Chiara Capitani
“La parentesi della la liberazione sessuale è stata un momento fondamentale di presa di coscienza. Le donne, infatti, sono diventate più consapevoli del loro corpo, dei loro diritti. Le testimonianze dunque cambiano, l’accezione portata sul sesso non è più negativa, ma più gioiosa, i termini che si usano per parlare d’intimità sono più espliciti, si ha meno vergogna. Le donne hanno potuto cominciare ad esplorare l’intimità poco a poco e arrivare al primo rapporto sessuale più consapevoli.“
La rubrica Rivoluzione Donna chiude questo mese con l’intervista a Chiara Capitani, attrice, autrice e arte terapeuta italiana che vive e lavora tra la Francia e l’Italia, la quale ci prende per mano per farci conoscere il mondo della sessualità femminile.

Chiara, da sempre interessata al mondo femminile, nel 2015 fonda il collettivo “Lilith Théâtre” con Emine Meyrem e Maria Laura Baccarini, che si occupa di tematiche a favore delle donne. Il loro primo spettacolo, “L’Amort”, debutta a Parigi il 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, con il patrocinio del Sottosegretario del Ministero per i Diritti delle Donne.
Partecipa inoltre a delle performance che riflettono tematiche sociali come, per esempio, sulla condizione del corpo dei lavoratori e delle lavoratrici del sesso, e sulla dipendenza affettiva. Il suo monologo, “Bibbidi Bobbidi Bum”, mette al centro la continua influenza dell’inconscio collettivo e della società sulle scelte delle donne.
Diplomatasi come arte terapeuta all’Istituto di Ricerca di Psicologia Applicata PROFAC, attualmente Chiara Capitani dirige un atelier di scrittura terapeutica per donne alla “Maison de la Conversation” e altri laboratori di dramaterapia con persone in situazione di handicap cognitivo e/o fisico.
Chiara Capitani: Journal Intime, il sesso femminile
Seguendo la sua indole, Chiara lavora all’audiolibro “Journal Intime” uscito a ottobre 2024 su Storytel. Nato da un’installazione artistica, è un progetto che esplora i cambiamenti della sessualità e in particolare quella femminile nell’arco dell’ultimo secolo.

Chiara, dunque, ci guida all’interno di “Journal Intime”: tredici storie, tredici donne e tredici epoche diverse.
Episodi che sono per gli/le utenti spunto per riflettere sull’evoluzione delle esperienze sessuali femminili, dalla fine degli anni ’50 fino ai giorni nostri, mettendo a confronto le testimonianze di chi ha vissuto la sua prima volta negli stessi anni ma in paesi diversi, o semplicemente in regioni diverse, venendo da situazioni sociali e familiari eterogenee.
Frutto dunque di una ricerca corposa che, oltre a essere stata influenzata da letture specifiche, offre l’opportunità unica di osservare sia le somiglianze sia le differenze di ogni vicissitudine, non solo all’interno di uno stesso decennio, ma anche nell’arco di quelli successivi.
“L’unica regola che mi sono imposta è stata quella di attraversare tutte le epoche, cercando di ascoltare donne nate in tempi diversi. Le loro testimonianze sono generose e sincere, ed è per questo che ho scelto la registrazione audio, per creare uno spazio intimo in cui le donne potessero sentirsi libere di raccontare una pagina così personale della loro vita.“
L’autrice definisce il suo percorso “un viaggio appassionante, fatto di incontri casuali e di ascolto interiore“. Lei stessa ha incontrato molte donne – partendo da sua nonna, che si sono raccontate con generosità. Emerge così una lettura della società sia antica sia contemporanea che abbraccia la narrazione di donne francesi e italiane.
Inoltre, Chiara Capitani, grazie al suo progetto, ha imparato l’arte dell’ascolto ovvero prestare attenzione a ogni vicenda narrata. Rimarca infine l’importanza della famiglia, il primo nucleo dove si può e si deve imparare a parlare di sessualità. Spiega, con lucidità, ciò che le ha insegnato “Journal Intime” e quello che percepisce riguardo la situazione femminile in Francia e in Italia, e nel resto del mondo, sia riguardo le libertà conquistate sia circa quelle negate.
