Roma e le sue infinite sfumature
All’incitamento “le mani si possono battere” di Alessandro Pieravanti si sente scorrere l’energia nuova del post lockdown, e di una ripresa della musica prepotente e chiara. Un’altra festa, dunque, si è susseguita a quella di Marina Rei, che ha richiamato il pubblico capitolino a gustarsi due ore dense di poesia e di vera romanità
Esattamente due anni fa usciva “L’amore mio non more”, l’ultimo disco de Il Muro del canto, da noi recensito. Abbiamo ritrovato lo storico gruppo musicale romano lo scorso 8 settembre sul palco della Cavea dell’ex Auditorium Parco della Musica ora Ennio Morricone.
Si sono presentati quasi tutti vestiti di nero e tutti in fila hanno mostrato da subito una sinergia tra loro, creando un’empatia con il pubblico che, con l’ensemble di sei elementi, ha festeggiato il ritorno della musica dopo la riapertura degli eventi.
Daniele Coccia (voce e testi), Alessandro Pieravanti (percussioni, batteria e voce narrante), Ludovico Lamarra (basso elettrico), Eric Caldironi (chitarra acustica), Franco Pietropaoli (chitarra elettrica) e Alessandro Marinelli (fisarmonica e tastiera) hanno incantato con il loro repertorio, riproponendo anche canzoni non più recenti.
Abbiamo trascorso due ore piene di energie tra romanità verace e sonorità versatili, tradizionali e cadenzate che si uniscono al rock, al pop e al melodico. L’incursione della fisarmonica di Marinelli rende inoltre l’atmosfera magica, quasi un dono di altri tempi.
Nei testi emerge sempre Roma, la quale diviene la protagonista di e per tutti. La poetica ben descrive i quadri popolari che Il Muro del canto propone fin dagli esordi: luoghi, sentimenti, vita reale, delitti, religione, libertà, morte, società, stento, guerra e amore che, quest’ultimo, si incastra nel puzzle infinito dei giochi di parole e di metafore che Coccia utilizza con maestria all’interno dei brani.
Con la sua voce profonda, il cantante e autore, sin dall’inizio è stato all’altezza della sua performance canora e, accompagnato dai suoi musicisti, ha dimostrato una professionalità esemplare.
Vinicio Marchioni interviene poi con la lettura de “Mi’ padre (Mio padre è morto a 18 anni partigiano)”, una poesia di Roberto Lerici, che rievoca la storia, quella contro il fascismo, con un richiamo nostalgico di sottofondo: il sentimento partigiano.
“Reggime er gioco”, “Roma maledetta”, “Cella 33”, “La vita è una”, “Come tre”, “Ciao core”, “Maleficio”, “Ginocchi rossi”, “La neve su Roma”, “Luce mia”, “L’amore mio non more”, “Madre delle lame”, “Il canto degli affamati”, “L’orto delle stelle”, “Quando scende la notte”, “Intanto er sole se nasconne” per omaggiare Stefano Rosso, “Ridi pajaccio”, “San Lorenzo” e“Parla co’ me”, sono tra i motivi proposti e una scoperta per chi non conosceva affatto i primi passi de Il Muro del canto.
Sul finale Il Muro ci dona due inediti: l’uno, dai toni freschi, sembra discostarsi dai timbri consueti a cui il gruppo ci ha abituati; l’altro è un brano scritto da Armandino Liberti, che racconta di un lavoro riscoperto, quello del traslocatore, e delle borgate. Entrambi saranno inseriti nel nuovo album tuttora in lavorazione, che avremmo il piacere di ascoltare l’anno prossimo.
Una serata vivace, pura distrazione che ci ha fatto ballare sulle note estremamente ritmate e ci ha fatto dimenticare per un po’, anzi ha annullato la distanza tra anima e corpo che in questo momento di disorientamento fatichiamo a riconnettere.
Annalisa Civitelli
Foto Fondazione Musica per Roma – Musacchio / Pasqualini / Ianniello
Auditorium Ennio Morricone
8 settembre
Il Muro del canto
Daniele Coccia voce e testi
Alessandro Pieravanti percussioni, batteria e voce narrante
Ludovico Lamarra basso elettrico
Eric Caldironi chitarra acustica
Franco Pietropaoli chitarra elettrica
Alessandro Marinelli fisarmonica e tastiera