Daniele Parisi
“Oggi fare teatro è un atto politico ed è forse uno dei tanti modi per combattere la disumanità del tempo che ci tocca vivere“
Fino a domenica 19 novembre Daniele Parisi sarà in scena al teatro Basilica di Roma con il suo ultimo monologo: “A volte Maria, a volte la pioggia”. Qui, l’attore racconta le sensazioni di quando ci si trova in bilico tra la vita e la morte, per trovarsi a fare il punto sulla propria esistenza.
Abbiamo conosciuto Parisi nel lontano 2015 e da allora egli è maturato a livello professionale muovendosi tra teatro, cinema e radio.
Quando poi si tratta di scrivere una drammaturgia Parisi ama immergersi nell’osservazione della società e delle persone, da cui trae sempre ispirazione: infatti, l’interprete crede fortemente che cercare di capire cosa accade intorno a noi sia sinonimo dello scrutare come mutino cose, immaginari, linguaggio, tendenze e mode, per successivamente superare se stessi e guardare l’insieme da un altro punto di vista.
Un modo di affrontare artisticamente il contemporaneo per proporlo sotto forma di monologhi, in chiavi sempre innovative, alla platea senza la pretesa di inviare messaggi e insegnare nulla, bensì lasciando il pubblico libero di trarre le proprie riflessioni.
Una visione moderna di concepire il teatro che così si ritrova a parlare dei nostri tempi. Un’opportunità, inoltre, per recarsi a teatro, conoscere Parisi e il suo mondo.
Daniele Parisi, sarà di nuovo in scena al teatro Basilica di Roma con “A volte Maria, a volte la pioggia”: quali tematiche affronta?
“Quando si sta in bilico tra la vita e la morte, come succede al protagonista della vicenda che racconto nello spettacolo, si finisce per fare il punto sulla propria esistenza. L’amore sicuramente, come la morte, sono i due temi principali: Eros e thanatos. Alla fine, in un modo o nell’altro, finisco sempre lì.“
L’abbiamo conosciuta nel lontano 2015 con “Inviloop” in cui contestualizzava solitudine, comportamenti sbagliati che adottano le persone e relazioni di coppia: cosa è cambiato da allora?
“Sicuramente è cambiato molto dal punto di vista estetico. Non c’è più la quinta, non ci sono più i personaggi, non ci sono le parrucche, i costumi e non ci sono oggetti. La loop station resta una costante però. Anzi, forse è ancora più presente rispetto al passato. La forma-spettacolo continua ad essere un ibrido fra il teatro di prosa, il teatro sperimentale, il cabaret e la performance musicale. Era così anche in ‘Inviloop’ – che abbiamo recensito nel nostro vecchio blog Inviloop – Brainstorming Culturale Magazine (wordpress.com) –, ma lì c’erano tante storie che si intrecciavano, qui invece c’è una vicenda sola che si intreccia. Passato e presente e futuro si avviluppano.”
Lei, nei suoi spettacoli, solitamente, analizza la società: come la percepisce e quanto è rilevante per un artista del suo calibro osservare i cambiamenti della stessa?
“Dal mio metro e 71 centimetri e i miei 65 chilogrammi (e ci tengo a dirlo perché rispetto allo spettacolo precedente ho perso 10 kg) ritengo che sia importante informarsi il più possibile. Oltre alla sana alimentazione, e tentare inutilmente di smettere di fumare (ci provo da 10 anni senza riuscirci), bisogna cercare di capire, giorno per giorno, cosa ci accade intorno. È necessario osservare come mutino le cose, gli immaginari, il linguaggio, le tendenze, le mode. Per poi fare esattamente il contrario. Andarsene completamente da un’altra parte. Osservare le cose da un punto di vista diverso. Superare se stessi e non soffermarsi troppo sulla contingenza. Il contemporaneo, è già passato nel momento stesso in cui lo pronunci.”
Qual è il motivo che la spinge a trarre spunto e analizzare la collettività?
“Mi interessano le persone. Moltissimo. Mi piace osservare e così mi metto a immaginare tutto quello che gli esseri umani non si dicono. Quando vedo qualcuno che si sente molto sicuro di sé, io gli guardo gli occhi. Me lo immagino da bambino. Cerco di capire che cosa nasconde tutta quella boria. ‘Cosa gli è successo?’ ‘Perché non riesce semplicemente ad essere “umano”?’ ‘Perché ora io lo sto odiando?’ ‘Perché mi sento fragile?’ Mi interessa molto tutto questo perché le persone sono sempre più ciniche. Il cinismo uccide l’arte e sta distruggendo tutto.“
Perché e in che modo “il cinismo uccide l’arte e distrugge tutto”?
“La gente ha paura. Ha paura di emozionarsi. Di piangere. Di guardare negli occhi un altro essere umano. Queste cose richiedono coraggio. È molto comodo dissacrare. È molto semplice mettersi sul piedistallo e devastare tutto. Il desiderio di dissacrare ci sta portando al continuo ‘svelamento’ del trucco. Abbiamo bisogno di storie, di fantasia. Ogni giorno può essere un continuo scavare alla ricerca del nostro ‘io’ bambino che gli adulti banalizzano. Io credo nel gioco non nello scherzo. Gli adulti scherzano, i bambini giocano. Non si può creare senza gioco. Io da ragazzino venivo preso in giro quando recitavo a scuola, quando andavo in giro con la telecamera di mio padre coinvolgendo i miei compagni a giocare a fare ‘il cinema’. È tutta la vita che combatto il cinismo. E continuo a farlo anche oggi. Anche adesso.”