Chiara Capitani, come è nato il tuo progetto “Journal Intime”?
“Sono stata influenzata dalla lettura di ‘Secondo Sesso’ di Simone de Beauvoir, pubblicato nel 1949. Il capitolo sull’iniziazione sessuale all’interno del libro è stato un punto di partenza decisivo. Tuttavia, l’urgenza di affrontare il tema è nata da un turbinio di riflessioni scaturite da diverse letture: ‘L’amore in più’ di Elisabeth Badinter e altri scritti, i saggi di Eva Illouz sulla trasformazione dell’amore nell’epoca contemporanea, ‘Questioni di genere’ di Judith Butler, la provocatoria sfrontatezza di Virginie Despentes e le teorie di Zygmunt Bauman.”
“Journal Intime” si compone di tredici storie profonde e sincere. Come hai organizzato il lavoro e come hai scelto le tredici vicende?
“È stato un viaggio appassionante, fatto di incontri casuali e di ascolto interiore. La prima persona a cui ho chiesto di raccontarsi è stata mia nonna, poi mi sono affidata al mio intuito. In Francia ho avuto la fortuna di poter intervistare donne di culture diverse, mentre in Italia ho viaggiato dal Veneto alla Sicilia. L’unica regola che mi sono imposta è stata quella di attraversare tutte le epoche, cercando di ascoltare donne nate in tempi diversi. Le loro testimonianze sono generose e sincere, ed è per questo che ho scelto la registrazione audio, per creare uno spazio intimo in cui le donne potessero sentirsi libere di raccontare una pagina così personale della loro vita. Ho selezionato tredici storie che, insieme, raccontassero la nostra storia comune, mostrando un ventaglio di esperienze eterogenee, affinché più donne potessero riconoscersi nei racconti delle intervistate.”
Tredici testimonianze dalla fine degli anni ’50 ad oggi. Il tempo ha cambiato le esperienze di queste donne oppure il momento storico è stato determinante?
“La famiglia può essere l’unico elemento atemporale che può permettere una costruzione intima e affettiva sana e libera, che può accompagnare giovani uomini e donne perché si affaccino alla sessualità con rispetto e positività. Attraverso le testimonianze però mi sono resa conto che i genitori hanno grande difficoltà a comunicare sul tema dell’intimità. L’apertura non dipende neanche dal livello culturale. Ogni famiglia è condizionata dal contesto sociale, politico, educativo in cui vive. Il momento storico è stato determinante e lo è ancora oggi. Negli anni ’50, le donne ignoravano praticamente ogni aspetto della sessualità e dell’intimità. Sapevano solo che dovevano essere vergini fino al matrimonio, e spesso non comprendevano nemmeno il significato del ciclo mestruale. L’ignoranza su questi temi rendeva l’esperienza spesso traumatica. La morale e la religione imponevano le regole del buon costume. Si obbligava gli esseri umani a censurarsi, reprimersi, astenersi dall’ascoltare la vita nel loro corpo, perché era peccato.“
“La lotta per i diritti delle donne è sempre stata intrecciata con quella per i diritti dei lavoratori, per i diritti civili. Ma se tutto si immobilizza, anche le battaglie femministe subiscono un rallentamento e purtroppo alle volte si torna anche indietro.”
Cosa intendi per “parentesi”?
