Giulio Base:
“Lottare per la memoria affinché venga rispettata e valorizzata”
Il regista torinese torna alla regia con il film ‘Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma’, pellicola che è stata scelta tra le preaperture della Festa del cinema di Roma 2020 e andata in onda su Rai Uno il 6 febbraio scorso. Il film, sceneggiato da Giulio Base con Marco Beretta e Israel Cesare Moscati, ci fa compiere un viaggio nella memoria attraverso le/i giovani protagoniste/i.
Di solito le pellicole sulla Shoah, e più in generale sul nazismo, hanno al centro della loro narrazione i rastrellamenti a tappeto, i campi di sterminio e le SS.
In ‘Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma’ Base, attore, regista e sceneggiatore, che da sempre spazia tra cinema e televisione con molta disinvoltura, si concentra su un dramma storico mediante uno sguardo inedito.
Il regista parte dalle studentesse e dagli studenti che vivono nella Roma contemporanea per donare al film un registro prettamente giovanile, tanto desiderato da Israel Cesare Moscati, figura rilevante per Base; egli poi ci racconta che per lui questa ultima esperienza è stata indimenticabile e auspica che sia stato un buon esempio per le ragazze e i ragazzi che ha diretto.
La direzione del lungometraggio gli ha permesso inoltre di entrare in contatto con il Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, per una consulenza e per dirigere il suo sguardo verso una verità storica, vivida testimonianza soprattutto rivolta alle giovani generazioni.
Giulio Base, il suo ultimo film “Un cielo stellato sopra il Ghetto di Roma” rimarca l’importanza della memoria: quanto è rilevante lavorare sulla memoria in questo mondo contemporaneo e iper–rapido?
“Proprio perché il mondo è in continua trasformazione e proprio perché l’avvento tecnologico ci sta fagocitando un po’ tutti (nel bene e nel male), credo sia ancor più importante e rilevante – oserei dire fondamentale – insegnare la storia, comunicare il valore della memoria e se necessario anche lottare perché questa venga rispettata, valorizzata e non confutata né tantomeno negata”.
La sceneggiatura di “Un cielo stellato sopra il Ghetto di Roma” è stata scritta dal regista Israel Cesare Moscati e da lei ripresa: quanto ha imparato da questa figura significativa che ha sempre divulgato la sua cultura ebraica rimarcando sul valore della memoria?
“Israel per me è stato innanzitutto un grande amico dal quale ho imparato tantissimo: la volontà inesausta di lottare per un’idea nella quale si crede, la voglia di ribellarsi a uno stato di cose sbagliato, la perseveranza nella fermezza del ‘ricordare’ e il forte desiderio di lavorare prima di tutto su se stessi per poi comunicare agli altri quella che è la capacità di vincere un dolore (mi riferisco sia alla deportazione del ghetto, sia alla Shoah che lui ha vissuto sia sulla propria pelle che su quella della sua famiglia, ferite che ha portato addosso per tutta la vita e che con questo e altri lavori ha cercato di guarire mentre faceva una meravigliosa e importante opere di divulgazione)”.
Il target del lungometraggio è prettamente giovanile: ci spiega il motivo di tale scelta e in che modo hanno accolto il copione le ragazze e i ragazzi da lei diretti?
“Anche in questo caso l’idea del pubblico a cui rivolgersi era proprio di Israel, il quale voleva parlare soprattutto alle giovani generazioni”.
Come è stato guidare un folto gruppo di adolescenti?
“È stata un’esperienza indimenticabile e spero di essere stato un buon esempio per loro. Tant’è vero che la mia piccola ‘furbata di intelligence’ è stata mischiare nel gruppo dei dieci o quindici ragazzi protagonisti anche due dei miei marmocchi così che potessi trattare non solo loro ma anche tutti gli altri come veri e propri figli: mi auguro pertanto di essere stato per loro un buon ‘padre’ (fatto sta che c’è un rapporto tra noi del film che potremmo dire sarà per sempre piuttosto speciale)”.
Infine, per girare questo film si è ispirato a un altro film sulla Shoah in particolare oppure è frutto di una storia originale?
“Ho visto e rivisto i grandi ‘classici’ sulla Shoah (da Spielberg e Benigni a tutti gli altri film) però poi ho cercato di dare – umilmente – un mio sguardo originale, moderno. Fermo restando il fatto che più che far le cose ‘belle’, ho cercato di far le cose ‘vere’ (e in questo devo ringraziare l’eminente figura del Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, per la consulenza, per l’avermi seguito in ogni fare della realizzazione, per l’avermi aiutato e spronato verso la verità)”.
Maria Vittoria Guaraldi
Foto dal web