Fight Club
Gabriele Amoroso Cinema 1999, brad pitt, combattimento, consumismo, critica, cult, david fincher, edward norton, fight club, film, helena bonham carter, psicologia, sapone 0
Presente nella top ten di tutte le classifiche più autorevoli sui film migliori di sempre, il capolavoro di David Fincher rappresenta un classico intramontabile del cinema moderno sull’alienazione dell’uomo contemporaneo, sull’analisi del proprio io e della società che ci circonda
Tentare di descrivere appieno ‘Fight Club’ in questa recensione risulterebbe certamente riduttivo. Sono state pubblicate molte riflessioni su di esso accomunate tutte dalla lode verso la trasposizione cinematografia del regista statunitense dell’omonima opera di Chuck Palahniuk.
Agiremo comunque nello sviluppare piccole considerazioni sul nodo gordiano di un’opera così ermetica e geniale per scoprire fino a che punto la critica al consumismo, di cui la trama è impregnata, sia fondata e radicata nella realtà odierna.
L’anonimo protagonista del racconto (interpretato da Edward Norton) è un consulente assicurativo che soffre di insonnia, vive in uno stato di perenne confusione, di déjà vu continui. Trova cura ai suoi problemi solo quando si confronta con la reale malattia fisica altrui: incomincia a frequentare dei gruppi di sostegno per persone affette da mali incurabili.
Proprio a uno di questi incontri conosce Marla Singer (Helena Bonham Carter) che, come lui, non è affetta da disturbi terminali, ma partecipa ai gruppi solo per turismo. Il successivo incontro con un enigmatico produttore indipendente di sapone, Tyler Durden (lo strepitoso Brad Pitt), uomo sopra le righe che vive libero dai vincoli del sistema, farà sviluppare la trama: i due insieme decidono di fondare il “Fight Club”.
La violenza presente nel racconto rappresenta lo strumento di redenzione dal consumismo inventato dai protagonisti: una via per la salvezza dalla contaminazione della società moderna che permette di arrivare a una consapevolezza primordiale, catartica e basilare. Spogliato del superfluo e ridotto all’essenziale, l’uomo viene riportato al suo stato originario in cui era costretto alla sopravvivenza, fino a mostrargli una verità che sembra sopita dal caos contemporaneo, la verità secondo cui l’oggetto dei nostri desideri non è altro che una ridondante illusione di felicità creata dalla macchina consumistica al fine di auto–alimentarsi: “siamo i sottoprodotti di uno stile di vita che ci ossessiona”, dice Tyler, appunto.
Il principio che sta alla base dei combattimenti è quello di annientare la sofferenza psicologica dell’individuo smarrito all’interno della collettività e sostituirla con quella fisica dei pugni. Una sorta di doccia fredda che fa riscoprire le reali esigenze dell’essere umano. Dunque, proprio la lotta cruda è lo strumento che veicola il pensiero dei partecipanti per il raggiungimento di tale coscienza, arrivando a distruggere l’illusione dell’autonomia del classico stile di vita americano. È la strada per la libertà: “il Fight Club era il regalo mio e di Tyler. Il nostro regalo al mondo”.
Proprio il diffondersi senza controllo dei Club in tutto il mondo fa capire che lo smarrimento di un individuo non è anomalo, ma è condiviso da molti altri, da tutti. La nostra personalità è continuamente messa da parte per lasciare spazio al desiderio di inseguire sogni inutili, oggetti vuoti che offrono solo un palliativo per il malessere quotidiano. La materialità uccide le persone: “le cose che possiedi alla fine ti possiedono”.
Sebbene siano passati quasi vent’anni dall’uscita del film e ben ventitré dall’uscita del romanzo, questa fredda visione della realtà sembra applicabile ancora ai giorni nostri. Allora si potrebbe pensare che la macchina consumistica sia un processo irreversibile al quale siamo tutti estremamente abituati al punto da non vederne più gli effetti deleteri sulla nostra felicità? Ad oggi, la nostra soddisfazione coincide con il possesso di oggetti inanimati che non arricchiscono il nostro animo? E se non fosse così, si è ancora in grado di sfuggire alla morsa della società tecnologica?
Tentare di rispondere in modo esauriente a queste domande dispiega dinanzi a noi uno scenario immenso su cui ancora oggi filosofi e studiosi dibattono. Questa è la vera attualità di ‘Fight Club’.
Ma ovviamente il film non parla solo di questo. Altri temi, come l’analisi psicologica dell’Io, del conscio e dell’inconscio sono importanti e trattati nel corso della narrazione ma, per interpretarli al meglio, sarebbero necessari degli spoiler che qui eviteremo.
La pellicola è impregnata di messaggi subliminali, come quello dei frame della figura di Tyler inclusi in molte delle scene iniziali prima del loro incontro (espediente che viene apprezzato a posteriori poiché è quasi impossibile accorgersene alla prima visione). O ancora l’inserimento in quasi tutte le ambientazioni di almeno una tazza di Starbucks, come a sottolineare la presenza ingombrante delle multinazionali nella vita di tutti i giorni.
Non molte le differenze tra il girato e il romanzo: Fincher riesce a trasporre perfettamente gli intenti espressivi di Palahniuk. Le tre colonne portanti Nolan–Pitt–Bonham Carter rappresentano una struttura perfetta per la realizzazione di ‘Fight Club’ scavato sulla via del genere thriller e arricchito con sfumature del grottesco e del drammatico.
La colonna sonora è stata quasi del tutto prodotta dai Dust Brothers ad eccezione di “Where is my mind?” dei Pixies, canzone simbolo dell’opera. Le scene sono ambientate in prevalenza di notte, mentre le immagini presentano un leggero viraggio verso il verde e la fotografia di Jeff Cronenweth si adatta alle diverse condizioni di luce.
‘Fight Club’ è quindi una pietra miliare della cinematografia moderna, un lungometraggio che fila liscio per 139 minuti senza far mai staccare gli occhi dello spettatore dallo schermo in un climax di crescente suspense. La regia di Fincher è sinonimo di garanzia di qualità e la recitazione dei protagonisti (affiancati anche da figure come Jared Leto e Meat Loaf) non può che rendere il prodotto degno di nota. Il finale è ricco di spunti riflessivi e l’aggiunta della componente amorosa, imprescindibile in ogni scenario della vita, riporta alla realtà una storia altrimenti sospesa nel limbo della perenne utopia.
Andrea Maresi
Fight Club
di David Fincher
con
Edward Norton Narratore
Brad Pitt Tyler Durden
Helena Bonham Carter Marla Singer
Meat Loaf Robert “Bob” Paulsen
Zach Grenier Richard Chelser
Jared Leto Faccia d’Angelo
David Andrews Thomas
Rachel Singer Chloe
Regia David Fincher
Sceneggiatura Jim Uhls
Fotografia Jeff Cronenweth
Montaggio James Haygood
Musiche Dust Brothers
Genere Drammatico
Distribuzione 20th Century Fox
Produttore esecutivo Arnon Milchan
Effetti speciali Rob Bottin
Paese Stati Uniti d’America
Anno 1999
Durata 139 min