Domenica 7 maggio si è tenuta la premiazione ufficiale della primissima edizione dell’‘UnArchive Found Footage Fest’, in cui due giurie, una di studenti e una ufficiale, hanno proclamato i vincitori di un concorso indipendente per la realizzazione di cortometraggi e lungometraggi originali. Molti dei vincitori sono ad argomento sociale, ed evidenziano realtà e situazioni lontane dai dettami del cinema italiano, ma il tema di fondo è un altro: il “found footage”, la capacità di costruire trame soddisfacenti con immagini e riprese preesistenti e diegetiche
Si comincia dal basso, anche nel mondo del cinema. Questo è il mantra proposto dall’ ‘UnArchive Found Footage Fest’, un nuovo festival che celebra l’anima dell’espressione cinematografica: l’autoespressione e la ricerca di tecniche alternative.
La tecnica del ‘found footage’, popolarizzata da film come “Cloverfield”, “Paranormal Activity” e “The Blair Witch Project”, è identificata come la composizione di contenuti cinematografici a partire da altro contenuto videografico.
I titoli ‘found footage’ si compongono di riprese da servizi giornalistici, vlog, telecamere di sicurezza, riprese amatoriali e documentaristiche; a partire da essi si costruiscono una trama, dei personaggi, un mondo completo.
E così fanno i registi premiati da Unarchive. Ci sono due giurie principali: la prima è composta da studenti, l’altra da professionisti del genere, ed entrambe si sono mostrate molto entusiaste per i risultati ottenuti.
UnArchive Found Footage Fest: i vincitori
Tra i cortometraggi, la prima giuria encomia particolarmente il lavoro dell’iraniana Maryam Tafakori, intitolato “Irani Bag”. Protagonista del corto, inserito nel ciclo di cinema asiatico Monograph, è una borsa. Una borsa “non innocente”, come molti elementi nel cinema iraniano post-rivoluzionario, che pone al pubblico una domanda fondamentale: come si fa a toccarsi “senza toccare”?
La giuria professionistica, invece, dona il suo favore a “Incident”, dell’americano Bill Morrison. Un soggetto crudo – una sparatoria della polizia, verificatasi a Chicago nel 2018 – ma tristemente attuale, registrato tra le altre cose dalle telecamere di sicurezza degli agenti. Un eccidio sempre presente, al quale l’opera dedica uno sguardo spietato.
Il lungometraggio preferito della giuria studentesca, è “Radiograph Of A Family” di Firouzeh Khroshavani. Un’altra regista iraniana, con radici anche in Norvegia ed Islanda, in cui mette a nudo i panni sporchi della sua famiglia, ma anche i loro travagli e il loro amore per la loro cultura d’origine. Un padre liberale, una madre tradizionalista, e una figlia – la regista – che accoglie e affronta sulla sua pelle questa battaglia comune.
“Et J’Aime À La Fureur” di André Bonzel, chiamato in inglese “Flickering Ghosts of Love Gone By”, è invece il lungometraggio preferito della giuria ufficiale. Una lettera accorata, raccontata in francese attraverso immagini sognanti ed evanescenti, in cui cinema, amore e amore per il cinema si fondono sotto lo stesso sguardo.
Premi UnArchive tra il sociale e fantasia
Seguono i premi UnArchive, destinati dalle due giurie a due lunghi differenti. La giuria studentesca sceglie “1970” di Tomasz Wolski, in cui il regista polacco esplora il suo paese durante la crisi comunista dell’anno titolare. Scioperi dei lavoratori e violente rappresaglie tornano a una grigia seconda vita, tramite registrazioni telefoniche e animazioni, per raccontare “una ribellione dal pinto di vista degli oppressori”.
Quella professionale lo assegna invece a “Three Minutes: A Lenghtening”, dell’olandese Bianca Stigter. Il lavoro è strutturato attorno a un vecchio film casalingo, proveniente da una casa di ebrei polacchi, che si ribalta e ripiega sui consueti tre minuti fino a durare per più di un’ora. In questo modo, dopotutto, il presente non può andare avanti.
Conclude la serata una menzione speciale della giuria, vinta dagli italiani Enrico Ghezzi e Alessandro Gagliardo. “Gli Ultimi Giorni dell’Umanità” vede protagonisti degli astronauti dinnanzi alle loro ombre junghiane, la loro immagine riflessa e distorta. Un dramma umano in cui si specchia la terra che sorvolano.
Per concludere la serata è stato proiettato il film “Private Footage”, della regista brasiliana Janaína Nagata. Una trama semplice, quasi banale: una persona acquista un proiettore e trova in allegato un misterioso video ambientato in Sudafrica. Ne troverà un significato?
Maria Flaminia Zacchilli
UnArchive Found Footage Fest
È ideato e prodotto dalla Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico
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