Un’investigazione ermeneutica
Uscita nelle librerie lo scorso 24 febbraio, l’ultima opera dell’autore napoletano esamina, attraverso uno sguardo analitico e che accomuna narrativa e saggistica, la dimensione “queer” con equilibrio e sapienza
‘Canone ambiguo – Della letteratura queer italiana’ edito da Effequ, dello scrittore e saggista Luca Starita è un volume che si presenta senz’altro curioso, tanto per i temi che si propone d’indagare e toccare (è vasta la materia, che l’autore ha deciso di fare una sua meticolosa scelta di cosiddette fonti autorevoli in quanto al tema del queer) quanto per la forma.
Ci troviamo dinanzi a un saggio, come il sottotitolo dell’opera – Della letteratura queer italiana –ben richiama, sebbene la strutturazione dei contenuti, così pure come l’originale sistema argomentativo, fanno pensare anche a una narrazione intima, a una sorta di diario personale.
L’argomento che ci si è posti quale discorso incipitario e propedeutico di tutto lo studio è quello della letteratura queer. Starita fa derivare l’uso etimologico di queer, che in tale testo intendiamo far trasparire, al film “Anders als die Andern” (traducibile come diverso dagli altri o in controtendenza), pellicola a tematica omosessuale datata 1919 diretta da Richard Oswald.
Lo scrittore, però, osserva sin dalle prime battute del libro la complessa e molteplice posemia del termine: “Cercando queer su un qualsiasi vocabolario si può riscontrare l’occorrenza di tre significati principali: il primo, old–fashioned, è quello di strano, inusuale, strambo; il secondo, sinonimo di gay, viene utilizzato con accezione offensiva; il terzo, quello più recente, si riferisce a chi non si riconosce, nelle distinzioni tradizionale del sesso e/o del genere. È a quest’ultimo significato che fa riferimento la teoria queer” e, poco dopo, aggiunge: “Il fattore queer non riguarda solo l’omosessuale, è una caratteristica che va scovata negli accenni, negli stravolgimenti di significato, nei sovvertimenti dei sessi, nelle alterazioni dei canoni, secondo l’uso che sì, riguardava in senso stretto l’omosessuale che si camuffava con la finzione e con un’eterosessualità obbligata“.
Se da una parte, dunque, l’associazione pratica che saremmo portati a fare è quello di letteratura queer = letteratura omosessuale, Starita chiarisce come sia difficile e illusorio, per altro impreciso e pericoloso, impiegare la definizione di letteratura omosessuale, motivo che implicherebbe un vizio d’analisi e anche un approccio in qualche tipo marginalizzante.
D’altro canto la questione non si esaurisce al contesto sessuale, volendo l’elemento queer riferirsi – come enunciato dalla terza possibilità di significato – a qualcosa di eccentrico e singolare, di non comune, di volutamente ambiguo e non definibile, di in–catalogabile e di nuovo e singolare, non necessariamente (anche se questa è la principale manifestazione) in chiave di genere. Queer come non conforme, dunque, come anomalia o sedicente devianza, come alterazione, diversione, variante, stravaganza, atteggiamento sopra le righe.
Il trait d’union della narrazione è rappresentato dalla presenza costante, con la quale l’Io narrante dialoga, riflette e conduce il percorso d’investigazione ermeneutica (ma anche lo scavo nella propria interiorità), di un intellettuale poco noto e celebrato, perché ritenuto – nel suo momento storico – senz’altro scomodo, quando non addirittura osceno tanto per le sue tematiche predilette dell’amore omosessuale quanto per la dissoluzione dettata dalla condizione umana di promiscuità macchiata dalla sieropositività.
Si tratta dell’emiliano Pier Vittorio Tondelli (1955-1981), autore dei romanzi “Rimini” (1985) e “Camere separate” (1989) e soprattutto – quello che resta forse maggiormente noto – “Altri libertini” (1980), sua opera d’esordio. Spaccati di vita dell’Italia del boom economico improntata a venti di cambiamento, esperita da un giovane tormentato e disilluso dalle compagnie opinabili e dai comportamenti altrettanto motivo di giudizio da parte di una società atrofizzata e retrograda com’era l’Italia di allora.
