Daniele Salvo
“Sono un regista interessato al teatro di poesia e alle necessità del teatro stesso e amo pensare che i miei lavori sfidano, appunto, l’utopia“
Abbiamo avuto il privilegio di incontrare Daniele Salvo, uno dei registi teatrali più apprezzati nel nostro paese. Salvo è reduce dal successo trionfale de “La pace”, l’opera di Aristofane che è stata rappresentata per la prima volta nella sua versione integrale al teatro Greco di Siracusa lo scorso giugno.
Il testo presenta degli ovvi parallelismi con ciò che succede nel mondo anche ai giorni nostri e questo permette a Salvo di analizzare un contesto artistico in generale, e teatrale in particolare, dal quale è possibile trarre diversi spunti di riflessione.
Daniele Salvo è un uomo di cultura a tutto tondo e questa sua peculiarità trova il terreno più fertile proprio nel teatro, dove ogni suo lavoro è sempre un esempio eccezionale di creatività e di poesia.
Il regista si è appena cimentato anche con la sua prima opera cinematografica, un film intitolato “Gli altri” – tratto dall’omonimo romanzo di Michele Prisco – che, dopo una serie di anteprime in diversi festival, arriverà finalmente nel cinema proprio in questo mese di settembre.
Daniele Salvo, un paio di mesi fa lei ha portato in scena nello storico Teatro Greco di Siracusa, “La pace” di Aristofane, da lei diretto. Com’è andata?
“‘La pace’ di Aristofane è un testo asimmetrico, un testo complesso; non è mai stata fatta una messa in scena completa del testo perché Aldo Trionfo ne fece un’edizione ma parziale, escludendo tutta la seconda parte del testo e unendo a questo ‘Le nuvole’ sempre di Aristofane; in seguito anche Tonino Conte ne fece un’altra versione quindi è un testo noto per la sua irrappresentabilità, per la sua complessità. Questo però è stato uno stimolo notevole per la messinscena poiché si tratta di un testo che ci parla di utopia e obbliga ad alzare l’asticella e in qualche modo a non accontentarsi, a trovare soluzioni inusuali ma non fini a loro stesse, motivate dal copione. Perciò è stata un’esperienza esaltante avere la possibilità di lavorare con una compagnia di sessantotto attori, con le capacità della produzione INDA e i mezzi dell’INDA stessa. È stata una vera e propria sfida che poi ha avuto un grandissimo riscontro di pubblico sia a Siracusa sia nella trasferta di Agrigento, un riscontro veramente notevolissimo, quindi per me è stato straordinario“.
In cento anni di attività del Teatro Greco di Siracusa, “La pace” è una commedia mai stata rappresentata: come si è arrivati alla decisione di mettere in scena quest’opera? Lei che tipo di lavoro ha fatto per rendere questo testo uno spettacolo?
“Ogni anno il consiglio d’amministrazione INDA decide i testi, i traduttori e i registi, quindi mi è stato proposto di mettere in scena questo lavoro, vista anche la situazione attuale: è un testo che parla al nostro oggi, fortemente contemporaneo perché nulla è cambiato, Siamo sull’orlo di una guerra nucleare e ogni giorno rischiamo l’estinzione di massa e non c’è testo più attuale de ‘La pace’ di Aristofane, perché la storia nasce dall’espansione territoriale di Atene, dall’infinita guerra del Peloponneso, che era considerata la guerra delle guerre, e all’epoca fu il conflitto più tremendo della storia dell’uomo. I motivi sono sempre gli stessi: il nazionalismo, l’espansionismo, addirittura nel testo c’è un mercante d’armi che si lamenta poiché, non appena torna la pace, non riesce più a vendere armi e dunque l’affare del secolo sfuma.
C’è un mercante di falci che, al contrario, è felicissimo poiché torna a vendere i propri strumenti, c’è un’idea di ritorno alla natura in quanto gli unici considerati degni di mantenere la pace sono i contadini che hanno un animo puro. Il loro candore li rende capaci di un’impresa impossibile a tutti gli altri uomini, perché questi sono venduti ai politici, per cui vengono presentati in una luce terrificante, sono i responsabili di tutta la degenerazione dell’animo umano ma anche alcuni dei contadini stessi sono responsabili poiché si vendono ai politici, abbandonano le campagne e si trasferiscono in città: di conseguenza la città diventa un luogo negativo dove nasce il male, dove si corrompono i rapporti umani.
