A Roma si incendia un simbolo dell’industrializzazione
Le fiamme colpiscono lo storico ponte dell’Industria con gravi ripercussioni sul traffico capitolino
Il cosiddetto ponte di Ferro ha preso fuoco nella notte tra sabato 2 e domenica 3 ottobre a Roma. Commissionato dal Governo Pontificio fu progettato dall’ingegnere francese Camille Polonceau e costruito da una società belga tra il 1862 e il 1863. La struttura ideata vanta tuttora tre luci a travate metalliche ed è costituita da arcate in ferro e ghisa che si poggiano su dei piloni con dei tubi di ghisa riempiti di calcestruzzo,
Inizialmente il ponte collegava la linea ferroviaria di Civitavecchia, che aveva il suo capolinea fuori Porta Portese, con la stazione Termini. Inaugurato da Papa Pio IX, il ponte ai suoi esordi si chiamava Ponte San Paolo per la sua vicinanza all’omonima Basilica e, per agevolare il passaggio dei piroscafi e ai bastimenti armati, il ponte si apriva nella parte centrale.
Nato dunque in epoca papale, la struttura industriale è stata oggetto di svariate discussioni, in quanto proprio i Papi erano sfavorevoli alla modernità e all’evolversi dell’architettura. Ma proprio nel 1852 i capitali inglesi servirono a far accrescere l’illuminazione capitolina: il primo impianto fu costruito a Via dei Cerchi, grazie alle compagnie City of Rome and Italian Gas Light e Coke Company, in seguito denominata Compagnia Anglo-Americana dell’illuminazione a gas.
Queste ultime ampliarono la loro produzione nella capitale e, per esempio, il Gasometro, che resta un reperto industriale, rappresenta l’espansione crescente dell’industrializzazione romana dovuta anche alle idee rivoluzionarie del sindaco Ernesto Nathan.
Il ponte dell’Industria, inoltre, è stato purtroppo anche protagonista delle violenze nazifasciste nel 1944, che riguardano l’episodio dell’eccidio di dieci donne. Sul simbolo dell’industrializzazione dunque si consumò la loro fucilazione da parte delle SS, poiché trovate in possesso di farina e pane in seguito all’assalto al forno Tesei che riforniva le truppe tedesche.
Oltre ad avere una valenza storica, il ponte di ferro è stato anche scelto per una scena del film de “La banda degli onesti” del regista Camillo Mastrocinque (1956). Ora, però, esso è parzialmente distrutto a causa di un incendio – pare doloso – su cui la procura sta indagando. Al Tribunale di Piazzale Clodio è già aperto un fascicolo contro ignoti e per delitti contro l’incolumità pubblica.
Le fiamme divampate – che vedono coinvolta anche una tubatura del gas – a causa dei falò o addirittura dai fornelletti utilizzati dai senzatetto che vivono sulle sponde del Tevere, hanno avvolto la struttura, lasciando gli abitanti dei quartieri limitrofi senza luce e gas per molte ore.
Ma la notizia più consolante è che il ponte può essere recuperato nella sua interezza, dopo vari sopralluoghi e verifiche della struttura. Non sarà questione di giorni. Ci vorrà infatti almeno un anno per riportare il ponte al precedente splendore e, chiaramente, ora entra in gioco l’infinito problema del traffico capitolino ovvero il collegamento tra il quartiere Portuense e Ostiense che saranno entrambi compromessi da questo enorme disagio.
E, in questo caso, reputo che la viabilità romana debba essere migliorata in modo radicale sia per non farci perdere tempo negli ingorghi sia perché una città silenziosa e vivibile significherebbe creare strade a misura di uomo e sostenibili. Progettualità utopiche in cui credo molto.
Insomma, ci troviamo nel terzo millennio e assistiamo ancora immobili a questi eventi che non mettono a tacere l’opinione pubblica né le autorità competenti né i comitati di quartiere. È mai possibile, mi chiedo, che i senzatetto o i senza fissa dimora debbano tuttora vivere allo stato brado? Al contrario, si possono trovare soluzioni alternative?
Penso di sì: se ci si guada in giro, Roma è piena di palazzi, caserme e spazi dismessi e dunque vuoti. Non solo, anche ai confini delle strade statati, se si osserva bene, sorgono palazzi incompiuti. Pertanto, è tanto difficile pensare di ristrutturarli secondo piani ecosostenibili e conformi alle normative UE, pensando di renderli agibili e abitabili, affinché sia gli emigrati sia i nostrani in difficoltà possano trovare una casa definitiva?
Mancano i fondi, si sa, ma in particolar modo un impegno concreto verso la società ogni giorno in crescita, che va verso un’inclusione sempre maggiore. Il problema dell’incuria va avanti da anni, tuttavia trovare i soldi per risanare dei palazzi darebbe ampio margine per una vivibilità maggiore, soprattutto nel favorire ottime basi per l’economia circolare e per il mondo del lavoro.
Di soldi in effetti ne riceveremo molti, quelli del dopo pandemia che Conte ha portato a casa chiudendo la battaglia con la Comunità Europea da vincitore. Ma non sono destinati a questo obiettivo: un sogno irrealizzabile?
Di mio posso dire che queste rimangono delle riflessioni: ritengo che nonostante tutto possano fare eco e avere risonanza, affinché i grandi si smuovano per migliorare lo status sociale e senz’altro diretto verso un’esistenza integrata, una sostenibilità futura e un benessere comune, al fine di evitare che altri disastri all’interno della città romana possano di nuovo accadere, provocando sgomento e paura.
Annalisa Civitelli