Quanto conta la felicità
La settimana scorsa è stata ricca di ricorrenze: il 18 marzo, a distanza di un anno, si sono ricordate le molte vittime del Covid; ieri, 21 marzo, si è celebrata la Giornata Mondiale della Poesia e quella della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti della mafie indetta dall’Associazione Libera di Don Ciotti e Alda Merini avrebbe compiuto 90 anni.
Sfortunatamente abbiamo perso la poetessa troppo presto con i suoi versi intramontabili ancor oggi letti e declamati. Oggi, invece, si celebra l’acqua affinché rimanga un bene comune e non privatizzato, dunque non va sprecato ulteriormente.
Dal Nord Europa invece ci arriva la notizia che la felicità vince sulla società: secondo il “World Happiness Report” la Finlandia si conferma la nazione più felice al mondo, mentre l’Italia si aggiudica il 25° posto, avanzando di tre posti rispetto al 28°.
Cosa significa però vivere in un Paese felice?
I parametri sono dodici e si misurano non solo dal PIL, ma anche dall’indice di criminalità, dal livello di istruzione e occupazione, ma soprattutto dalla fiducia che la popolazione riserva nelle istituzioni e verso la comunità intera, agevolando l’inclusione e non solo. Sostenibilità e crescita economica pari a tutti i cittadini, coadiuverebbero alla costruzione di una società felice.
Ne desumiamo pertanto che chi vive in Svizzera, Germania, Irlanda, Islanda, Svezia e così via, sia più protetto dalle istituzioni sia più supportato a livello sociale e, quasi certamente, ha un lavoro stabile, vive nel rispetto delle regole e dell’altro.
In Italia sembra al contrario che questo quadro venga sovvertito: perché? Probabilmente perché chi ci governa non è forte a sufficienza per cambiare un sistema stantio, affinché educarci al rispetto verso le leggi (solitamente il popolo italiano è capace ad aggirarle), offrire servizi utili al cittadino, rigenerare il mondo del lavoro e insegnarci l’integrazione di cui abbiamo tanto bisogno per accettare il diverso sotto ogni punto di vista.
Se andiamo a vedere più nel dettaglio il fatto accaduto alla stazione ferroviaria di Valle Aurelia a Roma ci mette di fronte, con prepotenza, a un episodio di omofobia molto grave e questa continua violenza sommata al bullismo, persiste nel farci riflettere sulle differenze culturali e sulle scelte personali. Una coppia di gay si è scambiata un bacio e un tizio si è arrogato il diritto di prendere i due a calci e pugni. Un video ritrae il fatto e ora si indaga sull’accaduto.
Che la criminalità sul territorio stia dilagando e i controlli siano deboli?
Ce lo chiediamo da tanto tempo: quanto ancora dobbiamo attendere affinché la politica agisca in modo tempestivo attraverso leggi severe e intervenga sul territorio grazie a interventi sociali più efficaci?
Pensiamo inoltre che se da un lato la felicità aiuti a crescere grazie a un senso di comunità dall’altro i diritti civili continuano a essere negati: l’esempio diretto è rivolto alle donne, le quali continuano a esserne private. La Turchia abbandona la Convenzione di Istanbul proprio contro la violenza sulle donne sia domestica sia per difendere le mutilazioni genitali; a Londra si continua a lottare per Sarah, la ragazza rapita e uccisa mentre rientrava a casa i primi di marzo.
Situazioni queste che compromettono la sicurezza di ogni singolo individuo. L’azione diviene dunque un pretesto, l’urlo delle voci all’unisono che cerca di modificare la società avvicinandola a un pensiero innovativo e pieno di linfa.