“La parentesi della la liberazione sessuale è stata un momento fondamentale di presa di coscienza. Le donne, infatti, sono diventate più consapevoli del loro corpo, dei loro diritti. Le testimonianze dunque cambiano, l’accezione portata sul sesso non è più negativa, ma più gioiosa, i termini che si usano per parlare d’intimità sono più espliciti, si ha meno vergogna. Le donne hanno potuto cominciare ad esplorare l’intimità poco a poco e arrivare al primo rapporto sessuale più consapevoli. Parlo di parentesi perché poi il patriarcato si è riaffermato all’interno della società a discapito di donne e uomini. Oggi, grazie soprattutto alle Femen e al movimento #MeToo, viviamo in una società in movimento. Le donne hanno finalmente il diritto di parlare e la parola liberata viene ascoltata, sostenuta da altre donne. La forza che abbiamo oggi è proprio quella di essere insieme. Però la lotta è ancora lunga. Quando vedo che la riforma delle scuole prevede più lettura della Bibbia dalle scuole elementari a discapito dell’educazione alla vita affettiva e sessuale, sento il sangue ribollire per la rabbia e il disgusto verso una classe politica che continua a ignorare i veri bisogni della società, cercando di mantenersi ancorata a un passato che ha generato violenza, rapporti di forza, disparità di genere e isolamento delle minoranze. Però rimango fiduciosa oggi possiamo parlare ed essere ascoltate è un arma potente che abbiamo conquistato.”
Qual è la storia che ti è rimasta più nel cuore?
“In realtà, tutte le storie hanno avuto un significato particolare, perché ogni incontro con una donna ha rappresentato anche un momento importante della mia vita, un legame che si è creato, uno scambio intimo. Ricordo il luogo del primo incontro, l’intervista, la foto scattata insieme a ciascuna di loro. Tuttavia, quella che mi resta più nel cuore è la storia di mia nonna. Non mi avrebbe mai svelato certi dettagli della sua vita se non l’avessi coinvolta nel progetto ‘Journal Intime’. Si è aperta con una generosità inaspettata e ha rafforzato ancora di più la nostra relazione complice.”
Una sorta di documentario audio che invita a più riflessioni: cosa ti ha insegnato questo progetto?
“Mi ha insegnato l’unicità di ogni storia, di ogni esistenza. Mi ha mostrato l’importanza dell’ascolto, della trasmissione e della memoria. E il valore di uno scambio intimo che passa da essenza ad essenza.”
Cosa vuoi trasmettere con “Journal Intime” al tuo pubblico?
“Mi piacerebbe condividere gli insegnamenti che ho raccolto, sperando che gli ascoltatori e le ascoltatrici possano riconoscersi, trovare delle risposte e sentirsi meno soli/e. Vorrei che suscitasse discussioni e riflessioni, che liberasse la parola, ancora e ancora. E che fosse capace di far sorridere, commuovere e far vibrare.”
“La forza che abbiamo oggi è proprio quella di essere insieme. Però la lotta è ancora lunga. Quando vedo che la riforma delle scuole prevede più lettura della Bibbia dalle scuole elementari a discapito dell’educazione alla vita affettiva e sessuale, sento il sangue ribollire per la rabbia e il disgusto verso una classe politica che continua a ignorare i veri bisogni della società, cercando di mantenersi ancorata a un passato che ha generato violenza, rapporti di forza, disparità di genere e isolamento delle minoranze.“
Hai mai pensato di condividere la tua esperienza della prima volta?
“In ‘Journal Intime’ mi piace essere quel filo rosso sottile che lega le pagine di diario, con una presenza discreta ma costante. La mia prima volta è raccontata in ciascuna delle storie, un frammento qui, un frammento lì.”
“Journal Intime” è nata dapprima come un’installazione e poi è diventata un audiolibro: prevedi altre evoluzioni dell’iniziativa che si presta bene a una serialità?
“In Francia, il mio paese di adozione, ‘Journal Intime’ è un podcast settimanale. Una seconda stagione è già in programma e presto continuerò a esplorare altre pagine di diario. Questa volta, mi piacerebbe approfondire i temi della maternità e del post-partum, sempre mantenendo l’intimità come fil rouge. E perché no, sarebbe interessante anche intervistare gli uomini.“
Come percepisci le condizioni femminili in Italia e in Francia?
