Intervista a Pascal La Delfa
“Il teatro non esisterebbe senza la diversità”
Attualmente, dalle cronache, emergono notizie allarmanti riguardo il bullismo e la violenza tra adolescenti. La problematica è molto ampia e risiede pressoché nella non accettazione del diverso. Se però sfruttiamo le nostre capacità di guardare oltre scopriamo che ci sono delle voci fuori dal coro che offrono alternative: quelle di aggregare.
Pascal La Delfa, regista, autore teatrale e direttore artistico di “Oltre Le Parole onlus”, associazione all’interno della quale ricopre il ruolo del referente per i progetti europei, è un esempio per la socialità degli adolescenti.
Con il suo progetto “Luoghi Comuni” si impegna a combattere i luoghi comuni che, purtroppo, ancora oggi attanagliano il mondo dei giovani.
Conoscere prima di giudicare è fondamentale, e l’arte, la musica, il teatro ti danno una possibilità semplice e immediata per poterlo fare
Dal 20 al 26 marzo, in diverse città italiane, si è concretizzata la XIX settimana contro il razzismo tra iniziative, incontri, spettacoli e musica. Una rassegna trasversale con lo scopo di avvicinare i giovani sia disabili sia appartenenti a etnie differenti.
L’obiettivo è infatti unire, afferma Pascal, attraverso l’arte e i suoi molteplici linguaggi. Poiché l’esteriorità di certo non sparisce, ma con il teatro, la musica e altri mezzi artistici il tutto viene messo in secondo piano.
La diversità dunque è vista come un’opportunità. Inoltre, offre una visione di insieme e reciproco scambio sulle proprie esistenze. E Pascal lo sa: dal diverso impara a guardarsi dentro e il teatro, per esempio, insegna a valorizzarci e apprezzarci al meglio, a giocare con noi stessi.
È un parlare differente: non banalizzare le differenze, bensì combattere le convenzioni e l’ignoranza involontaria.
Pascal La Delfa, come è nata l’iniziativa “Luoghi Comuni” e con quale intento?
“Fa parte della XIX settimana contro il razzismo di UNAR. Il duplice significato del termine intende da una parte mettere in evidenza gli stereotipi sul tema, dall’altra accomunare appunto luoghi che non sono solo geografici, ma anche storici” .
La settimana dal 20 al 26 marzo sarà dedicata all’antirazzismo con incontri e spettacoli in lungo e largo per la Penisola. La partecipazione agli incontri dunque si può considerare “attiva”. Cosa vi aspettate da questa manifestazione?
“La manifestazione è stata trasversale non solo perché abbiamo toccato tutta la penisola, dalla Calabria al Trentino Alto Adige, ma perché abbiamo parlato a tutta la popolazione: bambini, giovani, adulti. E lo abbiamo fatto con quello che sappiamo fare meglio: usando l’arte. Il teatro, la musica, la danza, sono linguaggi universali che hanno il potere di fare entrare immediatamente in empatia, di non essere superficiali, di essere leggeri ma profondi al tempo stesso.
E la risposta del pubblico è stata sorprendentemente intensa. Obiettivo raggiunto! E quello che ci auguriamo, è l’avere un minimo scardinato il senso critico relativo appunto ai ‘luoghi comuni’. Durante la rassegna abbiamo pubblicato anche due video che non mancheranno di suscitare dibattito tra chi lo vedrà: uno parla dei cliché che gli stranieri hanno sugli italiani – https://youtu.be/wJm58YoRnTQ. Il secondo, dell’idea falsa di invasione degli stranieri che abbiamo: https://youtu.be/uii6L033uvw” .
Molte le persone di diverse nazionalità che perverranno a “Luoghi Comuni” per spettacoli e dibattiti. Questo è un modo di far vivere l’integrazione, coinvolgendo anche disabili e normodotati?
“Quando si parla con linguaggio dell’arte, i luoghi comuni sulle condizioni fisiche esteriori, sul colore della pelle, sulle religioni, sui generi, non sparisce certamente, ma viene messo in secondo piano: è un modo semplice ed immediato per andare un po’ meno in superficialità verso l’incontro con l’altro. Conoscere prima di giudicare è fondamentale, e l’arte, la musica, il teatro ti danno una possibilità semplice e immediata per poterlo fare”.
