Elena Arvigo: “La poesia e il mito al servizio della riflessione politica e sociale”
L’attrice di origini genovesi, da tempo presente sui palchi italiani, dà tuttora voce a tanti personaggi femminili sia contemporanei sia provenienti dalla letteratura classica, che si sono impegnati per la giustizia e i valori civili.
L’Arvigo sarà protagonista domenica 30 agosto sul palco del Tempio di Giove Anxur a Terracina per la prima rassegna estiva “R-Estate in scena” con ‘Soliloqui poetici del mito: le altre eroine’.
Con la poesia, Elena Arvigo accompagnerà il pubblico verso una libera interpretazione del “Mito” e delle sue eroine, con l’intenzione di restituirci il significato proprio dello stesso visto con gli occhi di oggi.
Attraverso la lettura di alcuni monologhi teatrali inclusi nell’opera “Quarta dimensione”, del poeta greco Ghiannis Ritsos, scopriremo le debolezze di Elena e le sue compagne, che vanno a fondersi all’attualità “sotto l’egida della poesia“. Impareremo anche, grazie alle parole di Ritsos, quanto sia importante il coraggio, essenza di ogni azione e pensiero a sfondo politico, civile ed equitario.
Elena Arvigo, da anni è presente sui palchi italiani con varie performance che toccano varie tematiche: da sempre spinge sui testi civili, impegnati e che hanno protagoniste donne che hanno sempre lottato in qualche modo per la giustizia. Qual è la spinta che la guida verso tali argomenti?
“La curiosità e l’irrequietezza. Mi sono trovata a dar voce a donne che hanno fatto un percorso di consapevolezza e che hanno cantato e lottato per i diritti dei più deboli, perché queste donne mi piacevano molto, così tanto che sentivo forte l’urgenza e il desiderio di condividere quel canto e la loro storia. È come se a qualcuno chiedessi: ‘Perché bevi?’. Certamente le motivazioni possono essere molteplici e diverse, ma di base credo che le persone bevono perché gli piace bere. È indubbio che non tutti gli psicoanalisti saranno d’accordo. A me piace stare sul palco e condividere con gli altri delle storie che mi sono piaciute: infatti, tendo molto a identificarmi con le cose che faccio, il che non sempre è un bene, ma sicuramente è la realtà. Di fatto mettere ‘confini’ non la annovero tra le mie capacità. Mi da anche fastidio la parola. Dunque, quando interpreto viaggio dentro un personaggio, protendo verso la sua storia e cerco di farlo mio. A volte ci si riesce, a volte no. Considero questi dei bellissimi viaggi e che siano donne direi che è abbastanza casuale. O meglio – le voci delle donne sono spesso più originali e hanno un ‘angolo di pensiero inusuale rispetto a quello che di solito siamo abituati a leggere ’ –. La letteratura e la poesia son sempre state campo più maschile. Impariamo ad ascoltare anche le donne”.
Quindi, che valenza assume per lei il teatro a sfondo civile?
“Credo che il teatro abbia sempre uno sfondo civile, nella misura in cui parla di uomini che, anche loro malgrado, vivono dentro un contesto sociale e politico. Massimo Castri ha scritto che ‘il teatro politico lavora per la sua morte’. Mi pare un’affermazione interessantissima. È una tensione, è un ribaltamento. La tensione politica e sociale è quella di non aver più bisogno della denuncia. Il testo che si decide di mettere in scena non definisce l’impegno civile o politico del regista. Mettere in scena ‘Amleto’ o ‘Giulio Cesare’ o ‘Il Giardino dei ciliegi’ non è un atto di minor impegno civile rispetto a fare uno spettacolo sul Covid–19 o sui migranti. Anzi. Anzi. Anzi. Non dimentichiamoci poi che il teatro, quantomeno occidentale, nasce in Grecia nel V secolo a. C. all’interno di una società ben strutturata, in cui la poesia e il mito erano a servizio della riflessione politica e sociale”.
Ora la troviamo in scena a Terracina per la prima rassegna estiva “R.Estate in scena” con dei monologhi dai registri diversi: “Soliloqui poetici del mito: le altre eroine”. La mise en space prende spunto dalle eroine della tragedia: come nasce l’interesse verso i testi classici?
