‘Il Cameraman e l’assassino’ è un film belga del 1992, di cui si parla purtroppo molto poco. Nel suo piccolo tuttavia ha fatto la storia del cinema di genere europeo, aggiungendo un prezioso tassello alla crescita del cinema “Pulp” che Tarantino ha contribuito a rendere popolare e celebre
La trama intreccia le vicende di un team di giornalisti che realizza un reportage su Ben, un ragazzo di strada figlio della classe operaia nel Belgio Vallone (la parte francofona del Belgio). Filosofo da bistrot che ha un’opinione su tutto e il contrario di tutto, Ben è un gallerista ed intenditore d’arte, il quale sovente si esprime in termini razzisti e misogini. Dall’umorismo tagliente, è perennemente arrabbiato con la vita e con la società.
Ben, soprattutto, è un serial killer. Uccide non per follia e neanche per vendetta personale, lo fa per passione, ed è del tutto consapevole di ciò che fa. Per quanto disturbante e sinistro possa sembrare, per Ben uccidere è un mestiere come un altro, non dissimile dal fare il falegname o il calzolaio. Lui stesso infatti si definisce un artigiano.
Girato in bianco e nero negli anni ’90, non per scelta come “La Haine – L’Odio” – https://www.brainstormingculturale.it/la-haine-lodio-la-forza-della-periferia-parigina/ -, ma per mancanza di budget, ‘Il cameraman e l’assassino’, traduzione imperfetta di “C’est arrivé près de chez vous – è successo vicino a te”, è in realtà un film di diploma di Rémy Belvaux che all’epoca studiava all’INSAS, l’Institut Supérieur des Arts.
Nessuno dei tre attori e registi che ha lavorato all’idea, Rèmy Belvaux, Benoit Poelvoorde e Andrè Bonzel, era però consapevole che il progetto fosse innovativo, bello tanto da essere addirittura distribuito nelle sale cinematografiche e che potesse concorrere a Cannes. La critica, al tempo, si dimostrò entusiasta di questa commedia nera dai registri psicologici/horror.
Il cameraman e l’assassino: unico nel suo genere
Benoit Poelvoorde, uno dei tre autori del lungometraggio, che per l’occasione ha interpretato il protagonista principale, si è visto catapultato direttamente dalla condizione di giovane sconosciuto a personaggio famoso. Tant’è che negli anni è arrivato a essere uno degli attori prediletti dal cinema francese.
In questa sua interpretazione, Poelvoorde, nonostante fosse un assoluto esordiente e grazie al suo talento precoce, si capisce perfettamente come abbia fatto a vincere la stima di un pubblico molto esigente ed appassionato di cinema come quello d’oltralpe.
Proprio Poelvoorde, molti anni dopo l’uscita del film, in un’intervista ricorda questo suo iconico ruolo, facendo una riflessione che esprime molto sul suo lavoro, con un chiaro riferimento ai reality show e ai suoi derivati: “[…] C’è nell’uomo una sorta di curiosità morbosa che lo spinge a rallentare sulla strada a guardare gli incidenti, oppure a rimanere incollato a questo tipo di trasmissioni”.
Poelvoorde, con questa pellicola, ha piuttosto anticipato almeno di un decennio il concetto di “Reality Show”, programmi che adesso infestano le nostre TV.
Lo voyeurismo televisivo
L’opera non si può definire propriamente un film, ma piuttosto delinea i tratti di un mockumentary ossia un film girato come se fosse un documentario.
Racconta infatti il voyeurismo della televisione verso tutto ciò che è scabroso e perverso, e Ben è l’oggetto ideale per le fantasie dei registi e del pubblico. Un ragazzo piacevolissimo e dalla battuta pronta che, esattamente come un Dr. Jekyll & Mr. Hyde, mostra una faccia alternativa crudele e spietata.
Questo malsano bisogno di esistere a danno del prossimo viene appunto denunciato da ‘Il cameraman e l’assassino’ con il pretesto di prendere in giro questa tipologia di trasmissioni: i reality.
Le emittenti televisive conoscono il loro publbico e, sapendo benissimo che i telespettatori al ritorno a casa dal lavoro non vorranno indulgere nell’introspezione, offrono quindi dei programmi di un’ora ostentando la miseria degli altri, affinché gli utenti siano soddisfatti.
Dopotutto l’opera di cui parliamo segue un uomo comune nella sua caduta, ne filma sia la penuria del personaggio principale sia quella delle sue vittime. E i media finiscono con l’essere complici.
Il cameraman e l’assassino: l’eroe perverso
Il personaggio di Benoit-omicida non è l’unico ad essere mostrato regolarmente sullo schermo. Anzi, l’eroe viene seguito dagli altri soggetti nonché co-sceneggiatori e registi stessi della pellicola, i quali vestono i panni di alcuni giornalisti che svolgono un reportage su Ben.
