Daniela Airoldi ed Enzo Biscardi
“Il teatro genera responsabilità e consapevolezza del proprio ruolo sociale, che va oltre quindi il ‘consumo dell’evento’“
Abbiamo incontrato Daniela Airoldi ed Enzo Biscardi i quali ci hanno raccontato della tragedia di Gorla e del reading “Rinascere dalle macerie – 80 anni dalla strage di Gorla”, che ha coinvolto la collettività del quartiere milanese.
Il 20 ottobre del 1944 uno stormo di bombardieri alleati, che puntava alla periferia operaia di Milano, sulla Breda di Sesto San Giovanni, vira dal lato sbagliato. Porta quasi 350 bombe già innescate, e dunque non può atterrare prima di averle scaricate.
Lo fa, ma sotto c’è la scuola elementare Francesco Crispi, nel quartiere milanese di Gorla. Muoiono 184 bambini e bambine, consegnate alla storia come i “Piccoli Martiri di Gorla” -, e con loro quattordici insegnanti, la direttrice, quattro bidelli e un’assistente sanitaria. Non solo: il bombardamento colpisce anche alcuni caseggiati della zona.
Quel 20 ottobre a Milano furono estratte dalle macerie 614 vittime oltre a centinaia di feriti. Sono passati 80 anni e il Teatro Officina, dal 1973 mosso da una radicale vocazione al lavoro sul territorio, dedica un progetto articolato a una vicenda che diventa occasione di memoria viva: con Daniela Airoldi Bianchi, coordinatrice del progetto, abbiamo parlato non solo delle testimonianze delle vittime, ma soprattutto di come la città e il quartiere hanno fatto propri questi ricordi.
A partire dal reading “Rinascere dalle macerie – 80 anni dalla strage di Gorla”, con la drammaturgia originale di Nalini Vidoolah Mootoosamy e la regia di Massimo de Vita, si riflette sull’eredità della strage, che ha preso vita in laboratori didattici e in un podcast, fruibile gratuitamente sul sito di Teatro Officina.
Ne parla Enzo Biscardi, per raccontare – attraverso le voci raccolte per strada tra i nuovi abitanti (italiani e stranieri) del quartiere milanese di Gorla.
Daniela Airoldi Bianchi, come raccontare, oggi, questa storia?
“Sulla necessità di raccontare questa vicenda storica non ci sono dubbi: echi di guerra risuonano ogni giorno nel mondo e la strage di Gorla ci parla proprio di vittime civili, di bambine e bambini morti sotto le bombe, come accade ancor oggi.”
Perché voi avete scelto il reading e come lo avete sviluppato?
“Il reading rappresenta un dispositivo comunicativo che consente di intrecciare i dati storici, cioè la cornice fattuale degli eventi, e la voce palpitante dei testimoni. Mette in campo quindi un duplice codice comunicativo, l’uno più schiettamente razionale l’altro più empatico; questo intreccio di presa di coscienza lucida e di adesione emotiva alla tragedia della strage ci è sembrato potente, andava nella direzione di un teatro che genera responsabilità e consapevolezza del proprio ruolo sociale, che va oltre quindi il ‘consumo dell’evento’. Ed è proprio su questa concatenazione che ha lavorato la drammaturga Nalini Vidoolah Mootoosamy, che ha utilizzato materiali di archivio storico e testimonianze dei superstiti, alcune registrate e altre realizzate da noi attraverso interviste.“
Cosa resta della strage di Gorla nella memoria collettiva?
“Quest’anno il ‘Monumento ai piccoli martiri di Gorla’ è stato riconosciuto monumento nazionale (a Milano non accadeva dal 1940), e il Presidente della Repubblica è venuto a rendere omaggio alle vittime; il Comune di Milano ha sempre testimoniato ogni anno la propria presenza e il Sindaco Beppe Sala, nel 2019, ha chiesto ufficialmente all’ambasciata americana il riconoscimento della loro responsabilità in quella strage; è arrivata una lettera di condoglianze. È stata una strage spesso dimenticata, non riportata ad esempio sui libri di storia, in ragione proprio di questa indicibilità: il bombardamento che per un errore di recezione delle coordinate provocò la strage su opera degli Alleati americani, dei nostri liberatori. Erano gli anni del Piano Marshall, dell’ingresso dell’Italia nella Nato. Solo a distanza di decenni si è riusciti a mettere a tema quel dramma, che ha sconvolto per sempre la vita di centinaia di famiglie.“
Cosa resta nel quartiere?