“I classici sono la stella polare. Per quanto riguarda il mio percorso, la passione dell’infanzia per le favole e le saghe è diventata negli anni interesse e curiosità per il ‘Mito’ che è sostanzialmente la storia che l’uomo si racconta dalla notte dei tempi per dare senso al caos: il tentativo di ricomporre il senso sotteso al vivere. Io, per esempio, colleziono tutto ciò che riguarda ‘Alice nel paese delle meraviglie’ e non c’è – credo – un mio spettacolo in cui a un certo punto non abbia trovato una qualche analogia o un collegamento, magari segreto, che mi riportava al mio archetipo Alice – Ofelia ne è sorella – e la questione dell’identità: ‘Chi sono?’. In generale i classici ci riguardano perché gli interrogativi che si sono posti sono gli stessi che tormentano noi, a distanza di millenni o centinaia di anni. ‘Occorre – parafrasando Italo Calvino de ‘Il Cavaliere Inesistente’ – saper restituire la giusta importanza alla vita che spinge dietro la pagina e lasciate che essa scompigli tutti i fogli del libro’”.
Come spiega quindi la scelta di leggere le opere del poeta greco Ghiannis Ritos: qual è il suo messaggio più rilevante e quanto è importante riproporlo ai giorni nostri?
“A volte gli autori del Novecento danno voce a personaggi che la letteratura classica aveva trascurato. Ghiannis Ritsos lascia soprattutto parlare i vinti, coloro che hanno taciuto e sono stati condannati all’oblio. Per esempio, nel poemetto che l’autore dedica alla sorella di Antigone, Ismene non è un personaggio di secondo piano, ma conquista il ruolo principale. Mito antico e attualità con Ritsos si intrecciano indissolubilmente sotto l’egida della poesia. Ritsos subì le persecuzioni della dittatura, costretto alla prigionia e poi all’esilio. Canta in una raccolta di poemetti, ‘Quarta dimensione’, il mito con versi intesi e autenticamente rivisitati grazie alla sua esperienza. È importante per me leggerlo oggi, perché le sue parole coniugano sensibilità e genio poetico a un impegno autentico, umano e politico, nel senso più alto del termine e arrivano al cuore della questione: è necessario avere coraggio”.
Tali figure, in qualche maniera, hanno fatto la storia e sono diventate degli esempi da seguire. Attualmente quanto possiamo imparare da questi personaggi di spessore e in che modo essi possono indurci a cambiare i nostri atteggiamenti in meglio?
“In un mondo in cui l’opportunismo sembra essere diventato un valore, questi personaggi, con la loro caparbia e quasi fastidiosa e faticosa coerenza, che si oppongono al cinismo mascherato da realismo, ma anche alla costruzione di un consapevole falso sé, anche se solo strumentale, non solo sono interessanti ma imprescindibili. La coerenza porta sempre in sé una tensione che non è mai ‘accontentiamoci di quel che c’è’, ma guarda oltre. Verso l’irrazionale. Finalmente!”
Dal passato ad oggi, secondo la sua opinione, è cambiato qualche cosa all’interno della collettività?
“Soltanto considerando gli ultimi venti anni il progresso tecnologico ha radicalmente cambiato tutto: le relazioni, l’economia, il linguaggio e così via”.
Infine, quanto la sua formazione è servita al suo mestiere?
“Non è mai stata una domanda che mi sono posta, né è mai stata una questione. La scelta non è un abito che si indossa la mattina, ma una serie di incontri nel tempo che portano a una presa di coscienza che è un percorso. La vocazione si scopre dopo – alla fine – non prima. E con stupore. Ho avuto la fortuna di iniziare con un grande maestro, un vulcano di umanità. Concludo con questa citazione che mi pare sempre un piccolo miracolo di bellezza: ‘Vi lascio solo un’idea di fare teatro in un modo diverso dagli altri. Questo non vi servirà molto. Anzi, vi farà soffrire di più. Ma sarà anche il vostro segno di orgoglio. Portate con voi l’esempio di una moralità teatrale per un mondo migliore e più buono. Non dimenticatevi: in epoche oscure le luci più tenui brillano come stelle. E ricordatevi anche che, nonostante tutto, il mondo non finisce qui. Che il teatro non finisce qui. Proviamoci sempre’”.
Annalisa Civitelli
Foto da Internet di Azzurra Primavera