Enrico Lo Verso: “Un attore sul palco è sempre nudo”
Abbiamo avuto il piacere di conoscerlo sotto diversi aspetti e ruoli: dal teatro al cinema, riapproda sui palchi italiani dopo dodici anni di assenza. La sua celebrità è dovuta al cinema soprattutto grazie a Gianni Amelio, che lo dirige ne “Il ladro di bambini”, in “Lamerica” e “Così ridevano”.
Con “Naja” di Angelo Longoni è sul palco dell’oramai inattivo Valle nel 1996, mentre attualmente gira la penisola con ‘Uno Nessuno Centomila’ diretto da Alessandra Pizzi: un omaggio all’autore del novecento, Luigi Pirandello, in occasione dell’ottantesimo anniversario della sua morte.
Il versatile attore inoltre si dimostra accogliente con il pubblico sia nei foyer dei teatri, sia in platea, come anche vitale e gioviale, qualità che riporta sul palco con destrezza, rimandando al pubblico una vera e propria lezione di teatro.
Con il monologo mette in luce ciò che il personaggio di Vitangelo Moscarda indaga dentro se stesso, inducendo la sua persona a una consapevolezza e a una conoscenza vera del sé: un esempio che si fa contemporaneo e che forse dovremmo seguire tutti, affinché ci si allontani dalla costante omologazione.
Enrico Lo Verso, tra cinema e teatro in quale dei due ambienti si sente più coinvolto?
“In realtà sguazzo in entrambi ma il teatro mi viene più facile. Reputo sia più semplice e posso giocare di più, sentendomi più responsabile delle mie azioni. Posso prendermi così più libertà e so che ciò che il mio lavoro viene rivissuto dallo spettatore quasi senza filtri, mentre al cinema ce ne sono molti di più. Non faccio però distinzioni nette tra teatro e cinema, perché recitare è comunque qualcosa che reputo si faccia allo stesso modo”.
Per quale motivo al cinema è più difficile recitare?
“Mentre in teatro si gioca sull’alfabeto della convenzione, al cinema bisogna restituire la verità assoluta, altrimenti si rischia di non essere credibili. Si può portare avanti un testo ma non una verità di personaggio. Nell’ambiente cinematografico la macchina da presa ti scava dentro, in teatro, invece, si è d’accordo con il pubblico che certe cose assumono quel determinato significato”.
La ritroviamo dopo tanto tempo sul palco: perché la scelta di interpretare “Uno Nessuno Centomila” sotto forma di monologo?
“Non è stata una scelta mia, bensì mi è stato proposto. Ho pensato che fosse una sfida simpatica e interessante da accettare”.
Come si è sentito guidato da una regista donna viste le tante presenze maschili?
“Per me non è stato affatto un problema, al contrario l’ho vissuto come un arricchimento come quando si incontrano due entità differenti”.
Il protagonista Vitangelo Moscarda, con le sue parole, che cosa comunica al pubblico e cosa le ha trasmesso?
“A mio parere trasmette serenità: in questo spettacolo ci troviamo di fronte a un uomo che ha trovato la propria tranquillità. Vuole infatti raccontare e condividere con gli altri quelli che sono stati i passi che lo hanno portato a raggiungere questo stato d’animo, attraverso le esperienze, le strategie, le dinamiche e i meccanismi messi in atto per poterlo fare. Ciò che mi piace molto raccontare di Vitangelo Moscarda è che lui fa si che gli altri lo credano pazzo – è un folle, è persona instabile – ma in realtà acquisisce più solidità di chiunque altro, perché arriva alla conoscenza vera di se stesso”.
Secondo lei, attualmente, sfugge questa consapevolezza e questa conoscenza personale?
“Trovo che siamo molto distratti dall’immagine, più che in ogni altra epoca. Ora, infatti, abbiamo la possibilità di creare la nostra stessa immagine come anche modificarla: non è più il periodo dei ‘selfie’ ma il periodo dei ‘mem’. Siamo oltre. Ritengo di conseguenza che Pirandello abbia scritto proprio per questo periodo storico in cui stiamo vivendo”.
La filosofia di Pirandello e quindi la poetica, visto come lei esprime il personaggio di Moscarda, cosa ci insegna, cosa consiglia di modificare e cosa ci tramanda tutt’oggi?