Ho anche voluto aggiungere un finale che non è nel testo originale – che si concluderebbe con una grande festa – ma ho inserito un monologo sull’importanza del valore della pace, tratto da ‘Le fenicie’ di Euripide: si tratta del monologo di Giocasta, che si avvicina ancora di più ai nostri giorni. Nell’ultima scena ho creato un parlamento europeo: ‘La Pace’ parla infatti di un ipotetico parlamento che appunto ci porta ancor di più al presente – le assonanze con l’attualità sono veramente incredibili.
La sfida era proprio questa: prendere un testo apparentemente lontano da noi, con dei riferimenti storici complessi, inafferrabili per il pubblico di oggi, e renderlo fruibile per un pubblico eterogeneo fatto di turisti, di specialisti, di filologi ma anche di pubblico occasionale che vede lo spettacolo e non conosce la drammaturgia, lavorando dunque su qualcosa che parla all’animo di tutti attraverso l’emotività e l’immediatezza.
Ho lavorato sui dialetti opponendo il ‘mondo di sopra’ al ‘mondo di sotto’: c’è il mondo dell’Olimpo, il mondo degli dei, dove si parla il milanese, il veneto e dialetti del Nord e il mondo degli uomini che parlano i dialetti del Sud, quindi il napoletano, il romano, il siciliano e via dicendo.
Sono proprio gli uomini, in realtà, le persone più semplici che libereranno la pace con questo esercito di contadini che sembra uscito da un quadro di Bosch e che sconfigge Polemos e Chaos.
Infine, per rendere fruibile un testo così complesso ho realizzato un lavoro sulla recitazione molto preciso, puntando sui tempi, sui ritmi, sulla vocalità, sui dialetti, sull’immediatezza, sulla coreografia del coro, che ho curato personalmente con l’aiuto di Miki Matsuse e le musiche originali di Patrizio Maria D’Artistahanno contribuito notevolmente alla riuscita dello spettacolo e alla percezione contemporanea di questo copione“.
“La pace” è una rappresentazione la cui trama è già racchiusa nel titolo; la storia narra eventi ambientati durante la Guerra del Peloponneso che portano a desiderare fortemente la fine di quella stessa guerra. Da più di un anno e mezzo è in corso il conflitto tra Russia e Ucraina le cui ripercussioni sono arrivate molto vicino anche a noi, dunque con quale spirito lei si è approcciato questo lavoro?
“È chiaro che il conflitto in Ucraina è qualcosa che ormai tocca il nostro quotidiano, è qualcosa di straziante, che tocca la vita di noi privilegiati occidentali che siamo così lontani dalla guerra, così fortunati poiché non né abbiamo mai vissuta una, così come è accaduto ai nostri nonni: mio nonno per esempio fu internato in due lager nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, fece la campagna di Russia. L’idea della guerra dunque ci viene rimandata dai libri di storia mentre questa tra Ucraina e Russia è entrata violentemente nelle nostre case.
Si tratta di uomini, donne e bambini e lo spettacolo ‘La pace’ è stato una grande responsabilità poiché parla del concetto della guerra e della pace all’interno dell’animo umano, dei meccanismi che scatenano una guerra e che portano alla ricerca della pace, non perché in pace si stia meglio e si è più ricchi, ma la pace in sé, così come dice Aristofane, ‘riporta il profumo della primavera, riporta la natura, riporta la bellezza e riporta la ricchezza dello spirito umano’.
La guerra, al contrario, distrugge e porta i miasmi della decomposizione: in effetti la drammaturgia inizia con la città di Atene sepolta da escrementi e puzza. Atene è una città in putrefazione e questo è sconvolgente, perché in tutte le altre tragedie si parla di città come Sparta o Tebe, dove effettivamente succedono le malefatte, mentre ad Atene davanti agli ateniesi accadono fatti diversi: è come mettere uno specchio di fronte a quei cittadini.
È chiaro che il teatro purtroppo nulla può, non ha nessun peso non solo nella società italiana, dove è considerato soltanto un intrattenimento – o poco più o poco meno a volte – ma neppure nelle decisioni internazionali: il teatro non ha colpa ma neppure porterà la pace in Ucraina. Credo però sia importante testimoniare e far sentire il proprio dissenso e le proprie posizioni rispetto a un evento così traumatizzante che ha sconvolto la nostra realtà di europei“.
