Chiara Bonome: “Il teatro è un mondo in perenne difficoltà: qualsiasi mezzo per divulgarne la bellezza è necessario”
Chiara Bonome è da parecchi anni una delle attrici più versatili e talentuose della compagnia stabile del teatro Vittoria di Roma; la giovane interprete ha avuto anche l’onore di chiudere la scorsa, brevissima stagione con uno spettacolo da lei stessa scritto, diretto e interpretato: “Le sfacciate meretrici”, un lavoro singolare e indovinato che ripercorre diversi eventi significativi del Risorgimento.
In questa lunga intervista, Chiara si presenta come un’artista e una donna consapevole e dalle idee ben inquadrate: le sue riflessioni sul teatro – prima e dopo la pandemia – mostrano una realtà immortale ma sempre imperfetta per la quale la parola d’ordine è “evoluzione”, lasciando intendere che proprio questo compromesso tra purismo e sperimentazione è l’ossigeno di tutto il teatro stesso e della cultura in generale.
Affezionatissima al teatro Vittoria, ormai una seconda casa, la Bonome preannuncia una stagione 2021/22 lunga e ricca di proposte che saranno presentate ufficialmente nel corso della conferenza stampa del teatro in programma lunedì 6 settembre alle 11.30 presso la sede storica della struttura a Testaccio.
Chiara Bonome parla del teatro con entusiasmo e ottimismo e ascoltarla fa dimenticare gli ultimi complicati mesi e porta a ben sperare per una ripartenza libera da qualsiasi difficoltà.
Chiara Bonome, lei è diventato uno dei volti di punta del teatro Vittoria: quale è stato il percorso che l’ha portata ad essere una delle protagoniste di questo storico teatro romano?
“La prima volta che sono entrata al teatro Vittoria avevo sei anni: mia mamma mi aveva portata a vedere ‘Rumori fuori scena’, l’inossidabile cavallo di battaglia della Compagnia Attori e Tecnici, per la regia di Attilio Corsini. Durante il primo intervallo le ho detto ‘Mamma, da grande voglio fare questo spettacolo’. E così è stato! Un sogno diventato realtà, ‘Rumori’ e tutto il resto. Non parlerei però di ‘volto di punta’: la nostra è una Cooperativa, siamo una Compagnia e la nostra forza più grande è quella di essere un gruppo affiatato, sotto la guida di Viviana Toniolo, Direttrice artistica del nostro teatro”.
Dove inizia la sua formazione come attrice?
“Sono cresciuta dietro le quinte: osservavo gli attori durante le prove e poi li vedevo in scena, per quasi tutte le repliche. Agli occhi di una bambina, quella trasformazione era un miracolo. La spiritualità laica del teatro e tutte le sue luci, i costumi, il trucco, il vociare del pubblico da dietro il sipario mi hanno trascinata con loro. Poi ho incontrato il teatro Vittoria, e Stefano Messina, in particolare, maestro e amico al quale devo moltissimo”.
Il suo ultimo spettacolo, “Le sfacciate meretrici”, l’ha vista coinvolta non soltanto come attrice ma anche come autrice e regista: come è nato questo lavoro?
“Ho iniziato ad appassionarmi alle donne del Risorgimento a diciassette anni, quando lessi la storia di Colomba Antonietti. Tornai a casa e scrissi un racconto di getto. Col passare del tempo, l’esigenza di raccontare e far conoscere le vite incredibili di queste donne incredibili è diventata sempre più grande. Viviana Toniolo, durante la pandemia, mi ha dato l’opportunità di mettere in scena questo testo in streaming dal teatro Vittoria, sotto forma di reading. È piaciuto moltissimo ed è diventato uno spettacolo con interpreti gli straordinari Virginia Bonacini, Valerio Camelin, Andrea Carpiceci, Chiara David e Stefano Dilauro”.
Come ha lavorato nelle vesti di drammaturga?
“È stato un minuzioso lavoro di ricerca storica e costruzione drammaturgica. Per non correre il rischio di riportare delle informazioni non veritiere, sono risalita direttamente alle fonti: erano i futuri ‘personaggi’ a parlare in prima persona. È stato emozionante sentire le loro parole pronunciate a voce alta, ancora una volta”.
Ultimamente l’editoria sta dedicando diverse pubblicazioni ai testi teatrali di recente scrittura: un copione che viene soltanto letto e non visto in scena ha lo stesso valore?
