Editoriale 4.
Il maltempo
Panorami desertici e morte improvvisa
Oggi, con l’Editoriale 4. desidero parlare della nostra Penisola, afflitta sempre più da perturbazioni violente e devastanti. L’agricoltura è in ginocchio, le città si allagano e gli alberi sono flagellati dalle raffiche di vento: cadono sui cigli delle strade, invadendole. Inoltre alcune persone rimangono intrappolate dalle alluvioni, perdono la vita e i loro averi, ritrovandosi per strada in un batter di ciglio.
Interviene così la protezione civile e gli stessi cittadini si mobilitano per aiutare la popolazione. Si ripuliscono le città dalla fanghiglia e da tutto ciò che le mareggiate lasciano alle loro spalle. La Regione Veneto è ferita come la Liguria, alcuni paesi soffrono e se portiamo l’esempio di Terracina (Latina) allora c’è da allarmarsi sul serio.
Tetti scoperchiati, il lungomare distrutto, i pini marittimi, eredi di quei territori, per terra a segnare ambienti che non vengono più riconosciuti come tali, il centro storico è bandito. Non ci si può entrare e gli abitanti sono in lutto per la loro città di appartenenza.
Si può morire per tutto ciò ma, soprattutto, ci si può sentire afflitti nell’anima?
Editoriale 4.: violentare la natura e la furia della stessa
Insomma. Un insieme apocalittico. Un argomento ampio che per di più rende tutti sgomenti. Una circostanza che è stata affrontata in questi giorni sia dai telegiornali regionali sia nei programmi di approfondimento. I dibattiti sono sempre gli stessi da anni: l’incessante abuso edilizio, che modifica l’andamento dei corsi d’acqua e il perpetuo cambiamento del ritmo della natura da parte dell’uomo inconsapevole delle sue azioni.
Noi continuiamo a violentarla – la natura – e le cause sono bastarde. I ghiacciai si sciolgono, il livello delle acque aumenta, i pinguini soffrono, gli orsi, le foche e i trichechi non riconoscono più il loro habitat abituale.
E noi? Persistiamo nell’uso delle macchine e di conseguenza aumentiamo il livello di smog, rendiamo l’aria sempre più opaca e il riscaldamento globale una bomba che, senza alcun avvertimento, scatta senza preavviso. Questo lo produciamo noi, ora.
Noi siamo i responsabili di questo orrore e ci chiediamo: siamo sicuri che desideriamo questo? Siamo convinti che questa modernità offra di più, invece di donarci giorni senza stress, camminate e giri con autobus e macchine elettriche?
Ci vorrebbe dunque un occhio di riguardo: un’attenzione in più, per un mondo pulito, senza che ci si rivolti contro. Perché esso ci parla e le sfuriate sono un messaggio eloquente. Non possiamo rimanere a guardare ma dovremmo agire affinché i danni si riducano e il tutto possa tornare ad una dimensione di un tempo: normale e naturale, appunto.
Annalisa Civitelli