Rappresentare un’opera del teatro classico greco a Siracusa è una tappa prestigiosa nella carriera di qualunque regista e “La pace” è addirittura la quinta da lei diretta per il magnifico teatro siciliano. E’ andata come si aspettava?
“Sì, devo dire che è proprio un privilegio lavorare al teatro Greco di Siracusa, parliamo di un luogo sacro che ha una storia millenaria e che quindi per me rappresenta un onore. Essere scelto per la quinta volta per dirigere uno spettacolo, e per la prima volta una commedia, ripeto, per me è stata una sfida poiché non sono abituato a dirigere commedie; è andata come mi aspettavo ed è stata un’esperienza esaltante“.
Ci sono copioni che ancora non è riuscito a portare in scena e che desidererebbe dirigere?
“Ci sono molti copioni che non ho mai portato in scena e che vorrei dirigere, sul mio computer ci sono almeno trentacinque progetti pronti. Oggi però è molto difficile farsi ascoltare dai direttori artistici che fanno le loro scelte in base ad altre logiche, non tanto per il valore dell’idea ma per altre logiche commerciali, oppure di interesse. A volte è anche bene che certi progetti rimangano nel cassetto, perché è bello avere dei sogni o delle ambizioni che non si realizzano mai. Penso, ad esempio, ai grandi maestri come Fellini che non realizzò mai ‘Il viaggio di Mastorna’, la cui sceneggiatura è un capolavoro assoluto già sulla carta, eppure nessuno mai glielo finanziò, perciò Fellini è morto non vedendo realizzata la sua aspirazione. È bello avere dei sogni, è bello sfidare le utopie e avere dei progetti non realizzati anche se a volte sarebbe altrettanto bello sentirsi ascoltati e sentire che gli operatori culturali comprendono il valore intrinseco di un’idea, senza pensare necessariamente all’aspetto commerciale“.
Se lei dovesse descrivere se stesso in quanto regista quali aggettivi userebbe?
“In generale non mi piace molto parlare di me stesso, poiché in realtà ho cominciato facendo l’attore con Luca Ronconi e ho recitato per tanti anni, diradando le mie apparizioni come attore proprio perché mi manca quell’ego, quell’aspetto che è importante per un interprete e cioè l’esibizione, l’idea di esibirsi, di mettersi in scena: questo a me in realtà non piace. Se dovessi usare un aggettivo sarei in difficoltà poiché non mi piace autodefinirmi, quello che posso dire è che sono un regista molto interessato al teatro di poesia e alle necessità del teatro stesso e amo pensare che i miei lavori sfidano, appunto, l’utopia“.
La sua lunga e brillante carriera l’ha portata a lavorare in giro per tutta l’Italia: secondo la sua esperienza, nel nostro paese esistono città che rispondono meglio alle proposte teatrali rispetto ad altre?
“Il sistema teatrale oggi è profondamente cambiato, infatti non ci sono più regole nel senso che a volte in provincia c’è un’attenzione molto maggiore rispetto alle grandi città – Roma, Milano – dove c’è una specie di naufragio di attenzione: il pubblico c’è ed è anche numeroso, però forse non è così attento come in provincia, anche se nella stessa valgono altre logiche che potremmo definire, di nuovo, più commerciali. Purtroppo il teatro è vittima di questa logica dei grandi nomi televisivi e cinematografici quando magari ci sono grandi attori di teatro, anche anziani, che se ne stanno a casa e non riescono a lavorare, oppure non sono abbastanza utilizzati. Questo è un grande peccato perché piano piano si sta perdendo l’arte del teatro; anche gli allievi che escono dalle scuole – e ne vedo tanti – trovo che mostrino grandi carenze, soprattutto da un punto di vista tecnico, vocale, fisico e quindi in questo caso bisognerebbe farsi delle domande specifiche. Le città che rispondono meglio ci sono, tuttavia dipende dagli spettacoli e dal tipo di rappresentazione, dunque da quello che si fa. A volte, quindi, troviamo città che manifestano un grande interesse per un certo tipo di lavoro, basato magari sul testo, sulla recitazione, sull’analisi e via dicendo, mentre a volte vale il contrario: ci sono luoghi che preferiscono un lavoro più fisico, performativo e quindi è impossibile stabilire una regola“.