“Una memoria viva, un dolore sordo che torna puntuale ogni 20 ottobre; abbiamo realizzato delle interviste davanti al ‘Monumento ai piccoli martiri’, chiedendo ai passanti se sapessero cosa rappresentasse: alcuni nuovi abitanti non ne sanno nulla, mentre ben conoscono questa vicenda, non solo gli anziani ma anche i giovani di Gorla; abbiamo scoperto che alcuni si sono fatti tatuare il Monumento sul corpo.”
“In un’epoca di profonda disgregazione sociale, ove ognuno vive chiuso in un mondo proprio come fosse una monade, il teatro può rappresentare uno dei luoghi dove sentirsi ed essere di nuovo comunità, un’entità collettiva, che coltiva la propria memoria per aprire un’interrogazione radicale sul presente.” (Daniela Airoldi ed Enzo Biscardi)
Era un quartiere che raccontava molto della città, e oggi racconta molto di come la città è cambiata. In cosa si incontrano e come si possono legare queste due identità?
“Gorla aveva una matrice sociale artigiana e poi soprattutto operaia, luogo di approdo anche di molti immigrati dal Sud Italia che negli anni ’50 vennero ad abitare qui, perché lavoravano nelle vicine fabbriche di Sesto San Giovanni; oggi, schiacciato fra la gentrificazione di NoLo e l’hinterland, ancora accoglie e integra emigranti stranieri. L’apertura verso i cittadini più fragili resta un tratto distintivo di Gorla: nel 1941 la famiglia Crespi Morbio costruisce qui le case popolari per famiglie numerose, così come ancor oggi il punto di distribuzione dei pacchi alimentari curato da ‘Pane Quotidiano’ in viale Monza sostiene l’economia precaria di centinaia di famiglie, di italiani e stranieri.“
Quale ruolo ha il teatro nella conservazione della memoria?
“In un’epoca di profonda disgregazione sociale, ove ognuno vive chiuso in un mondo proprio come fosse una monade, il teatro può rappresentare uno dei luoghi dove sentirsi ed essere di nuovo comunità, un’entità collettiva, che coltiva la propria memoria per aprire un’interrogazione radicale sul presente. Teatro Officina, dal 1997, infatti crea progetti che valorizzano la memoria storica di intere comunità: lo ha fatto con i contadini di Olevano di Lomellina, con gli operai delle ex grandi fabbriche, con gli ospiti della Casa della Carità, con gli abitanti di diversi plessi di case popolari, con una metodologia che prevede la raccolta delle loro testimonianze attraverso interviste, la creazione di un copione sulla base di quelle, e infine la restituzione sociale attraverso uno spettacolo che a volte vede i testimoni stessi in scena.“
Avete scelto di rimandare questa memoria anche attraverso un Podcast, che consente di valorizzare il potere scenico della voce. Qual è il rapporto tra questi due mezzi?
“Volevamo ascoltare la voce e le parole di chi oggi vive il quartiere e che, in un modo o nell’altro, ha sentito parlare di questo tragico evento. Abbiamo provato a capire e scoprire cosa fosse presente oggi, nelle persone di oggi, di quel giorno di ottant’anni fa. Volevamo voci vere. La narrazione di un evento tragico così personale e intimo ha nel suo essere raccontato molte sfumature e un’intensità che le parole scritte da sole non possono ovviamente restituire. Sentire la voce dei parenti delle vittime e, allo stesso tempo, affiancarle alle voci di chi oggi vive il quartiere è stato per noi molto importante e potente.”
Enzo Biscardi, il progetto prevede di portare la memoria della strage in una scuola nelle scuole. Come si rapportano i loro coetanei a questi ricordi e come ne fate qualcosa di generativo?
“Il lavoro nelle scuole è molto articolato: si parte dalle elementari, e qui i bimbi vengono coinvolti da una guida turistica specializzata in camminate urbane nel quartiere con approdo al ‘Monumento ai piccoli martiri’; nelle scuole medie abbiamo realizzato un percorso di educazione alla pace, attraverso dei laboratori di scrittura creativa; le scuole superiori hanno svelato assistendo al reading un atteggiamento di profondo rispetto e di meditazione profonda. Del resto, è il testo stesso che li chiama in causa nel finale, quando esplicitamente pone il tema del ‘chi mi assicura che questo non possa accadere anche a noi domani?’ e chiude con un invito a farsi carico ognuno di loro a raccontare ad altri la storia della strage di Gorla.”
Chiara Palumbo
Ringraziamo Daniela Airoldi ed Enzo Biscardi per la loro disponibilità all’intervista e per aver approfondito con noi una parte della storia del nostro Paese.