‘Codice a sbarre’ è l’esordio letterario della giovane attrice Giulia Tubili sotto forma di tredici racconti brevi. Il filo rosso che li lega è la prigionia: che questa avvenga come conseguenza di un crimine commesso o che sia vissuta dai personaggi all’interno della loro stessa mente, è sempre narrata con un linguaggio ricercato e con metafore pittoresche
“Da un tot faccio la muffa qui e il ricambio è stato doloroso quasi quanto il motivo che mi costringe fra tali mura. Doloroso, un po’ come per una persona che non invecchia e, per questo motivo, perde inesorabilmente tutti i propri cari dovendo ogni volta ripartire da zero a costruirsi nuovi affetti.”
Una metafora efficace, quella riportata qui sopra e utilizzata dalla scrittrice esordiente Giulia Tubili. L’autrice descrive così il sentimento provato dal personaggio di un suo racconto che, a causa della sua lunga permanenza in carcere, ha visto andare e venire vecchi e nuovi detenuti.
Di figure retoriche come questa se ne trovano molte altre nella raccolta di racconti ‘Codice a sbarre. Storie di assenti e di simbionti in cattività’, pubblicata da Il Ramo e la Foglia Edizioni.
Alcune tra queste necessitano di concentrazione e di più riletture affinché si riesca a comprenderne a pieno il significato, data l’astrattezza delle immagini che Tubili crea con la sua penna complessa, talvolta fin troppo.
Insomma, se la brevità delle storie può indurre il lettore a pensare che ‘Codice a sbarre’ sia un libro da affrontare a cuor leggero, il suo stile di scrittura non potrà che farlo ricredere.
Codice a sbarre: il tema della prigione
Infonde poca spensieratezza anche il tema portante dei tredici racconti, ovvero la vita dietro le sbarre. E non soltanto quella: in alcuni casi, le narrazioni riguardano ciò che è avvenuto prima, che può essere un omicidio, o un crimine su cui chi legge deve fare chiarezza, poiché reso sfocato dai ricordi o dalle testimonianze dei protagonisti.
A volte, le sbarre non sono fisiche, bensì mentali: c’è chi non capisce cosa gli stia succedendo intorno, e il lettore alla fine della storia ne capisce ancora meno. Però, qualche pagina più in là, magari dopo un paio di altri racconti, ecco che la vicenda riprende. Magari chi legge si accorge solo poco prima del finale, che i personaggi di cui si sta parlando sono gli stessi di qualche aneddoto precedente.
Ci sono narrazioni fini a se stesse e altre che forse si arricchiranno di un tassello in più, di un punto di vista diverso, di una presunta motivazione laddove prima sembrava tutto inspiegabile.
Perlopiù, comunque, non sono fornite spiegazioni: non si tratta di un libro giallo nel quale, per esempio, un omicidio ha un movente e avvengono indagini in merito.
No, non vengono offerte giustificazioni né esposti eventuali precedenti, o fatti pregressi, che possano delineare un contesto su cui si stagliano le varie azioni.
Ci sono solo descrizioni: di volti, di corpi, di sensazioni ed emozioni ma anche di apatia, di luoghi, soprattutto di reclusione.
Niente giudici né giurie
I personaggi di ‘Codice a sbarre’, comunque, non chiedono pietà né comprensione, tanto meno redenzione.
Non è un classico libro in cui i protagonisti vogliono che la loro voce venga ascoltata; alcuni non narrano nemmeno in prima persona, c’è un narratore esterno e imparziale a parlare di e per loro.
Questo è un volume nato probabilmente per l’urgenza di un’autrice, già attrice, di scrivere, di convogliare le energie in qualcosa di nuovo e di creativo, di provare a recitare su carta, di disegnare scenari con le parole.
E, nonostante alcune tra queste ultime siano davvero inusuali al punto da risultare auliche, l’esperimento si può dire riuscito: ‘Codice a sbarre’ è una lettura che richiede attenzione, ma dalla quale non si esce affatto estenuati o sopraffatti, grazie a protagonisti interessanti e circostanze coinvolgenti.
Eva Maria Vianello
Giulia Tubili
Codice a sbarre. Storie di assenti e di simbionti in cattività
Edizioni Il Ramo e La Foglia Edizioni
Collana Racconti
Genere Racconti e antologie letterarie
Anno 2022
Pagine 128