Quali le tematiche che verranno affrontate all’interno degli incontri previsti?
“Il tema della diversità declinato in vari modi ma sempre attraverso lo strumento artistico. Performance di teatro, musica e danza, non solo realizzate da artisti professionisti, ma anche coinvolgendo in prima persona, ad esempio, attori disabili o bambini di un’itera scuola che vanno in scena. La tematica è sempre quella della ‘diversità’, ma con l’intento di raccontare che essa, spesso, può voler dire anche opportunità e non solo problema”.
Quanto tempo ha impiegato a organizzare la rassegna?
“Poco più di un mese per organizzare il tutto, che ovviamente è pochissimo per una manifestazione così complessa e diffusa in sei regioni. Per fortuna la rete che ha la nostra associazione, che quest’anno compie vent’anni, è diffusa in tutto il territorio nazionale: operatori culturali, artisti, comunità educante che da anni riconoscono la modalità e l’importanza del nostro lavoro”.
A “Luoghi Comuni” aderiscono molti partner che sono da sempre protagonisti su più fronti sociali e civili: qual è il vostro punto di incontro?
“La necessità di affrontare questa tematica importante in maniera diversa da quella con cui viene normalmente raccontata: non solo con minor superficialità, ma anche con un approccio artistico che ha il poter di far empatizzare lo spettatore. Non solo cervello, ma anche cuore, anima. Infine, il desiderio di mettere in connessione ‘multidisciplinare’ non solo le componenti artistiche, ma anche quelle che sui territori si occupano delle tematiche anche in maniera più istituzionale”.
Alla luce dei fatti di cronaca a sfondo razziale che coinvolgono i giovani quali suggerimenti si sente di esprimere a chi deride il prossimo diverso da noi?
“Innanzitutto conoscere. La storia, la geografia, ma anche se stessi! Hai davvero paura di un’invasione altrui, o hai paura di perdere quel poco che hai (economicamente ma anche culturalmente)? Abbiamo cercato di raccontare in maniera semplice ma creativa queste tematiche anche attraverso due video: il primo, quasi uno spot, provoca in maniera ironica gli italiani sul senso di ‘stereotipo’: https://youtu.be/wJm58YoRnTQ. Il secondo, più intenso, vuole far riflettere sulla percezione di ‘straniero’ che abbiamo rispetto all’arrivo di un barcone carico di migranti: sono davvero quelli, gli ‘invasori’? – https://youtu.be/uii6L033uvw”.
Di conseguenza, come si possono risolvere tali ideologie e in che maniera si possono risolvere?
“Discutendone in maniera non superficiale. Innanzitutto combattendo gli stereotipi e l’ignoranza involontaria. Molte persone hanno l’idea del diverso come di un invasore, mentre la storia ci insegna che la diversità, se bene accolta, gestita e integrata, diventa una risorsa straordinaria per lo sviluppo culturale ed economico di un popolo.
Che il ‘mischiarsi’ vuol dire anche condividere esperienze, avere più possibilità e non meno come invece si crede erroneamente. La più grande potenza mondiale attuale, gli USA è stata formata da milione di migranti, che nei secoli hanno contaminato il continente. Ma se si vuole avere un paragone più storico, basta pensare al periodo d’oro dell’impero romano.
È vero che il mondo cambia molto velocemente e i bisogni sono molto diversi da quelli di un passato non troppo lontano: ma molto probabilmente non è ‘chiudendoci’ che si troveranno soluzioni alla complessità del presente.
Ci sono ottimi insegnanti che fanno salti mortali per evitare che i giovani cadano nella trappola dei luoghi comuni. Purtroppo spesso gli strumenti che hanno a disposizione sono insufficienti o obsoleti: la disponibilità di un semplice device connesso a Internet nelle mani di un ragazzo o ragazza, dà loro la sensazione che possano sapere tutto senza l’ausilio di un insegnante: invece quell’adulto non solo ha la capacità critica di discernere tra verità e fake, sempre più difficili da riconoscere, ma anche l’esperienza che consenta di sviluppare connessioni più profonde e lontane da quelle semplicistiche che offre una soluzione ‘pronta’ come è internet.
