È una versione de “Il misantropo” di Molière che lascia perplessi quella diretta da Nora Venturini in scena al teatro Ambra Jovinelli di Roma dal 13 al 24 marzo: a fronte di un copione pieno di significato e senza tempo, la messinscena fatica a trovare un proprio fuoco o punti di forza sui quali fare leva. La disomogeneità nelle interpretazioni del cast e una regia globalmente senza sapore fanno sì che l’occasione di proporre al pubblico un lavoro tuttora efficace vada sprecata
Alceste è un idealista estremamente sfacciato e sincero, detesta le convenzioni e morirebbe pur di difendere i propri principi etici. Ma Alceste è comunque un uomo ed è innamorato della giovane Célimène, una civetta mondana, superficiale e dalla lingua velenosa: nei giorni durante i quali il protagonista è impegnato in una lite giudiziaria che lo vede imputato, le sue dichiarazioni alla bella Célimène vengono tutte rifiutate tanto da spingere il reietto misantropo a ritirarsi in una sterile e penosa vita solitaria lontano da tutti.
La forza di questo spettacolo è tutta nel significato più profondo della trama: le caratteristiche psicologiche dei personaggi sono degli elementi senza tempo che trovano una propria dimensione anche nella nostra epoca, come la misantropia, condizione che abbraccia sempre più persone, soprattutto in questi ultimi anni dove sembra prender piede una forte condizione di individualismo.
Probabilmente lo stesso Molière non immaginava che ciò che ha raccontato nel proprio testo potesse trovare un terreno fertile anche quattro secoli più avanti eppure l’esagerata integrità di Alceste, il subdolo egoismo di Célimène, la capacità di compromesso di Filinto, l’assenza di misura di Oronte sono caratteristiche che l’essere umano vive e in qualche modo condivide con i suoi simili da sempre.
Purtroppo però questa messinscena è caratterizzata da una strana piattezza: anche se la maggior parte del cast è senza dubbio abile, disinvolta e convincente nel portare in scena personaggi fisicamente faticosi – sia per la stessa presenza richiesta in scena, sia per il grandissimo numero di battute – alcuni di questi caratteri sono resi in maniera assolutamente insipida.
In particolar modo è la figura di Célimène che, pur essendo forse la più interessante, incarnando le caratteristiche umane più comuni, non riesce mai a spiccare o a farsi ricordare, probabilmente anche a causa dell’interpretazione di Valeria Solarino che risulta, purtroppo per lei, molto poco espressiva. Decisamente migliore la performance del protagonista Giulio Scarpati, capace di dare ad Alceste dei contorni fatti di impazienza, risolutezza e quasi di rassegnazione che definiscono perfettamente il suo personaggio.
In tutto il lavoro è invece la regia di Nora Venturini a non convincere: che l’opera di Molière sia attuale è un dato di fatto, mentre i suoi personaggi sono tali che potrebbero sembrare utenti di social network. Questo comunque ha portato la regista ad insistere su una rappresentazione non solo priva di definizione temporale tra costumi improbabili, musiche e licenze concesse ai propri attori ma anche a impoverire il concetto stesso di attualità, che sarebbe rimasto molto più ficcante se lasciato così come emerge dalle sole battute del copione.
A favore dello spettacolo non gioca neppure la lunghezza (quasi due ore senza intervallo) che fanno dei cinque atti originali un unico, infinito atto che, superata l’ora, tende ad annoiare e a portare il pubblico a rumoreggiare e distrarsi.
Gabriele Amoroso
Foto Lanzetta Capasso
Teatro Ambra Jovinelli
dal 13 al 24 marzo 2019
Il misantropo
di Molière
traduzione Cesare Garboli
regia Nora Venturini
con Giulio Scarpati, Valeria Solarino, Blas Roca Rey, Anna Ferraioli, Matteo Cirillo, Federica Zacchia, Mauro Lamanna e Matteo Cecchi
scene Luigi Ferrigno
costumi Marianna Carbone
luci Raffaele Perin
musiche Marco Schiavoni