“Il testo teatrale, per definizione, nasce per essere portato in scena. Però non credo che la fruizione cambi il valore del testo. Quindi ben vengano le pubblicazioni! Il teatro è un mondo in perenne difficoltà: qualsiasi mezzo per divulgarne la bellezza è necessario”.
“Le sfacciate meretrici” è ambientato durante gli ultimi anni del Risorgimento italiano: come mai la scelta di questo periodo storico?
“È un periodo cardine della nostra storia, porta il nostro Paese e il nostro popolo a essere chi siamo oggi. Ma, soprattutto, è sempre stato raccontato solo al maschile: in realtà, moltissime donne contribuirono al ‘risveglio’ dell’Italia, combattendo sulle barricate, reinventando gli usi della tradizione. Volevano partecipare, senza rinnegare il loro ruolo di madri, mogli e sorelle. Si tagliavano i capelli e diventavano soldati. Le loro vite sono legate con un filo sottile a quelle delle donne del nostro tempo; come scrisse Cristina Trivulzio di Belgioioso: “Vogliano le donne felici e onorate dei tempi a venire rivolgere tratto il pensiero ai dolori e alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita e loro apersero e prepararono la via per la felicità”. La scelta è stata inevitabile”.
Le protagoniste di questo testo sono le donne: al di fuori del contesto teatrale quali sono le sue considerazioni in merito al ruolo che le donne continuano a ricoprire in questa nostra attualità sempre così controversa?
“Le donne sono note per la loro sensibilità, l’innata predisposizione alla cura, alla gentilezza. È tutto vero, ma sono anche emblema di forza. Per rispondere alla sua domanda, credo che il ruolo delle donne sia quello di diffondere questo modo di vedere il mondo, anche tra quegli uomini che non lo condividono. E, sicuramente, di sentire la parità nelle ossa, senza dover più dimostrare nulla a nessuno. Ma questo non possiamo farlo da sole”.
A causa della pandemia lo spettacolo dal vivo ha subito una battuta d’arresto: all’apparenza ora è ripartito, è però sano?
“Il teatro è ripartito, è vivo, irrequieto, indispensabile! Probabilmente non sarà mai sano: la precarietà è parte fondante del nostro lavoro. Il senso di tutto, per me, è la gioia negli occhi degli spettatori all’uscita dalle sale, che abbiano visto la commedia più divertente o il dramma più tragico. Il teatro crea gioia. Per poterlo fare, abbiamo bisogno di essere sostenuti e tutelati. Se per ‘sano’ intendiamo questo, allora sì, c’è ancora molta strada da fare, sia da parte delle istituzioni sia da parte nostra. Della follia necessaria all’arte, invece, avremo sempre bisogno”.
Cosa sarà necessario fare secondo lei per riportare il teatro e tutte le altre manifestazioni dal vivo a godere di ottima salute?
“La cultura dovrebbe essere spinta come settore primario per la cittadinanza, nonché per l’economia stessa. Contribuisce all’evoluzione degli esseri umani e, se non bastasse, a quella di tutte le attività che ruotano attorno agli eventi culturali. Da parte nostra, invece, dobbiamo continuare a sviluppare un ascolto attivo con il pubblico: il teatro senza il pubblico non si fa. E, sicuramente, cercare di costruire una rete tra realtà teatrali e culturali, alimentando la partecipazione e la condivisione, abolendo la competizione: anche quella ‘sana’, in realtà, non serve a niente. Uno spettatore che preferisce uno spettacolo a un altro è comunque uno spettatore acquisito. L’importante è che continui ad andare a teatro, e, per farlo, ha bisogno di stimoli da ciò che vede. E questo si fa con il supporto delle istituzioni, oltre che delle menti brillanti”.
Durante i diversi confinamenti quasi tutte le realtà teatrali hanno sperimentato l’ormai noto streaming; per molte persone questa è stata una soluzione inutile e per certi versi addirittura umiliante, per molte altre invece ha rappresentato un nuovo modo di fare arte che non sostituirà le rappresentazioni dal vivo ma che potrà in qualche modo completarle: lei cosa pensa in merito?