Lei è nato a Reggio Emilia, in una regione che ha vissuto una catastrofica situazione di emergenza a causa delle sconvolgenti alluvioni della scorsa primavera: quale è il ruolo dell’arte e della cultura in generale di fronte a questi disastri?
“Sì io sono di Reggio Emilia, anche se non ho mai avuto il piacere di fare spettacoli nella mia città, ne ho fatti pochi nella mia regione e non ho mai capito il motivo ma va bene anche così. Certo, questa circostanza ci ha rallentato, ma credo che il ruolo della cultura rimanga fondamentale poiché penso che proprio da lì riparta tutto.
All’estero questo concetto è più chiaro, in molti paesi – vado spesso a Berlino, a New York, a Parigi – tutto deve partire dalla cultura, mentre il nostro paese fa partire tutto dalla politica, e questo è il vero danno: la cultura ricostruisce case, palazzi, anime, ridona fede e speranza alle persone. Ad esempio in molti paesi dell’Europa dell’Est quando un teatro è distrutto da un’inondazione o da un bombardamento, viene ricostruito con i soldi della comunità, dei cittadini stessi; da noi questo non sarebbe mai possibile poiché c’è un disinteresse totale nei confronti della cultura e del teatro e purtroppo proprio il teatro, nel tempo e per diverse ragioni, è divenuto un fatto elitario“.
Lei ha presentato quest’anno anche la sua opera prima cinematografica. Dopo il BiFest è stata la volta dell’Ortigia Film Festival. Ci può raccontare questa sua opera prima?
“‘Gli altri’ è il titolo del mio film, la mia prima opera cinematografica. Avevo già realizzato altre cose al cinema ma mai lungometraggi e questo è il primo, con Ida di Benedetto, Peppe Servillo e Lorenzo Perrotto; ci sono anche Gioia Spaziani, Gianfranco Gallo e molti altri attori. Il film è tratto da un testo di Michele Prisco che si intitola sempre ‘Gli altri’, Premio Strega di qualche anno fa, ed è un romanzo straordinario, un thriller interiore, intimista. È una storia ambientata a Napoli negli anni ’50, una storia tesissima: abbiamo girato in Puglia, in luoghi assolutamente abbandonati come conventi e chiese, e luoghi metafisici, creando un film interiore. Per me il grande cinema è rappresentato dai film di Bergman e di Tarkovsky, dunque insieme a Fabio, Zamarion e a Massimo Quaglia, che sono rispettivamente il direttore della fotografia e il montatore di Giuseppe Tornatore, abbiamo cercato di fare un lavoro che potesse emozionare e affascinare lo sguardo, l’animo e il cuore dello spettatore di oggi. Il film è stato accolto con grande entusiasmo sia Al BiFest di Bari che l’Ortigia film festival avendo un esito notevolissimo“.
In teatro invece quali saranno i suoi prossimi impegni? Tornerà in scena anche La Pace?
“Sicuramente c’è la ripresa di ‘Edith Piaf’, uno spettacolo molto fortunato che è all’ottavo anno di ripresa e che circolerà ancora nei teatri italiani e c’è ‘Venere e Adone’ all’Arena Globe di Roma, a settembre, con Gianluigi Fogacci, Melania Giglio e Riccardo Pallavicini. Un testo che mi sta molto a cuore, un altro spettacolo fortunato che ha già circolato in tournée e che viene ripreso al Globe dopo essere stato fortemente voluto da Gigi Proietti al tempo della pandemia, in quanto la drammaturgia è stata scritta durante una pandemia di peste a Londra, quindi questa idea a Gigi piacque molto: lo spettacolo infatti parla proprio di questo, parla di amore anche se i protagonisti non possono mai toccarsi e da questo deriva uno struggimento, una malinconia incredibile. Sto anche lavorando al mio prossimo film mentre a settembre uscirà ‘Gli altri’ nel cinema d’essai italiani. ‘La pace’ invece è stata ripresa alla Valle dei Templi di Agrigento con grande successo, più di 2.000 spettatori, quindi un successo anche piuttosto inaspettato poiché l’evento è stato organizzato in tempi brevi con pochissimo preavviso. Purtroppo ad Agrigento il viaggio si chiude ma speriamo che la pace venga veramente presto liberata dalla grotta e che possiamo finalmente assaporarne il gusto e sentirne il profumo“.
Gabriele Amoroso
Ringraziamo Daniele Salvo per la sua disponibilità