Quante volte ci siamo chiesti qual è il senso della nostra vita? Perché, prima o poi, questa domanda si insinua nella nostra mente e dare una riposta non è per niente facile. Stiamo vivendo una vita degna di essere vissuta? Abbiamo trovato il nostro scopo? Proprio in Giappone c’è una parola per esprimere questo concetto: ‘Ikigai’
Il termine ikigai è composto da due elementi, “ikiru” (vita) e “kai” (realizzazione). Non è possibile tradurre alla lettera il significato in italiano, ma a grandi linee si può riassumere come ragione di vivere: il motivo per cui ci alziamo la mattina. È una parola che racchiude in sé azione, non contemplazione. È tutto ciò che rende la nostra esistenza ricca di significato e degna di essere vissuta.
Spesso ci vuole tempo e fatica per individuare il nostro ‘Ikigai’, per far si che affiori dalla nostra coscienza, ma chi lo scopre ha vinto alla lotteria. Chi non vorrebbe sentirsi realizzato, pieno di energia, positività, fiducia in se stessi, in altre parole felice?
Alzarsi la mattina con il sorriso, essere grati per la nuova giornata tutta da vivere e per avere ancora del tempo su questa magnifica Terra: sogno o realtà?
I giapponesi hanno tutti la propria ragione di vita: occorre solo cercarla, afferrarla e tenersela stretta. Stando attenti però a non esagerare, a non diventare egoisti, offuscati dal raggiungimento dell’obiettivo a tutti i costi. Dunque, come si fa a trovare l’‘Ikigai’? L’unica strada, ci dicono dal Sol Levante, è porsi delle domande (il cosiddetto “inquiring”). Solo quattro in realtà, apparentemente semplici, ma per molti di noi forse non basterebbero anni di psicoterapia per venirne a capo.
Quattro quesiti alla ricerca dell’Ikigai
In Occidente il concetto di ‘Ikigai’ viene spesso associato al diagramma di Venn che riproduce quattro finalità sovrapposte una all’altra: casa si ama; cosa si è bravi a fare; ciò di cui il mondo ha bisogno; quello per cui si può essere pagati. Al contrario, per i giapponesi l’idea di ‘Ikigai’ può non avere alcuna correlazione con il lavoro, né con il guadagno. Tuttavia, un sondaggio recente riporta che il 31% della popolazione nipponica considera il proprio ‘Ikigai’ l’occupazione stessa, da sempre intesa come servizio per la società.
Dunque, per avere una risposta è necessario porsi degli interrogativi, per fare chiarezza e trovare, o perlomeno immaginare, il proprio ‘Ikigai’. Non ci sono riposte giuste o sbagliate o una migliore dell’altra, non c’è giudizio. È piuttosto una condizione mentale e spirituale in cui ogni individuo percepisce la vita come preziosa.
In fondo, quando da piccoli ci chiedevano “cosa vuoi fare da grande?” le repliche erano autentiche, spontanee e ambiziose: l’astronauta; il pilota; il medico; lo scienziato. Racchiudevano già il seme della nostra tipicità, di come ci vedevamo da adulti: una bozza di ‘ikigai’.
Il Professor Keating in “L’attimo fuggente” cita Henry David Thoreau: “Molti uomini hanno una vita di quieta disperazione: non vi rassegnate a questo, ribellatevi, non affogatevi nella pigrizia mentale, guardatevi intorno. Osate cambiare, cercate nuove strade”.
Il cuore dell’esperienza
Per trovare il nostro ‘Ikigai’ e non lasciarlo andare, senza farsi distrarre dalla quotidianità, le quattro domande sono pertanto fattore di crescita personale.
“Che cosa ami, qual è la tua passione?” è la prima questione da affrontare: non si tratta di nulla di materiale, di cose che danno una rapida quanto effimera soddisfazione, ma dello stimolo essenziale e fondamentale che mette in moto la nostra vita. Chiediamoci dunque cosa ci piace veramente. Se non dovessimo lavorare per vivere e potessimo seguire il nostro cuore ed essere liberi, cosa ci piacerebbe fare?
“In cosa sei bravo?”. Il concetto può sembrare simile al primo, ma non lo è. Qui occorre far luce sulla nostra vocazione, su ciò che ci riesce meglio. L’interrogativo, se vogliamo pratico, è meno sentimentale del primo. A grandi linee, tutti più o meno sappiamo per cosa siamo portati. Passione e talento però non sempre coincidono. Possiamo amare la pittura, ma essere molto più bravi ad organizzare le mostre, aiutando gli artisti a farsi conoscere. Questa è la nostra predisposizione.
Seguono “Cosa vuole il mondo da te?” e infine “Con cosa puoi procurarti da vivere?”. Il terzo punto ci sollecita a capire qual è la nostra missione sulla terra: cosa possiamo fare per noi e per gli altri. Ci invita a comprendere come potremmo rendere il pianeta un luogo migliore e qual è il nostro posto e il nostro ruolo. L’ultimo, invece, è più concreto perché, se non si è nati ricchi o non si è un eremita tra i boschi, abbiamo bisogno di lavorare per vivere: insomma, dobbiamo imparare ad affrontare la quotidianità.
Una sfida difficile
L’insieme delle risposte, messe in relazione, potrebbe aprire uno spiraglio sul nostro senso della vita. Il più delle volte non è possibile seguire le proprie passioni e svolgere un lavoro che ci piace davvero, in cui sfruttare al massimo il nostro talento: l’impresa è ardua.
Del resto, anche seguire la propria missione o vocazione, e non avere di che vivere o, al contrario, avere soldi a sufficienza, ma sentirsi vuoti e insoddisfatti, sono strade che non conducono all’‘ikigai’, ma alla sconfitta esistenziale.
Per questo motivo si ricerca un equilibrio perfetto che inquadra desiderio e naturalezza, ma bisogna imparare anche a diversificare la rappresentazione del proprio ‘Ikigai’ – a seconda della nostra età – attraverso l’intersezione tra: valori a cui fare riferimento; interessi principali; capacità pratiche individuali. Si può così desumere che “la chiave del processo di ricerca dell’‘Ikigai’ è in un certo senso la ricerca stessa”.
Una curiosità ci porta a sapere che Akihiro Hasegawa, psicologo clinico e professore associato all’Università di Toyo Eiwa, e coautore di un testo di ricerca (2001), fece inserire il termine ikigai nell’uso quotidiano della lingua giapponese. Secondo lo psicologo, però, l’origine del lemma risale al periodo Heian (794–1185), epoca dove “gai” deriva dalla parola “kai” ossia “concliglia”, al tempo considerata un bene pregiato. In conclusione, l’‘Ikigai’ è un pensiero che racchiude in sé tutti gli aspetti della vita finora descritti.
Ivana Barberini
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