La storia di Gino Bartali
Il 14 e il 15 dicembre al teatro Cantiere 2000 è andato in scena “Ginettaccio”, monologo di narrazione diretto da Andrea Ferri e interpretato da Matteo Malfetti; un viaggio a tappe nella vita di Gino Bartali, l’uomo che dal ‘35 al ‘54 in sella alla bici ha entusiasmato gli animi degli italiani come sanno ancora fare alcuni ciclisti
La storia di Bartali ne ha incrociata un’altra, quella con la “S” maiuscola; molto più che un atleta di fama internazionale, il ciclista di Ponte a Ema è stato parte, durante l’occupazione tedesca, di una rete di salvataggio per quegli ebrei che avevano bisogno di documenti falsi per fuggire dall’Italia.
Ogni narrazione ha un punto di vista e quello di Ferri e Malfetti emerge chiaramente: il loro Gino Bartali è un eroe positivo, pieno di buoni sentimenti, nonché un modello di integrità e di morale; la sua storia fa sorridere, ha una leggerezza che è anche quella del dialetto, che ci mantiene vicini al racconto.
La messa in scena è estremamente semplice: lo spazio è vuoto, tutto è nel corpo e nella voce di Malfetti, l’idioma è il vestito che permette al pubblico di vedere Gino. Con pochi gesti, piccoli cambi di postura, il protagonista riesce a evocare i personaggi e a raccontare i cambi di scena, in un’altalena continua tra narrazione e impersonificazione.
L’intero spettacolo si regge su un ritmo volutamente incalzante che vuole avere il sapore di una corsa in bici; in partenza risulta addirittura troppo veloce, le parole viaggiano come una mitragliata di colpi e la platea deve mettersi a correre insieme all’attore stesso; ci vuole il tempo fisiologico di entrare in sintonia, di capirsi in modo che un monologo possa diventare un dialogo tra attore e pubblico. Pian piano iniziamo a sorridere, a capire quindi il pensiero di Gino e a emozionarci insieme a lui.
“Ginetaccio – La storia di Gino Bartali” riesce indubbiamente a toccare delle corde emotive e ad aprire riflessioni sulla coscienza sociale in ogni professionismo, non solo in quello sportivo. Gino Bartali ha tanto da raccontare e le sue parole toccano nel profondo; “Il bene si fa ma non si dice” sembra rimanere nell’aria come un mantra.
Certamente si percepisce che lo spettacolo è giovane e ha bisogno di crescere; poiché la struttura ritmica è al centro della scrittura e della regia è importare arrivare a un’organicità, che dipende tutta dalla recitazione: la cadenza, a tratti ancora macchinosa, ha necessità di adeguarsi al pubblico e amalgamarsi in modo che le frasi e i passaggi trovino il giusto respiro. Mediante piccoli accorgimenti, l’alternanza tra le due voci, di Bartali e del narratore, potranno risultare ancora più suggestive.
In epilogo, sotto un cono di luce giunge la morale, il senso della vicenda è dichiarato apertamente: l’etica professionale nasce dal sentire la responsabilità di quello che si fa, e di volerlo fare bene. Se si è onesti con se stessi probabilmente non si smetterà mai di lavorare per migliorare, perché come diceva Gino “l’è tutto da rifare”.
Maria Costanza Dolce
Cantiere 2000
14 e 15 dicembre
Ginetaccio
La storia di Gino Bartali
di Andrea Ferri e Matteo Malfetti
regia Andrea Ferri
con Matteo Malfetti