La bellezza democratica alla portata di tutti
A distanza di sette anni ‘Quid’ continua a fa parlare di sé. Il 24 ottobre 2019 a Milano è stato inaugurato il nuovo punto vendita, come a Genova verso la fine dello scorso anno. Non solo: Francesca Romana Rinaldi, nel suo libro “Fashion Industry 2030” (Ed. BUP), parla del progetto circolare e dell’innovazione responsabile. Da Verona all’Europa il passo non è stato poi tanto lento grazie a un’ottima visione di progettualità di marketing e di futuro
Nel 2012, a Verona, nasce l’azienda Quid. Anna Fiscale, giovane imprenditrice locale, ex studentessa di Economia dell’università Bocconi di Milano, ha trovato dunque uno sbocco lavorativo prima di scegliere se tornare ad Haiti per una “Ong della cooperazione internazionale”, accettare un contratto di consulenza da parte di una multinazionale oppure fondare un’azienda in grado di creare bei prodotti partendo da ciò che si scarta – è il caso di dire – e offrire una seconda possibilità a chi è in difficoltà. La Fiscale, inutile dirlo, ha scelto la terza opzione.
Ad Avesa quindi è stato aperto un garage dove è cominciato tutto: “Eravamo cinque compagni di scuola – spiega la presidente di Quid – e non avevamo un soldo. Abbiamo cominciato grazie a 15 mila euro offerti dalla Fondazione San Zeno, che ha puntato di su noi dopo aver ascoltato il sogno che volevamo realizzare”.
Avviare un’impresa, che attualmente fattura oltre tre miliardi di euro, non è stato di certo semplice. Dapprima le collaboratrici erano due e il fatturato ha chiuso a 90 mila euro.
Oggi il garage si è ingrandito. Dallo scantinato di una scuola si è passati a due capannoni di proprietà con 120 dipendenti stabilizzati a contratto a tempo indeterminato e un giro di affari che nel 2019 ha superato i 3,5 milioni di euro: un’idea di sviluppo etico che riesce a crescere dentro le regole del mercato.
All’interno dei locali si raccontano solo storie di cucito: dalla scelta del tessuto alla nascita delle collezioni. L’insieme si compone di pochi pezzi, poiché i materiali non sono sufficienti per creare molti capi e accessori, inoltre ben distribuiti nei negozi Quid (in aumento) e negli altri cento punti vendita che in Italia ne vendono i prodotti. Anche il sito e-commerce contribuisce all’incremento dei guadagni dell’azienda.
Parola d’ordine: innovazione
In Veneto si parla di futuro e di integrazione. Attraverso il lavoro che la stessa Fiscale offre, mettendo in regola ogni dipendente e riciclando tessuti inutilizzati, si respira aria nuova. Tutti i lavoratori e le lavoratrici, infatti, attualmente hanno una casa, un’occupazione e addirittura usufruiscono sia di un welfare aziendale interno che funziona sia di una formazione continua.
La moda dunque va oltre i classici confini, quelli consueti, formali e commerciali: grazie al contributo di ciascuno, è ogni giorno più versatile e in movimento. Per questo motivo, si pensa anche alle persone disabili, ex schiave e detenute che, con divertimento, affronteranno la passerella per proporre gli abiti firmati Quid.
A tal proposito Ludovico Mantoan, Amministratore Delegato e cofondatore di Quid, spiega che “la sfida della cooperativa è trasformare i limiti di persone nate in luoghi svantaggiati, o reduci da esperienze dolorose, nella nostra più importante risorsa aziendale. L’impresa sociale non è un’esibizione di carità, ma la conferma che anteporre la persona al profitto oggi può generare un valore nuovo. La diversità favorisce la creatività e in ogni prodotto si sente che c’è una storia importante da raccontare”.
L’eco di Quid si è fatta più intensa: famosi brand della moda italiana, grandi stilisti, aziende internazionali del tessile, del design e dell’alimentazione biologica, come le stesse istituzioni europee, si sono accorte dell’impegno che Quid porta avanti ogni giorno.
Ad Anna Fiscale è stato conferito il “Premio Innovazione Sociale” (2014): la commissione Ue e la Banca europea per lo sviluppo hanno riconosciuto all’attività Quid la dedizione rivolta sia all’innovazione sia alla sostenibilità, coadiuvando a livello economico la crescita dell’impresa stessa e la formazione dei dipendenti.