La scuola, i docenti, hanno bisogno di formazione nel campo del linguaggio giovanile, non solo internet, ma anche arte, musica, per poter proporre l’esperienza di cui sopra in maniera attraente anche per i più giovani. Inoltre, il disagio giovanile, accentuato dalla pandemia – per quanto non se ne parli più di tanto, può facilmente sfociare in un ‘addosso al debole’ o al diverso, allo straniero, che deve essere contenuto ma non in maniera repressiva, bensì con la pazienza e gli strumenti di chi ha l’onere di raccontare una realtà.
E questo onere però non può essere solo dalla scuola, ma da una comunità educante che deve dialogare: istituzioni e famiglie, in primis. Tutto questo costa competenza e fatica, e soprattutto necessità di riconoscere il problema: se lo si ignora, la deriva sarà ineluttabile”.
Da regista e insegnante di teatro quanto questo insegna ad essere accoglienti?
“Il teatro non esisterebbe senza la diversità! È sempre un valore aggiunto, mai un problema. È una ricchezza infinita. Dal ‘diverso’ riesco a imparare molte cose che non avrei l’occasione di incontrare altrimenti. E rispecchiandomi nell’altro, riesco a vedere anche delle cose di me di cui ho spesso un’idea distorta o parziale. Il teatro è anche empatico: ci insegna a riconoscere ed accogliere i nostri disagi, la nostra vulnerabilità. Ma anche a valorizzare le nostre qualità, a esprimere i nostri talenti, a trovare le risorse che sono dentro di noi. E c’è anche dell’altro: non si può fare teatro sa soli!”
In che cosa consiste il suo metodo OTS?
“Ovviamente non è possibile spiegare in poche parole un’esperienza costruita in trent’anni di lavoro sul campo e che, per definizione, non è appunto un ‘metodo’. Di recente ho pubblicato appunto un libro che si intitola ‘Non-Manuale dell’Operatore di Teatro Sociale’. Voglio dire, in poche parole, che quando si ha un approccio umano, artistico, gestaltico ed empatico, non può esserci una metodologia ben definita: bisogna utilizzare gli strumenti che l’esperienza e la conoscenza ti hanno dato per offrire a chi si incontra una possibilità di dialogo costruito su proposte e sulla rielaborazione delle risposte, prima di avanzare una successiva proposta. È un lavoro sartoriale, non un prêt-à-porter. È mettere insieme le teorie ma guardando negli occhi le persone con cui si lavora. È un lavoro che si basa sul curriculum dell’anima e non sull’Europass”.
Quale emozione ha provato ad incontrare il Presidente della Repubblica italiana in occasione del ricevimento della medaglia per le sue attività artistiche rivolte al sociale?
“Per la precisione, il Presidente Mattarella ha inviato una medaglia all’associazione per la manifestazione ‘Generare arte sociale del 2020’, ma ancora non c’è stato un ricevimento ufficiale. Tuttavia siamo fiduciosi. E soprattutto continuiamo nel nostro lavoro a testa bassa e cuore leggero”.
Infine, cosa auspica per il futuro: quali le aspettative per un’integrazione giusta e condivisa?
“Che la politica affronti il tema non solo con leggi, divieti e punizioni, ma imparando dall’arte dell’incontro. Che metta insieme legislatori, gestori dell’ordine del pubblico insieme ad artisti e storici. Che faccia conoscere gli altri prima di reprimerli. Che la comunità tutta riscopra la potenza dell’incontro col diverso e non la paura dell’altro. Che i problemi ci sono e non è mettendo la testa sotto la sabbia che si possono risolvere. Che serve lungimiranza e competenza nell’affrontare le problematiche ed evitare di dare soluzioni approssimative, che non fanno altro che creare odio e tensioni soprattutto nelle persone che già non vivono una vita agiata: certamente non per colpa di chi, in situazioni peggiori delle loro, cercano una vita migliore da noi”.
Annalisa Civitelli
Ringraziamo Pascal La Delfa per la sua disponibilità all’intervista. Per l’impegno che mantiene da anni con i giovani, insegnando loro il valore della diversità e dell’accettazione, e per il potere che ha nel saper aggregare adottando l’arte come punto di incontro.