Umani di plastica
Andato in scena dal 9 al 14 novembre, al teatro Belli di Roma, nell’ambito della rassegna TREND, ‘Girl in the Machine’, prova a immaginare un futuro controllato da realtà virtuali e chip sottocutanei. Lo spettacolo è fumoso e poco consistente e non aggiunge molto ai numerosi esempi già esistenti di cinema e letteratura sul tema
In un futuro immaginario e poco lontano, Polly è una donna in carriera ossessionata dalla propria professione. Owen è il suo compagno, un infermiere pragmatico e innamorato. L’uomo dona a Polly un moderno dispositivo elettronico, Black Box, in grado di interagire vocalmente con gli umani: lo scopo di questa macchina è ristabilire gli equilibri corretti nelle vite dei possessori ma, nel caso di Polly, qualcosa non va come dovrebbe.
Lascia molto perplessi ‘Girl in The machine’: connotato dalla solita anima metaforica, lo spettacolo è un insieme confusionario di distopia e richiami al presente dove tutto è soltanto accennato.
È proprio il rapporto tra Polly e Black Box a non essere mai indagato profondamente all’interno del copione; nell’opera tutto è soltanto presunto e sbiadito, complice anche un’azione scenica piatta e meccanica che non offre alla vicenda un ritmo logico.
La costruzione globale dello spettacolo non aiuta minimamente la scarsa solidità del testo e la sostanza drammaturgica rimane soltanto in superficie.
Nella messinscena tutto funziona poco o male: la regia di Maurizio Mario Pepe stenta a trovare un proprio fuoco perdendosi in numerose sterilità, mentre la recitazione di Edoardo Purgatori e Liliana Fiorelli non emoziona né impressiona.
I due giovani interpreti impegnati in scena mancano di spontaneità e se da un lato Purgatori insiste troppo sulla naturalezza, la Fiorelli è priva di energia e difficilmente risulta credibile anzi, il suo personaggio, che nella storia è protagonista, è completamente senza colore.
Purtroppo ‘Girl in The machine’ non decolla e non riesce a rappresentare in maniera convincente lo spirito del testo, inoltre, nella lunga ora di azione, la noia attraversa un fastidioso crescendo che, sfortunatamente per tutti, porta numerosi spettatori a sonnecchiare sulle poltrone.
Gabriele Amoroso
Foto: Manuela Giusto
Teatro Belli
dal 9 al 14 novembre
Girl in the Machine
di Stef Smith
Regia e traduzione di Maurizio Mario Pepe
con Edoardo Purgatori e Liliana Fiorelli
Voce di Black Box Patrizia Salmoiraghi
Supervisione movimento Jacqueline Bulnes
Scenografia Nicola Civinini
Sound design Lorenzo Benassi
Produzione Khora Teatro in collaborazione con La Forma dell’Acqua