Ci sembra di capire che a lei non manchi inventiva. A tal proposito, attualmente si parla di Intelligenza Artificiale: lei è favorevole al suo uso o predilige sfruttare la sua creatività a tutto tondo?
“L’Intelligenza Artificiale può fare miracoli dal punto di vista tecnico. Recuperare file rovinati dal tempo, ascoltare musica inedita che fino ad oggi era stata chiusa in un cassetto. Salvare tracce audio. Ad esempio, mi è capitato di fare una ripresa video dove l’audio era stato totalmente compromesso a causa di microfono difettoso: l’I.A. ci ha permesso di recuperare l’audio e non gettare tutto il lavoro. Può essere un grande supporto e un grande aiuto per realizzare progetti. Chiaramente, ma questo è inutile dirlo, se la si utilizza per sostituire gli esseri umani – fa anche ridere a pensarlo – potrebbe essere molto pericolosa. Come in tutte le cose, e qui davvero siamo nella retorica, dipende dall’utilizzo che se ne fa. Il cinema, la grafica, la musica corrono un grosso rischio con l’I.A. Il teatro però, mi dispiace dirlo, è l’arte più antica. È fatto di carne e sangue e, credo, che l’Intelligenza Artificiale ‘non lo intaccherà’ minimamente. Anzi. Tutto questo credo che rafforzerà la voglia di umanità, di incontro. C’è bisogno di comunità, anche se il capitalismo ci vuol far credere il contrario. Oggi fare teatro è un atto politico ed è forse uno dei tanti modi per combattere la disumanità del tempo che ci tocca vivere.”
Le sue drammaturgie sembrano essere ricche di surrealismo che di base le permette di giocare con le parole e con i concetti: quali sono i messaggi che vuole rimandare alla platea?
“Di non mandare messaggi. Mai. Di non voler insegnare nulla. Di fuggire dal senso e soprattutto dal buonsenso comune. Perché non esiste. ‘Tentare lo sguardo laterale ci permette di essere vivi’. Me lo ha detto un caro amico scrittore e io ci credo.“
Quanta valenza assume per lei il surrealismo e perché adottarlo come forma di linguaggio teatrale?
“È una modalità come un’altra. Come dicevo, si tratta di spettacoli ibridi che mischiano generi diversi. Sono spettacoli progressive, se vogliamo associarli ad un genere musicale. Il surrealismo sicuramente è dentro la canzone, è la strofa. Bisogna vedere poi che succede dopo. Cosa è necessario inserire. Il ritmo è fondamentale. È importante capire cosa sia giusto mettere dopo a ‘orecchio’. Basta andare a tempo.“
Si dimena tra teatro, cinema e radio. In quale ambiente si sente più a suo agio?
“In realtà mi diverto in tutte e tre le situazioni. Nel teatro (dovendo fare anche il regista e l’autore, oltre che l’interprete) chiaramente la posta in gioco sembra essere più alta anche se in realtà poi è tutta una sfida con sé stessi.”
Ha ricevuto molti Premi che le sono valsi il titolo di miglior attore italiano esordiente al “Nuovo Imaie Talent Award” e di miglior attore alla 14ª edizione del “Montecarlo Film Festival”: quali riflessioni ne trae e quali le sue percezioni a riguardo?
“Considerando il fatto che, al momento, il mercato delle piattaforme e il capitalismo sfrenato a cui siamo obbligati non mi fa più fare un film da protagonista dopo averne fatti due che sono anche andati bene, direi che premi e onorificenze servono a ben poco. Sicuramente premi più importanti ti aprono la strada a progetti più grandi. Questo è sicuro. Io punto tutto sulla terza età. Nel ripescaggio. Nella rivalutazione del vecchio attore. Sai quelle scene di te decrepito che ringrazi la platea, dopo una vita di stenti e tutti a domandarsi: ‘Che grande attore, ma dov’eri finito in questi anni?’. Una roba del genere. Che sarebbe poi la solita musica, in questo nostro bel paese.“
Infine, è stato diretto da registi famosi: quali insegnamenti porta con sé e da chi altri vorrebbe essere diretto?
“L’insegnamento più grande è stato quello di imparare a giocare. Sarà banale a dirsi. Lo so. Però è così. Io da ragazzino, quando ho iniziato a recitare a scuola, al liceo, al corso di teatro che organizzavano il pomeriggio, mi mettevo in posa. Mi mettevo a fare Carmelo Bene, Vittorio Gassman. Mi prendevo sul serio. Poi alla Silvio D’Amico, in Accademia, mi hanno bastonato per bene e ho capito che bisognava giocare. Giocare sul serio. È partito tutto da lì. Mi piacerebbe essere diretto da chiunque voglia fare cose belle. Sicuramente sarà un giovane, perché io sarò molto anziano.“
Annalisa Civitelli
Foto: Manuela Giusto
Ringraziamo Daniele Parisi per la sua disponibilità all’intervista e averci risposto in modo celere nonostante i suoi molteplici impegni.