Federico Maria Giansanti: “La scrittura parte sempre da un’urgenza personale. Un testo funziona se racconta veramente qualcosa che è partito da un bisogno”
Federico Maria Giansanti è un giovane sceneggiatore e drammaturgo, autore di ‘Safe’, spettacolo teatrale in arrivo a Roma dopo aver conseguito numerosissimi riconoscimenti in giro per tutto il mondo.
Giansanti dimostra di avere idee molto chiare in quanto autore cinematografico e teatrale e i temi che più lo interessano sono sempre al centro delle sue produzioni.
Nel caso dell’atteso ‘Safe’ è stata la pandemia a fungere da detonatore per l’idea, prova palese di come, con la giusta ispirazione e con il talento, anche da eventi oggettivamente avversi possa scaturire qualcosa di creativo.
La solitudine e la psiche umana sono i contesti che Giansanti ama indagare a fondo e in ‘Safe’ naturalmente questi non mancheranno: è molto probabile che questo spettacolo sarà difficile da dimenticare.
Federico Maria Giansanti, la storia raccontata in ‘Safe’ è senza dubbio unica: da dove è arrivata l’idea?
“L’idea di ‘Safe’ è venuta durante il primo confinamento. Volevo raccontare quello che stavamo vivendo e in quel periodo ho scritto alcune storie di personaggi che mi incuriosiva approfondire utilizzando come sfondo quel maledetto periodo. Inizialmente ‘Safe’ era (è ancora) una sceneggiatura di un corto cinematografico, ero partito da una concezione visiva del lavoro e quindi immaginando e descrivendo ambienti freddi e di montagna dove la solitudine era il principale fattore da indagare. Ho iscritto questa sceneggiatura ad alcuni festival indipendenti in giro per il mondo (questo è il potere di internet) e ho visto che riusciva a vincere in Paesi come l’India o gli USA o anche l’Italia stessa visto che vinse il “Desenzano Film Festival 2020” come miglior sceneggiatura originale. Da qui l’idea di provare a portarlo in teatro e di cercare di fare lo stesso percorso visto che comunque le rappresentazioni dal vivo non erano permesse”.
‘Safe’ ha ricevuto numerosissime critiche positive: se le aspettava?
“No, non me le aspettavo ed è stato un enorme piacere vedere come sia riuscito ad arrivare così tanto uno spettacolo principalmente visto in streaming. Inoltre è curioso vedere come cambiano le percezioni di paese in paese: gli USA sono stati entusiasti di questo lavoro e lo hanno percepito come qualcosa che li riguardasse personalmente e che li coinvolgesse e trascinasse all’interno della storia, qui in Italia l’apprezzamento è tanto ma sempre con un certo distacco emotivo dettato, credo, dalla paura di affrontare alcuni demoni personali”.
Secondo lei perché questo lavoro è piaciuto così tanto?
“Secondo me questo lavoro lo si apprezza se non si pensa alle parole di riferimento al contesto in cui è ambientato. Mi spiego, ‘Safe’ parla di isolamento, solitudine, dubbio, perdita della fiducia e della fede, tutti fattori che possono esistere nella vita di tutti i giorni e che vengono portati in scena all’interno di un contesto storico e ambientale specifico: il lockdown. Se si parte pensando che questo sia uno spettacolo sul Covid–19 ci si sbaglia, perché in questo contesto apocalittico ci sono dei riferimenti chiari ma la parola virus viene detta solo due volte. Io credo che le persone stiano apprezzando tanto questo spettacolo, in quanto si affezionano a Suor Elisabetta (nella versione inglese Sister Daisy), sono connessi con lei e la seguono per tutto il suo viaggio facendo il tifo e subendo anche le delusioni. Credo che il pubblico si trovi molto in sintonia con questa giovane suora”.
La singolarità di questo lavoro lascia intendere che lei sia interessato a narrazioni insolite: quali temi ama approfondire quando scrive?
“I temi fondamentali da approfondire per me sono sicuramente la solitudine che è una cosa di cui ho paura. La scrittura parte sempre da un’urgenza personale. Un testo funziona se racconta veramente qualcosa che è partito da un bisogno. Per me il bisogno principale è quello di indagare l’essere umano e la sua condizione. La solitudine è un argomento che si riversa in un altro tema, la paura di non avere il futuro che si desidera, di non trovare la compagnia giusta con cui camminare. La mia indagine parte da questo ed è iniziata in modo spontaneo, da un mio bisogno di raccontare per poi parlare col pubblico e sentire il parere delle persone di tutte le età e imparare sempre di più”.
Quale è invece il teatro che ama vedere come spettatore?
“Il teatro che amo vedere da spettatore è il teatro che lascia qualcosa, non deve per forza mandare un messaggio ma deve lasciare in me una domanda, un dubbio, una scoperta, un sentimento. Il teatro lo amo se viscerale, coinvolgente. Il teatro che mi piace è quello in cui percepisco che l’attore è totalmente nella storia, nella situazione, nei silenzi, nelle parole. Mi piacciono meno le cose sperimentali dove la ricerca diventa un mezzo di vanto per differenziarsi, quegli spettacoli mi piacciono ma non mi lasciano molto”.
Meglio di quanto potessimo aspettarci, lo spettacolo dal vivo sembra ripartito a pieno ritmo: i lunghi periodi di stop hanno sortito anche qualche effetto positivo?
“I teatri con capienza al 100% è la notizia più bella che potessimo aspettarci. Adesso sta a noi popolo, non solo addetti ai lavori, riempirli. Detto questo, bisogna fare i conti con i fatti: durante il lockdown il teatro ha avuto il supporto di tutti sui social network, questo perché la cosa più semplice oggigiorno è scegliere una battaglia e combatterla a suon di post e condivisioni; ma questi non sono i fatti. La cosa che mi incuriosisce è vedere quanti di quei soldati da social network indignati per la chiusura dei teatri ora supporteranno scegliendo e andando a vedere spettacoli dal vivo. Il teatro c’è ed è un magnifico luogo d’incontro e di scambio. Andiamo a teatro!”
Lei è in primo luogo uno sceneggiatore cinematografico: attualmente ci sono produzioni in lavorazione in cui lei è coinvolto?
“Al momento no, ho finito la stesura di un lungometraggio e di un paio di corti. L’idea di realizzare anche ‘Safe’ nella sua versione originale mi stuzzica non poco. Vedremo, si sta parlando ma è ancora tutto in fase embrionale”.
I suoi lavori hanno già ricevuto importanti riconoscimenti: cosa significa avere gratificazioni di questo tipo?
“Le gratificazioni, i riconoscimenti, i premi e le menzioni sono tutto materiale che serve per spronarti a fare sempre di più e sempre meglio. Questo è un tipo di lavoro in cui spesso sei soggetto a delle cadute psicologiche, dove hai paura di non farcela e dove ti chiedi se sia giusto continuare o lasciar perdere tutto in favore di qualcosa che sia più sicuro. A me è successo e sapere di avere ricevuto questo tipo di attenzioni da parte della critica ti dà forza e ti fa pensare ‘posso farlo, perché qualcuno lo apprezza!’”
Gabriele Amoroso