“Nulla può sostituire lo spettacolo dal vivo. Ma è compito degli operatori culturali essere al passo con i tempi: lo streaming teatrale può e deve essere un’integrazione dello spettacolo dal vivo. Ben utilizzato, seppure linguaggio nuovo e inesplorato, può riservare enormi sorprese e arrivare a un pubblico disabituato o poco educato al teatro, con la speranza di coinvolgerlo e portarlo in sala. Ma ripeto: lo streaming non può, e non deve, sostituirsi all’esperienza teatrale dal vivo”.
Negli ultimi anni il teatro Vittoria, così amato a Roma, è già stato coinvolto in equilibri piuttosto precari eppure ha sempre mantenuto la testa alta continuando con la sua programmazione di ottima qualità: cosa succederà nella prossima stagione 2021/2022?
“Il teatro Vittoria: ‘nomen omen’. È una realtà incredibile, ha una storia magica: a partire dai suoi fondatori, il mai dimenticato Attilio Corsini, Viviana Toniolo, che oggi ne è Direttrice artistica, Annalisa Di Nola e molti altri hanno compiuto un vero e proprio miracolo e sono un esempio per le giovani generazioni di teatranti. Proprio per questo, con la Compagnia di giovani con cui lavoro da quasi dieci anni, ci siamo sempre ispirati a questa forza, quest’intraprendenza, lungimiranza, e oggi, grazie a tutti i Soci della Cooperativa Attori & Tecnici del teatro Vittoria, ognuno è fondamentale nel proprio ruolo, dal botteghino all’Amministrazione, dalla Segreteria al Palcoscenico, e insieme a loro ci siamo anche noi. È un sogno che è diventato realtà. La prossima stagione sarà una proposta di ben venti spettacoli! Come Viviana ha detto, ‘non siamo impazziti, è un gesto d’amore e di rispetto per i lavoratori dello spettacolo e per il pubblico’. Ha voluto dare l’opportunità alle compagnie, dopo due anni di fermo quasi totale, di poter tornare sul palcoscenico, accogliendo tutti gli spettacoli che nelle stagioni precedenti erano stati annullati, e proporne di nuovi. Per saperne di più, il 6 settembre alle ore 11.30 ci sarà la Conferenza Stampa di presentazione della stagione, e sarà aperta al pubblico. Vi aspettiamo!”
Lei è spessissimo in scena con attori suoi coetanei, dunque molto giovani: quale identikit può tracciare di queste nuove generazioni di lavoratori dello spettacolo?
“I giovani che scelgono il teatro sono sempre tantissimi, questo è un segnale molto forte di vita, di un richiamo quasi atavico verso un mondo che è magico, sì, ma anche precario, instabile, a volte crudele. I giovani che scelgono il teatro sono dei folli sognatori. Vanno spesso contro le opinioni delle loro famiglie, pur di seguire la propria vocazione. Ecco, sarebbe bello che questo non dovesse più succedere. Che quando si risponde alla domanda ‘Che lavoro fai?’ con ‘Sono un attore’ la risposta più inflazionata non fosse ‘No, dico di lavoro vero’ o ‘E riesci a viverci?!’, ma qualcosa di simile a ‘E quando posso venire a vederti a teatro?’ o ‘Che bello!’. Non chiediamo la Luna, in fondo. O forse sì”.
Quale sarà il suo ruolo all’interno del teatro Vittoria nella prossima stagione?
“Avrò l’onore di aprire questa stagione ’21/’22 con uno spettacolo di cui sono autrice e regista, ‘Non ti scordar di me’, con un cast d’eccezione: Stefano Messina e Carlo Lizzani, storici Maestri della Compagnia Attori e Tecnici, Stefano Dilauro, giovane talentuoso, e Marco Simeoli, straordinario professionista, cresciuto accanto al grande Gigi Proietti. A dicembre, torneremo in scena con ‘L’opera del fantasma’, che ho scritto con Mattia Marcucci, commedia fortunata che ha dato origine a molti risvolti e a cui sono particolarmente affezionata; in scena insieme a me e a Mattia, Simone Balletti, Valerio Camelin, Chiara David e Sebastian Gimelli Morosini. A marzo, tornerà ‘Le Sfacciate Meretrici’ mentre a maggio, sarò nel cast de ‘Gli amici di Peter’, tratto dall’omonimo film di Kenneth Branagh, per la regia di Stefano Messina. Non vedo l’ora di cominciare!”
Gabriele Amoroso
Foto: Claudio Cavalloro