“Oggi si dice spesso – scherzando – in occasione delle partite di calcio, che in Italia sono tutti “direttori tecnici”. Noto sempre di più che le persone, per esempio, su Facebook non mettano delle stupidaggini ma ‘pubblicano’: siamo diventati tutti editori di noi stessi. In questo preciso contesto trovo che Pirandello ci ricorda che esiste il Relativismo: non è dunque tutto così assoluto come noi che ci sentiamo al centro del mondo. La verità sta nel pensare, nel ragionare, nell’attribuire a ogni cosa il suo giusto peso”.
Anche nel dialogo con gli altri?
“Dobbiamo cercare di capire che le stesse parole assumono un significato diverso se pronunciate da me o da te”.
L’abbiamo vista sul palco del Teatro Valle con “Naja”: da ieri ad oggi come è cambiato il teatro italiano?
“Non ne ho idea. Mi sono assentato dal teatro per dodici anni, in quanto non mi piacevano le dinamiche, le politiche, la mancanza di coraggio che notavo in giro, il modo in cui veniva rappresentato e, infine, il modo in cui le compagnie si mettevano insieme. Per caso sono finito di nuovo sui palchi italiani a rappresentare ‘Uno Nessuno Centomila’ e mi sto divertendo tantissimo. Noi però siamo una realtà a-noi-stante, molto piccola e, allo stesso tempo, un po’ sottovalutata, perché ci muoviamo faticosamente e nessuno ci ha aperto le porte con facilità, anche se è il terzo anno che proponiamo la pièce”.
Abbiamo però notato che avete avuto molto riscontro di pubblico, a parte l’aggiunta delle repliche
“Si, abbiamo superato i 220 mila spettatori e la doppia replica di domani pomeriggio 10 febbraio non è una replica prevista mesi fa ma una aggiunta quattro giorni fa”.
Questo conferma il successo e il richiamo di pubblico?
“No. In realtà penso che il pubblico vuole vedere qualcosa di diverso a teatro: vuole stupirsi, innamorarsi, emozionarsi, detestare ma con sincerità. Bisogna essere onesti quando si va in scena. Questo è ciò che affermo sempre ai ragazzi quando organizzo gli incontri con loro: un attore sul palco è sempre nudo. Non può mai recitare, può raccontare le maschere ma non può indossarle. Nel momento in cui si indossa la maschera c’è già la quarta parete, ci si allontana ancora di più. Tu stai da una parte e il pubblico dall’altra”.
Questo concetto ci riallaccia al discorso qualitativo: cosa l’ha portata nel corso della sua carriera a scegliere la qualità e l’interpretazione di ruoli impegnati, quindi anche a sfondo sociale?
“Reputo che ogni momento della vita sia una possibilità di arricchimento. Così come ho imparato facendo sport o incontrando delle persone a cena o per strada, ho imparato dai film o da spettacoli che avevano uno spessore, scritti da autori che sapevano raccontare dei fatti e dare la possibilità – a seconda della tua sensibilità – di esplorare livelli sempre più profondi. Rispetto la qualità? Per me questo non è un lavoro ma un gioco e va fatto scegliendo cose che divertano. Quando decido di fare qualcosa, decido in quanto desidero vederlo da spettatore: si”.
Con “Uno Nessuno Centomila” abbiamo avuto la possibilità di vederla in scena e notare che si esprime con molta energia
“Perché mi diverto”.
Come spiega la declamazione in siciliano?
“La sintassi del testo ‘Uno Nessuno Centomila’ mi ha obbligato, anche se a volte dimentico di usare l’idioma. Mi sono imposto però di utilizzarlo in alcuni momenti. Passo dall’italiano e ricarico con l’inflessione sicula per risvegliare la platea. L’insieme richiama il fatto che Pirandello era appunto siciliano: durante la lettura dell’opera ho notato che la posizione dei verbi e degli aggettivi mi indirizzava naturalmente verso questa scelta”.
Per concludere: cosa ci insegna Pirandello, che troviamo molto attuale. Forse ad allontanarci da Internet?
“Probabilmente ci insegna a usare il web in modo diverso. Questo per dire che nel momento in cui diciamo una cosa dobbiamo pensare che è vero anche l’esatto contrario”.
Annalisa Civitelli