“Quando ero una giovane donna in Italia, avevo la sensazione di non essere completamente compresa nel mio desiderio di libertà, nel bisogno di liberarmi da uno sguardo prepotente, da un ruolo imposto e di sperimentare la sessualità come ne avevo voglia. Non riuscivo a dare un nome a questa sensazione di inadeguatezza con cui mi confrontavo ogni giorno, un senso di compressione, come una spinta esterna che voleva ripormi un armadietto, con un numero e un nome per essere rassicurata. Nel 2009, quando sono arrivata in Francia, ho iniziato a capire cosa significasse davvero emancipazione. Forse dovrei parlare di Parigi, la città in cui vivo, perché in Francia ci sono molte realtà che somigliano a quelle italiane. Tuttavia, qui ho incontrato donne con la stessa voglia di libertà che avevo io da giovane e che se la prendevano senza indugi.“
“La forza che abbiamo oggi è proprio quella di essere insieme. Però la lotta è ancora lunga. Quando vedo che la riforma delle scuole prevede più lettura della Bibbia dalle scuole elementari a discapito dell’educazione alla vita affettiva e sessuale, sento il sangue ribollire per la rabbia e il disgusto verso una classe politica che continua a ignorare i veri bisogni della società, cercando di mantenersi ancorata a un passato che ha generato violenza, rapporti di forza, disparità di genere e isolamento delle minoranze.“
Quali differenze riscontri?
“Le donne francesi fanno il primo passo. Chiedono, vanno, si vestono come vogliono, con minigonne anche a sessant’anni, fanno topless nei parchi pubblici se ne hanno voglia, si battono con orgoglio per i loro diritti. L’anno scorso, per esempio, il diritto all’aborto è stato finalmente riconosciuto come diritto costituzionale, al cinquantesimo anniversario della legge Veil. In Francia, gli ospedali propongono sempre la peridurale, ci sono pochi obiettori di coscienza e si può comprare la ‘pillola del giorno dopo’ in farmacia senza ricetta. Qui, essere femministe non è una vergogna, anzi, la vergogna è non esserlo. Se sei donna, è impensabile non lottare per te stessa e per le altre. Le donne francesi sono impegnate, ispiranti, dure. Non tutte, ovviamente, non sempre, ma queste sono le prime cose che ho osservato quando sono arrivata qui. C’è una frase che si dice spesso ai bambini in Francia: ‘Tu as le droit, tu n’as pas le droit – Hai il diritto, non hai il diritto’. Essa mi crea un continuo ossimoro interiore: da un lato mi affascina, dall’altro mi manda su tutte le furie. Mi affascina perché in Francia sembra esserci una società che respira giustizia, che conosce i propri diritti e non li lascia mai sfilare. D’altra parte, però, mi irrita perché lascia poco spazio all’improvvisazione e alla creatività, e così il mio animo artistico italiano si trova in conflitto con una visione così schematica della realtà. Ma forse sto andando fuori tema. In ogni caso, un libro di Elisabeth Badinter sulla maternità di cui parlavo sopra è stato molto illuminante per me. Nel suo studio, analizzava il livello demografico e l’emancipazione femminile. Le donne francesi sono le più emancipate e, allo stesso tempo, quelle che fanno più figli. Questo perché, ci sono aiuti del governo ma anche perché non vivono la pressione del ruolo materno che per esempio molte donne in Italia vivono, per l’icona affidata al ruolo della mamma nel nostro paese. In Francia, gli uomini desiderano figli quanto le donne, non è solo una questione femminile. Questo cambia profondamente il modo in cui ci si posiziona in un incontro amoroso e come si decostruiscono i ruoli tradizionali. Anche le faccende domestiche sono distribuite in modo paritario. In ogni caso le generazioni dei nostri genitori, sia in Francia sia in Italia, non sono così differenti. Quando si ascoltano gli uomini intorno ai sessanta, settant’anni, i loro propositi sono più o meno gli stessi, se non per qualche ‘illuminato’. La percentuale di femminicidi in Italia e in Francia è sostanzialmente la stessa, un segnale che entrambe le società, francese e italiana, sono vittime di un sistema patriarcale, di una società verticale basata su rapporti di potere e forza. Le donne, anche qui, soffrono degli strascichi di un’educazione che le ha incitate alla sottomissione, alla docilità, all’accoglienza, alla cura. Però, in Francia, ci sono molte più cose che sono ormai ovvie e che in Italia restano ancora da discutere.”
