La Transilvania è una terra di confine, vive un equilibrio delicato ed è sempre in eterno bilico per via delle storiche divisioni geografiche e culturali. Il Paese sembra essere una polveriera pronta ad esplodere: Cristian Mungiu, da sempre avvezzo alle tematiche sociali, ritorna al cinema con il suo ultimo lavoro che analizza le insite difficoltà etniche e non solo della sua Romania. ‘Animali Selvatici’, presentato al Festival di Cannes nel 2022, è una storia di confini sia territoriali sia mentali, di culture diverse che si incontrano ma non si comprendono ed esplodono a causa delle intolleranze razziali
‘Animali Selvatici’, per la regia di Cristian Mungiu, esce nelle sale italiane oggi 6 luglio. Il film si apre con le immagini che riprendono l’interno di un mattatoio in Germania, dove Matthias (Marin Grigore) romeno di etnia tedesca, risponde a un insulto razzista di un suo collega con una testata. Di conseguenza fugge per tornare in Romania, in un paesino incuneato tra le montagne della Transilvania, dove ha moglie e figlio. E una relazione incompiuta con l’ungherese Csilla (Judith State), capo del panificio locale.
Le azioni si svolgono in una piccola cittadina dove vive una comunità di persone che si conoscono tutte e che, prima della macellazione di un maiale, bevono e festeggiano insieme.
Ma è una comunità in cui il colore sembra essere sparito. Letteralmente: l’intero girato è immerso in un gelido grigio-blu che è molto ricorrente nella meravigliosa fotografia di Tudor Vladimir Panduru.
Molti residenti del villaggio si sono trasferiti a ovest per cercare lavoro in Germania o in Italia. Tuttavia, per mantenere in vita la comunità svuotata, si cercano lavoratori stranieri per i quali la Romania rappresenta quella promessa dell’Occidente: migliori salari e condizioni di vita.
L’arrivo di tre srilankesi crea tensioni. Mentre la neve si stende sui rami in strati sempre più fitti, gli abitanti del villaggio esprimono il loro razzismo, preoccupati dall’arrivo del diverso nella loro antica ed immutata collettività.
Animali Selvatici: un paese e la paura dello straniero
“Perché no, non abbiamo davvero nulla contro quegli stranieri, ma hanno solo norme igieniche diverse e ora toccano il nostro pane” così si esprimono i paesani. Questo però è solo un aspetto del lavoro del regista rumeno il quale, anche nei suoi precedenti “Beyond the Hills” (2012) e “Bacalaureat” (2016), che si possono considerare degli studi a più livelli, tocca sempre un groviglio multiforme di fattori socio-economici presenti nella storia suo Paese.
E, nello specifico, questo groviglio si intreccia in ‘Animali Selvatici’ in un frenetico incontro nel centro culturale del paese. In un piano sequenza enormemente impattante e pieno di pathos che dura quasi venti minuti, scorre il rancore dei paesani, ma anche il labirinto di pregiudizi, equivoci e preoccupazioni che vi si celano.
La vicenda di Matthias invece viaggia in parallelo sullo sfondo, tuttavia sembra in qualche modo distaccata dagli eventi che accadono nel villaggio. Non parla degli immigrati, ma riaccende una relazione con Csilla. Porta suo figlio nei boschi e sul lago per insegnargli a prendersi cura di se stesso come un vero uomo.
Ma anche Matthias non può sfuggire alla composita interazione di elementi che influenzano l’identità della comunità e gli individui al suo interno: come una risonanza magnetica (cui si riferisce il titolo originale R.M.N. e a cui è sottoposto Otto il padre di Matthias) il regista guarda dentro le debolezze e le paure collettive di una comunità ristretta e sempre in allerta, refrattaria a ogni cambiamento.
Una moltitudine sociale complessa in una regione ricca di storia
“Unni, Avari, Mongoli, Ottomani, Russi, Ungheresi”, un personaggio riassume così i popoli che hanno vissuto nei secoli nel territorio che oggi si chiama Romania.
Il fatto che il nazionalismo attecchisca soprattutto sulla minoranza magiara, che proprio in virtù della sua natura minoritaria dovrebbe mostrare più empatia verso gli esclusi, forse dimostra che esso è spesso una risposta al desiderio di definire una comunità sociale all’interno di un mondo sempre più vasto e globalizzato, per difenderlo con tutte le conseguenze del caso.
Purtroppo, l’essere umano non impara mai dalla storia. Il nazionalismo si fa quindi bisogno intrinsecamente umano di un’identità che prevale sull’altra, sulla presunzione di una cultura superiore ad un’altra, un muro contro muro tra contraddizioni sociali.
Animali Selvatici: l’orso sintesi della cultura popolare
Ogni identità, individuale o nazionale (in Transilvania ve ne sono ben tre: Romena, Ungherese, Tedesca) fa parte del mito della storica regione. Non per niente Mungiu ambienta il suo film in Transilvania, che ha cambiato proprietari innumerevoli volte nel corso della storia.
Ma soprattutto la regione, grazie al “Dracula” di Bram Stoker, è diventata un luogo la cui identità e percezione sono in parte basate, purtroppo, sulla finzione manichea e ricca di cliché, trascendendo dai propri specifici confini.
La lente d’ingrandimento che il lungometraggio pone su questa comunità in Romania è quindi uno specchio sociale non solo romeno, ma anche dell’Europa orientale più in generale.
‘Animali Selvatici’ va visto con molta attenzione e con molta pazienza, perché non è un film immediato e nemmeno di facile comprensione, specialmente per chi non è addentro agli argomenti trattati.
Ciò che colpisce è il senso del messaggio che il lavoro incorpora in sé: una metafora che rimanda all’immagine dell’orso, sintesi della cultura popolare di quelle terre e simbolo antico delle feste folkloristiche e il peggior nemico dei fattori della zona.
L’orso infatti è ricorrente, ma non suggerisce mai un concetto preciso, la libertà dell’immaginazione di ciascuno di noi, in sala, aiuterà a formarci un’idea personale.
Consigliamo di andare al cinema e addentrarvi nei meandri catalizzanti della narrazione che vanta un buon ritmo registico, il quale vive di un suo peculiare respiro e mai stanca.
Andrea Di Sciullo
Animali Selvatici
di Cristina Mungiu
con
Marin Grigore Matthias
Judith State Csilla
Macrina Barladeanu Ana
Orsolya Moldován Signora Dénes
Andrei Finți Papa Otto
Mark Blenyesi Rudi
Ovidiu Crişan Signor Baciu
József Bíró il sacerdote
Regia e sceneggiatura Cristian Mungiu
Fotografia Tudor Vladimir Panduru
Montaggio Mircea Olteanu
Scenografia Simona Pădurețu
Costumi Ciresica Cuciuc
Suono Olivier Dô Huu, Constantin Fleancu e Marius Leftărache
Locandina realizzata da Andrea De Santis per “Ghirigori Agency”
Genere Drammatico
Case di produzione Mobra Films, Why Not Productions in coproduzione con Les Films du Fleuve
Società di distribuzione Le Pacte (Francia)
Paese di produzione Romania, Francia e Belgio
Durata 125 minuti