Il teatro Vascello di Roma, dal 21 al 26 marzo, ha ospitato ‘Il Soccombente’. L’adattamento del romanzo di Thomas Bernhard, incentrato sul senso di inferiorità di due compagni di studi del virtuoso del pianoforte Glenn Gould presso il Mozarteum, è stato reso in forma teatrale da Federico Tiezzi, con assistenza di Giovanni Scandella
La figura dell’artista tormentato, la cui ossessione per l’esecuzione perfetta strappa via ogni passione per la sua arte, che insegue in ogni momento la chimera di un altro, più favorito dalla musa, più vicino a quell’evanescente perfezione, è al centro della narrativa da sempre.
È la fondazione di classici del cinema, come “Whiplash” e “Il Cigno Nero”, e di interi spicchi di psicologia.
Ma una delle sue forme più conosciute è senza dubbio ‘Il Soccombente’, romanzo di Thomas Bernhard del 1983, incentrato su una domanda: cosa significa vedere un virtuoso crescere dinnanzi ai tuoi occhi, con la consapevolezza di non essere soltanto tecnicamente inferiore sotto tutti i fronti, ma di non avere in sé – come gridano in coro i tre esecutori dell’adattamento di Federico Tiezzi – niente dell’artista?
Il Soccombente: essere esistiti
‘Il Soccombente’ si sviluppa in sole tre parti – di cui quella centrale, con un anziano narratore in veste da camera, è affidata alla presenza matura e rispettabile di Sandro Lombardi. Con questi interagisce l’unico personaggio nominato della pièce, Wertheimer, immortalato in abito da concertista con le sembianze di Martino d’Amico. Mentre la linea, fisica e mentale, tra lui e il narratore si sfuma, quella espressiva rimane marcata dalla differenza di portamento dei due attori.
Lombardi è ieratico, spesso immobile, dalla gestualità ridotta, tranne nei momenti – per questo ancora più notevoli – in cui le è permesso di sbocciare. D’Amico è impetuoso, imperioso nei movimenti: la ricerca di attenzioni e di sguardi del suo personaggio prende vita nel suo atteggiamento, nel suo marcato relazionarsi col mondo esterno.
“Noi non esistiamo, noi siamo esistiti”.
Completa il cast Francesca Gabucci, l’elemento attoriale forse meno espressivo; ma potrebbe trattarsi di una scelta deliberata, poiché l’identità e il ruolo della donna che interpreta diventano chiari solo col prosieguo dell’esecuzione.
Il suo rapporto con Wertheimer, i gesti quasi da assistente di scena, vengono concretizzati e contestualizzati finché il suo gelo, la sua rigidità, non diventano condivisibili anche dallo spettatore.
Il pianoforte come attrezzo di scena
Li circonda un palco semplice e pulito, fatto di contrasti come i suoi abitanti. Un arredamento d’epoca, ricercato, dai colori autunnali, su uno sfondo essenziale di moderne luci al neon. Su di loro campeggia uno schermo, quasi una finestra nei pensieri dei suoi protagonisti.
Notevole su tutti è l’utilizzo del pianoforte a coda, anch’esso ridotto da strumento per creare arte ad attrezzo di scena, addirittura calpestato dai suoi ossessivi utilizzatori. Al che viene da pensare che i pianoforti di proprietà di Wertheimer e del narratore, eventualmente venduti, fossero stati salvati da una simile sorte. L’ossessione così diventa dissacrante.
Degno di nota e d’impatto è il finale che ribalta il senso stesso della fissazione artistica per il virtuosismo e restituisce all’arte del pianoforte e alla musica la passione, il divertimento e la differenza espressiva un tempo alla sua base.
Da Glenn Gould si passa a John Cage, dalle prove imperterrite alla semplicità del disimpegno – una via per non soccombere, dopo aver visto cosa prova chi non riesce a trovarla.
Maria Flaminia Zacchilli
Foto: Giusva Cennamo
Teatro Vascello
dal 21 al 26 marzo
Il soccombente
di Thomas Bernhard
Traduzione Renata Colorni
Riduzione Ruggero Cappuccio
Regia Federico Tiezzi
con Martino D’Amico, Francesca Gabucci e Sandro Lombardi
Scene e costumi Gregorio Zurla
Luci Gianni Pollini
Produzione Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival
Compagnia Lombardi – Tiezzi Associazione Teatrale Pistoiese