Ma come è anche l’Italia di oggi, per certi versi. Per determinate tematiche. Per Starita, Tondelli non è che “colui che ha saputo descrivere alla perfezione una generazione che per molti lati assomiglia alla mia“.
In questo percorso non facile, Starita recupera numerosi intellettuali italiani di vari momenti storici, ne richiama le trame delle loro opere – non necessariamente le loro più note e antologizzate dalla critica – proponendo sinossi, lunghe citazioni, rimandi a echi letterari in cui il tema dell’amore proibito appare nevralgico.
Ritroviamo, così, in un ipotetico conversari tra amici, intellettuali tra loro lontani – non solo per età anagrafiche, ma anche per geografia, tendenze, attitudini, turbamenti propri – attorno al tema cardine dei queer: del diverso, dell’emarginato, di quel che devia dalla norma comunemente intesa.
Ecco allora che nei vari episodi che l’attento compilatore del volume ci propina veniamo a conoscenza di alcune particolarità testuali, di momenti – all’interno di varie opere letterarie – nelle quali – più che in molte altre – il tema risulta centrale, impossibile da non identificare e, dunque, da non menzionare e indagare.
È pur vero che si tratta di una presentazione di esempi, con opportuno commento, che è una selezione curata e mediata dallo stesso autore del volume, dal momento che, come in una vera e propria antologia, non entrano che i contenuti che si ritengono validi ed esemplificativi di quel che ci si approssima a narrare.
Si potrebbe, infatti, richiamare altri autori qui non evocati (Aldo Busi ad esempio che – in quanto ad eccentricità – è senz’altro rivelatore) e, soprattutto, buttare un occhio anche sulla letteratura internazionale che offre esempi ragguardevoli; pensiamo all’ermafroditismo dell’“Orlando” (1928) della Woolf ma anche all’amore–ossessione dell’autrice per la meno ricordata Vita Sackville–West; all’amore perverso – in quanto pedofilico e non in quanto omosessuale – di Gustav von Aschenbach verso Tadzio in “Morte a Venezia” (1913), per certi aspetti anche la vicenda della ninfetta “Lolita” (1955) del masterpiece di Nabokov. E cosa dire di “Middlesex” (2002) di Jeffrey Eugenides e – ancora – percorrendo di molto a ritroso il nostro percorso – del profetico Tiresia?
Il repertorio dei testi richiamati da Starita in questo ‘Canone ambiguo’ sono numerosissimi; sene citano alcuni. Di Marino Moretti: “Doctor Mellifluus” (1954); di Aldo Palazzeschi: “Riflessi (1908), “Il codice di Perelà” (1911), “Sorelle materassi” (1934), “I fratelli Cuccoli” (1948); di Giorgio Bassani: “Cinque storie ferraresi” (1956), “Gli occhiali d’oro” (1958); di Carlo Emilio Gadda: “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” (1957) e “La cognizione del dolore” (1963); di Alberto Arbasino: “La bella di Lodi” (1972); di Alberto Moravia: “Agostino” (1943) e “La vita interiore” (1978); di Giovanni Comisso: “Mio sodalizio con De Pisis” (1954) e “Gioco d’infanzia” (1968).
Significativo è anche il repertorio di voci femminili contemplate nel volume per mezzo di selezionate citazioni dalle loro opere: Elsa Morante con Via dell’angelo (1938), L’isola di Arturo (1957) e Lo scialle andaluso (1963); Sibilla Aleramo con Una donna (1906); Natalia Ginzburg con È stato così (1947); Anna Maria Ortese con Il mare non bagna Napoli (1953); Alba de Césped con Dalla parte di lei (1949) e Amalia Guglielminetti con La rivincita del maschio (1923).
Lorenzo Spurio
Biografia
Luca Starita(Napoli, 1988) si è laureato in “Italianistica” all’Università di Bologna con una tesi sul queer nella narrativa di Aldo Palazzeschi. Collaboratore di numerose riviste letterarie, è autore del romanzo “La tesi dell’ippocampo” (“Bookabook”, 2019) e delle due drammaturgie “Quanta strada nelle mie scarpe” (2018) e “Caleidoscopio” (2019) per la compagnia teatale Murmuris.
Luca Starita
Canone Ambiguo – Della letteratura queer italiana
Edizioni Effequ
Collana Saggi Pop
Genere Saggio
Edizione 2021
Pagine 203