Se prima eravamo il paese al 46esimo posto nel mondo per i diritti che riguardano le donne ora siamo caduti al 104esimo. Cosa dobbiamo fare per riconquistare ciò che ci spetta e risalire la classifica? Perché, secondo te, c’è troppa immobilità?
“Mi piacerebbe avere una risposta, conoscere un modo per risalire alla superficie e respirare un nuovo slancio. Penso che ci sia una delusione diffusa nei confronti della politica: le personalità politiche convincenti sono rare, e si è persa, o almeno affievolita, quella speranza che il voto possa davvero cambiare le cose. Quella speranza che vediamo negli occhi della Cortellesi in ‘C’è ancora domani’, quando lascia cadere il suo voto nell’urna, ormai sembra svanita. Nel bellissimo documentario ‘Futura’, realizzato da Alice Rohrwacher, Pietro Marcello e Francesco Munzi, che attraversa l’Italia per ascoltare i giovani e scoprire come immaginano il loro futuro, la risposta che emerge è che ‘il domani non c’è’. Quando un paese non si mobilita per garantire a ogni cittadino le basi di una vita dignitosa, quando non offre ai giovani la possibilità di realizzare i propri sogni – o almeno di averne – ‘come possono questi stessi giovani trovare la forza di battersi per riconquistare quei diritti?’. Sembra forse una battaglia donchisciottesca destinata a non cambiare nulla. La lotta per i diritti delle donne è sempre stata intrecciata con quella per i diritti dei lavoratori, per i diritti civili. Ma se tutto si immobilizza, anche le battaglie femministe subiscono un rallentamento e purtroppo alle volte si torna anche indietro.”
Se guardiamo all’Argentina, per esempio, come si spiega l’idea di abolire il ministero delle donne, i finanziamenti ai numeri antiviolenza e il fatto di considerare la donna al pari dell’uomo? Ritornare al delitto d’onore cosa comporta?
“‘La crociata di Milei contro le donne mi terrorizza, così come mi spaventano i propositi di Trump e la sua dichiarata guerra contro le persone transgender fin dal primo giorno della sua rielezione. E mi inquietano le idee di Meloni. Mi sento disperatamente impotente di fronte alle immagini delle donne iraniane che ancora lottano per gridare l’ingiustizia del loro governo, e alle leggi dei talebani in Afghanistan, che, dal momento in cui sono saliti al potere, hanno cancellato tutti i diritti delle donne, trasformandole in invisibili. Non sono più né donne, né madri, né sorelle, né colleghe. Sono ridotte a fantasmi, chiuse nelle mura domestiche.”
Ritornare al delitto d’onore cosa comporta?
“Tornare al delitto d’onore significa ricominciare a puntare il dito dalla parte sbagliata: giustificare la violenza, la discriminazione, gli abusi, e l’ingiustizia di un sistema che per troppo tempo ha ignorato i diritti della metà della popolazione. Trovo straordinaria la scelta delle compagne colombiane e la loro canzone ‘Y la culpa no era mía’, che è diventata un inno mondiale contro la violenza sulle donne. L’ho cantata alle manifestazioni di Parigi e guardo con emozione i flash mob che si tengono in tutti i paesi. Vedere tutte noi donne unite, lì, a puntare il dito verso i veri colpevoli, fa davvero bene. E il processo Pelicot fa bene. Continuiamo a puntare il dito verso i veri colpevoli ancora e ancora.”
Silvia Bruni
Ringraziamo Chiara Capitani per averci sottoposto un progetto ricco e corposo che dà voce alle donne, delle quali noi stiamo imparando a divulgare vicissitudini ed esperienze che possono appartenere a ognuna di noi.