda di rapinatori in tuta rossa che vogliono destabilizzare il sistema attaccandolo attraverso una speciale incursione nella Zecca di Stato.
Sono guidati dal Professore (interpretato da Álvaro Morte), uomo ossessionato dalla precisione e dal talento invidiabile che mette a punto il colpo. La voce narrante della protagonista Tokyo (la bellissima Úrsula Corberó) segue e descrive la vicenda.
Sicuramente il riadattamento delle puntate a opera di Netflix (inizialmente sono state trasmesse dal canale “Antena 3”) è stato il punto decisivo che ha permesso al potenziale di questa serie di esprimersi appieno, al punto tale da farla diventare un’opera televisiva più popolare non in lingua inglese.
Le due parti che compongono la prima stagione sono state un trampolino di lancio: l’idea di base era semplice e geniale ed è stata articolata con successo. Tuttavia, avendo avuto una conclusione abbastanza netta degli avvenimenti in questione ovvero il termine della rapina e unico argomento delle puntate, molti erano diffidenti all’annuncio dell’inizio delle riprese per i nuovi episodi.
A oggi, con il senno di poi, avevano ragione a esserlo. Visionando invece la terza e quarta parte riguardanti le vicende successive alla chiusura della prima rapina, sembra che la serie non abbia più niente di nuovo o comunque di interessante da dire.
Si percepisce che le due nuove stagioni sono state realizzate sotto l’influenza dell’enorme successo delle precedenti: i fatti sono forzati, le situazioni surreali, i personaggi troppo stereotipati. Una limitazione dunque negativa che ha portato un prodotto efficace a trasformarsi quasi in una sitcom adolescenziale in cui i protagonisti cambiano partner con una facilità estrema pur di far progredire la storia e di interessare un minimo il pubblico.
Li vediamo infatti improvvisarsi in delicatissime operazioni chirurgiche senza alcuna competenza medico–scientifica, portare a termine con successo tali interventi e addirittura arriviamo a vedere i pazienti non risentire dei traumi post–operatori.
Un ulteriore elemento di tentennamento è il continuo sostegno che i membri della banda ricevono dalla popolazione spagnola che risulta non del tutto immotivato e privo di fondamenti logici: per quanto possiamo considerare i “Dalì” come unici portavoce del dissenso popolare e ultimi baluardi della rivolta contro il sistema, stiamo pur sempre parlando di criminali che infrangono la legge, che utilizzano la forza e che tengono in ostaggio persone innocenti per il proprio tornaconto.
Si può giustificare ciò ammettendo che il loro intento non è quello di rubare ma di stampare autonomamente i soldi durante la prima rapina, tuttavia tale obbiettivo viene smentito durante il secondo furto quando decidono di derubare la Banca di Spagna.
Il punto più fallace però si rivela quello che paradossalmente doveva essere la punta di diamante dei nuovi episodi: il continuo ritorno del personaggio di Berlino (Pedro Alonso). L’espediente dell’uso dei flashback di rivela un’incredibile forzatura, poiché le storie che lo vedono protagonista risultano come un tentativo, da parte degli autori, di porre rimedio all’errore di averlo escluso al termine della seconda stagione.
Sul lato tecnico nulla da eccepire: ottimi movimenti di macchina, il montaggio è funzionale al tipo di narrazione, effetti e sonoro ben lavorati.
A questo punto tirare le somme de ‘La casa di carta’ risulta un compito non facile: il grande successo dell’inizio è stato appianato dalle due nuove parti disponibili finora che hanno riportato l’indice di gradimento a un netto cinquanta / cinquanta. In definitiva rimane comunque un prodotto godibile nella sua semplicità. L’uscita dell’ultima stagione – la cui data di rilascio non è ancora stata annunciata – si rivelerà il sassolino che farà pendere la bilancia più dal lato del “si” o del “no”.
Andrea Maresi
La Casa di Carta
di Àlex Pina
con
Úrsula Corberó Silene Oliveira / Tokyo
Itziar Ituño Raquel Murillo / Lisbona
Álvaro Morte Sergio Marquina / Salvador Martín / Il Professore
Paco Tous Agustín Ramos / Mosca
Pedro Alonso Andrés de Fonollosa / Berlino
Alba Flores Ágata Jiménez / Nairobi
Miguel Herrán Aníbal Cortés / Río
Jaime Lorente Daniel Ramos / Denver
Esther Acebo Mónica Gaztambide / Stoccolma
Enrique Arce Arturo Román
Paese Spagna
Anno 2017 – in produzione
Genere Drammatico, Azione
Produzione Atresmedia (parte 1-2), Vancouver Media (parte 1-in corso), Netflix (parte 3-in corso)
Distributore Antena 3 (parte 1-2), Netflix
Livia
Settembre 3, 2020 @ 7:48 pm
Bella analisi, con la quale sono d´accordo, dovevano avere il coraggio di finire la serie come era stata pensata o cambiare totalmente direzione per le serie successive (introdurre un concetto nuovo), cosí é solo un gran peccato perché poi in fine le ultime puntati sono quelle che ti rimangono piú addosso (vedi the games of thrones o dexter)!
Inoltre Berlino, il personaggio che ho amato di piú, é forse il personaggio chiave della serie e re-introdurlo con dei flashback é un escamotage non riuscito, anche qui, avrebbero dovuto avere piú coraggio e abbandonarne l´idea.