Possiamo quindi considerare che i partner che forniscono i loro tessuti in eccedenza ai laboratori di Avesa (donati o acquistati a prezzi agevolati) contribuiscono all’uscita sul mercato di collezioni qualitative, soprattutto rispettose della natura e a costi democratici. La particolarità sta proprio nel fatto che la quantità dei tessuti stessi è limitata, vincolante. Di conseguenza si pensa a una collezione adottando un processo inverso: si parte da ciò che si ha per giungere al prodotto finale.
“Passo giorni al telefono con aziende che possono offrirci tessuti rimasti in magazzino – dice Marco Penazzi, 30 anni, ex infermiere trasformato in cacciatore di stoffe – poi salgo sul furgone e passo direttamente a ritirare i rotoli di cui i creativi hanno bisogno. I nostri sono davvero prodotti naturali in ‘limited edition’: un abito tagliato da fibre ecologiche rimaste, una borsa ricavata dalla fodera di un divano, o una busta per la verdura realizzata con il poliestere derivato dalla plastica dispersa negli oceani, non può superare i 50–100 pezzi. Un problema industriale così si trasforma in una soluzione commerciale”.
Aspetti positivi
Il supporto della Ue è pertanto molto rilevante. Senza non si sarebbe compiuto quello che si può definire oggi il “miracolo italiano”, un esempio in tutto il mondo dal punto di vista dell’accoglienza, rivolto alle persone con fragilità (provenienti da diverse nazioni), in particolare all’universo femminile.
L’inserimento pertanto assume una forte valenza positiva, significa anche combattere contro le difficoltà burocratiche nel nostro paese. La Fiscale è perciò preoccupata circa l’ondata neo–nazionalista, sovranista e xenofoba che si sta propagando in Europa: “Rispetto a cinque anni fa – dice – per iniziative simili gli ostacoli burocratici sono esplosi e i finanziamenti sono crollati. Se le forze anti–europee prevarranno, rimanere umani dentro un’economia di mercato sarà sempre più difficile. Resto però ottimista: nella vita concreta le persone comuni sono molto più aperte e generose degli slogan elettorali di una classe dirigente e politica che si auto–sostiene grazie alla paura per una realtà inesistente, rappresentata ad esclusivo uso mediatico. Noi, come tutti i giovani, abbiamo fiducia nell’Europa casa comune: e cerchiamo nuovi partner etici in tutti i Paesi dell’Unione”.
Ma il proposito rimane: puntare sull’ambiente e sulla socialità, che creano un binomio peculiare. Fabbricare stoffe intacca sia l’ecosistema sia l’atmosfera e Quid, appunto, interviene rendendo l’industria moda circolare, riutilizzando i materiali in eccesso.
Ridurre l’impatto ambientale, divenuto ora una vera emergenza, permette di salvaguardare ciò che ci circonda: solo l’1% della materia prima per produrre indumenti viene trasformato per nuove fogge.
Partendo dall’assunto che anche la moda inquina Quid diviene un modello da prendere in considerazione: la Ellen MacArthur Foundation, per esempio, nei suoi dati ha riportato che le emissioni di gas effetto serra causate della produzione tessile equivalgono a 1,2 miliardi di tonnellate all’anno. Pensate: superano addirittura quelle prodotte dai voli aerei e dal trasporto via mare insieme.
Il valore di Quid vive della riqualificazione dei tessuti, che tradotto significa ridar loro nuova vita e respiro, adeguandosi agli stili contemporanei, freschi e alla portata di tutti. L’azienda punta ad aumentare i collaboratori, dando sempre spazio alle donne – fulcro della stessa –, con l’esigenza di aprire le porte a un “progetto internazionale” dedicato all’inclusione e all’inserimento sociale degli immigrati.
In conclusione, la stessa ideatrice del progetto esprime: “[…] ci chiamiamo Quid perché i prodotti che offriamo ai clienti hanno quel cosa in più di un valore umano aggiunto, sintetizzato dal marchio della molletta che tiene unite realtà differenti impedendo loro di cadere”.
Annalisa Civitelli
Foto dal web