Durante il corso della narrazione non è da sottovalutare l’evoluzione dei protagonisti che, attraverso una recitazione incalzante, rendono ritmico l’insieme. La crescita di ogni soggetto è quindi un passaggio piuttosto stimolante da seguire, testimone di un lavoro che coinvolge lo spettatore.
Il concetto del programma è dunque filmare una persona nella sua vita quotidiana, in cui i giornalisti – essenziali quanto Ben – fanno girare le telecamere verso la figura principale durante ogni conversazione ed essendo regolarmente inquadrati.
Man mano che la pellicola procede il reportage si fa più incalzante e Ben viene ripreso minuto per minuto dai reporter. Le azioni di questi ultimi di conseguenza crescono sempre più, finché non si faranno trascinare negli stessi sordidi reati del protagonista.
L’immoralità chiave di lettura
Ciò a cui mira Ben non sono i delitti diretti alle persone più facoltose, bensì volti alle più povere. Attaccare la gente comune per Ben significa non essere catturato dalla polizia, non essere ripreso dai media e di conseguenza non essere visibile dall’audience televisivo.
L’obiettivo dei reporter, invece, è raggiungere lo scandalo, il clamore. Essi giocano con l’orgoglio dell’assassino, spingendolo ad aggredire una famiglia di un ricco sobborgo della città: il servizio sulla famiglia borghese sterminata nel soggiorno della loro casa riversa più psicosi nella gente comune che uccidere un senzatetto.
ll fine dei giornalisti è dunque filmare ciò che accade davanti ai loro occhi, mettendo in scena il lavoro di Ben chiedendogli di commettere un crimine ben preciso.
Dove risiede la moralità dei sicari e dove quella dei giornalisti?
La barbarie in TV
Il fine dei media è pertanto trasmettere storie squallide, perché sanno che lo spettatore non può fare a meno di guardare. Provocano la violenza banalizzandola.
Se Quentin Tarantino, per esempio, a proposito di questo argomento, ribatte da un lato sulla brutalità nei suoi film che “la violenza nel cinema non è poi così problematica, è un codice inteso come tale dallo spettatore che sa benissimo che il mondo in cui si svolge il film è un mondo di finzione“, dall’altro critica i media per la violenza delle loro immagini, poiché sono ben radicati nella realtà.
Quando si guardano i telegiornali, infatti, si sa che le immagini provengono dal mondo reale e che la veemenza descritta è reale e non messa in scena, ciò che è più colpevole agli occhi del regista americano.
Inoltre, guardando ‘Il cameraman e l’assassino’ salta alla mente “Munich” di Steven Spielberg, in cui il regista americano ripercorre la vera presa in ostaggio degli atleti israeliani alle Olimpiadi del 1972 da parte di terroristi palestinesi.
La cattura dei prigionieri si trasforma poi in una strage quando i giornalisti, volendo seguire in diretta l’intervento della polizia per fare audience, rendono un servizio ai sequestratori che, con l’aiuto di una televisione accesa, riescono a monitorare l’andamento delle squadre di intervento in tempo reale.
A forza di voler essere spettacolari, i giornalisti a volte dimenticano le loro responsabilità verso la gente comune e la deontologia che detta le regole del mestiere.
Ben, la forza del film
Possiamo così considerare che la forza de ‘Il cameraman e l’assassino’ risiede proprio in Ben, il protagonista.
Un uomo dalle molte qualità come il suo profilo culturale e la passione per l’arte sopracitata, accompagnata da un atteggiamento arrogante e intollerante.
Azzardiamo. Potremmo dire che in ogni persona risiede un “Ben”: non siamo tutti assassini o razzisti, ma in ognuno di noi si nasconde un lato negativo e spiacevole, testimone dell’eterno dualismo bene-male.
Insomma, se siete curiosi e non avete visto questo piccolo capolavoro, ‘Il cameraman e l’assassino’ è da aggiungere velocemente alla vostra lista di pellicole da scoprire.
Non è un film per tutti: come già abbiamo accennato è un’opera molto forte, ma se amate il cinema di genere che adopera un linguaggio audace, è una pellicola che ricorderete a lungo!
Andrea Di Sciullo
Il cameraman e l’assassino
Regia Rèmy Belvaux, Benoit Poelvoorde e Andrè Bonzel
con
Benoît Poelvoorde Benoit “Ben” Patard
Jacqueline Poelvoorde Pappaert Madre di Ben
Nelly Pappaert Nonna di Ben
Hector Pappaert Nonno di Ben
Jenny Drye Jenny
Malou Madou Malou la barista
Valérie Parent Valérie
Rémy Belvaux Rémy il Reporter
André Bonzel André il Cameraman
Effetti speciali Olivier de Laveleye
Fotografia André Bonzel
Montaggio Rémy Belvaux e Eric Dardill
Musica Jean-Marc Chenut e Laurence Dufrene
Genere Documentario, Noir, Grottesco, Thriller
Sceneggiatura Benoît Poelvoorde, Vincent Tavier, Rémy Belvaux e André Bonzel
Produzione Rémy Belvaux, André Bonzel e Benoît Poelvoorde