Enrico Sortino
“Ho creato un riflesso di quello che avrei voluto godere io – l’Accademia del Musical – nel percorso della mia formazione, mettendolo a disposizione di tutti“
Ieri 21 settembre, allo stadio Centrale del Foro Italico romano, si è aperto in grande stile il nuovo e atteso tour #aTuttoCuore di Claudio Baglioni per la direzione artistica e regia di Giuliano Peparini.
Il cantautore romano, per questo evento, ha scelto di avere accanto a sé alcuni performer che provengono dall’Accademia Internazionale del Musical.
A tal proposito abbiamo incontrato Enrico Sortino il quale ha sentito l’esigenza di creare l’Accademia Internazionale del Musical appunto per dare modo ai giovani e futuri attori di formarsi ed essere preparati su più linguaggi artistici. Un suo desiderio dunque che si concretizza seguendo un po’ l’idea di ciò che avrebbe voluto godere durante il suo percorso di formazione.
Sortino è infatti un artista a tutto tondo che ha appreso dal dietro le quinte e tuttora ama approfondire ogni campo relativo la sua professione: ci racconta della collaborazione con Baglioni e non solo; della sua creatura che ha sei sedi in Italia e una a Londra; di quanto è essenziale studiare e affinare ogni disciplina artistica per giungere ad alti livelli e, infine, delle differenze che riscontra tra il modo di vedere il teatro qui e all’estero.
Enrico Sortino è un visionario, così potremmo definire questa personalità poliedrica, che esorta i giovani a inventare ed essere pazienti affinché cogliere la vera opportunità poiché il “sogno si trasforma in scelta. La formazione si trasforma in lavoro”.
Enrico Sortino, lei è molto giovane e già ha alle spalle un ricco curriculum: sicuramente la sua professione abbraccia teatro, cinema, tv e danza, ma quale predilige tra queste?
“Non posso affermare di avere una preferenza o una predilezione specifica rispetto ai vari settori di espressione dell’arte. Credo che le innumerevoli sfaccettature di un artista si possano misurare e possano prendere vita su mondi e spazi sempre differenti; posso dire che il piacere e la necessità di variare equivale alla continua ricerca che vivo ed esprimo fuori e dentro di me. Amo mescolare le carte e rischiare di continuo, per questo motivo mi piace abbracciare più settori, amo creare dei paradossi interiori: come sentire di volare ma nuotando sott’acqua. Tu dirai: ma non si può volare sott’acqua; ed io ti risponderei che se nuoti – sott’acqua – sentirai di annullare la gravità e se annulli anche la sensazione dell’acqua dal tuo corpo, allora sentirai di volare. Questo per dire che questa professione ti permette di creare mondi, ma ogni mondo ha le sue regole, che si acquisiscono con una mirata formazione e naturalmente grazie all’esperienza sul campo.”
Lei ha creato l’“Accademia del Musical” e da poco si sono aperte le audizioni. A tal proposito avete collaborato con Claudio Baglioni il quale ha scelto alcuni allievi dell’Accademia da inserire nel suo nuovo concerto che si terrà allo stadio del Tennis di Roma dal 21 al 23 e dal 28 al 30 settembre. Come è nata la collaborazione con il cantautore romano e quanta soddisfazione c’è al pensiero che degli allievi saliranno sul palco di “aTuttoCuore”?
“La parola ‘creare’ secondo me sta alla base dell’esistenza e credo sia sottovalutata. La creazione implica la trasformazione di un’idea in realtà, in materia, in una cosa tangibile e vivibile (quantomeno nella dimensione in cui viviamo), è un atto di fede e di coraggio. Ho creato un riflesso di quello che avrei voluto godere io, nel percorso della mia formazione, mettendolo a disposizione di tutti. L’Accademia è un percorso di vita e di formazione, utile a trasformare una passione in un lavoro; naturalmente non può essere per tutti, bisogna che si abbia la predisposizione, il talento, la tenacia e la dedizione per affrontare tutto questo: ecco perché i nostri allievi sostengono un’audizione di ingresso. L’audizione non serve a noi a valutare la cosiddetta ‘bravura’, ma tutto un complesso sistema di attitudini che ci permetterà di selezionare dei giovani artisti che inizieranno a rinascere. Non sottovalutiamo la nostra responsabilità di inserire sempre nuovi giovani nel mondo dell’arte, perché la richiesta è sempre maggiore della domanda. Il nostro intento è non solo di prepararli al meglio, ma di aiutarli a inserirsi nel mondo del lavoro: l’esperienza di Claudio Baglioni ne è un esempio. Questa collaborazione nasce grazie al genio di Giuliano Peparini, con cui ho avuto la fortuna di lavorare due anni fa alla presentazione della sfilata di Dolce Gabbana a Venezia: luogo in cui è nato il nostro rapporto di fiducia e, in questo caso, di collaborazione; è stato lui a suggerire a Claudio Baglioni di coinvolgere dei performer, anziché dei semplici coristi, per arricchire la riuscita del concerto spettacolo. In questo caso avere sul palco un numero di artisti che non si limitasse solo a cantare, ma si muovesse e interpretasse la sua regia e la sua direzione, sposava benissimo quella che è stata l’idea dello spettacolo #aTuttoCuore diretto da Giuliano Peparini. La soddisfazione di riuscire a portare dei giovani talenti, dei giovani artisti, su un palco così grande per un evento che si spiega da solo, soddisfa appieno quella che è la mia voglia di trasformare i sogni (non solo i miei) in realtà. Naturalmente il privilegio di lavorare al fianco di Claudio Baglioni non trova molte parole per essere espresso. Tra l’altro il tour continuerà all’Arena di Verona, a Bari e Palermo e in seguito si trasformerà in ‘indoor’ e proseguirà per tutto l’inverno nei più grandi teatri italiani.”
Ci racconta come è lavorare con un grande artista e quale insegnamento si porterà dietro da questa grande avventura?
“Lavorare a questi livelli significa anche rispettare regole completamente diverse. Lo spettacolo conta più di centoventi artisti sul palco – orchestra inclusa – e altrettanti dietro le quinte. Ogni artista che si rispetti inizia sempre da una gavetta che lo vede coprire tutte le mansioni; io personalmente ho iniziato questo lavoro quando avevo 15 anni e nella mia carriera artistica ho praticamente fatto di tutto: lo scenografo, il costumista, l’elettricista, il facchino, il tecnico, il contabile e nel frattempo facevo l’attore. Quando inizi a lavorare a certi livelli riscopri il piacere e il tempo di concentrarti solo su quello che ti si chiede fare; impari a fidarti degli altri, a chiedere, ad affidarti. Ognuno ha una mansione e gli ingranaggi creano e muovono la macchina. L’artista è la punta di diamante, quello che brilla maggiormente, ma sarebbe solo una scheggia di vetro se un’intera equipe non si muovesse in contemporanea. Da esperienze come questa impari a stare al tuo posto, nel fare osservi dai più grandi e impari a crescere, a prendere esempi. Emma Dante dice “Chi non ha un maestro rischia di inciampare in scarpe dai lacci slegati…”. Claudio Baglioni è un animale da palcoscenico, è empatico, simpatico. Ho amato la sua discrezione, la sua eleganza e il grande rispetto per gli artisti che gli stanno a fianco. Quando sei così ‘grande’ e hai comunque tracciato un solco nella storia della musica hai anche delle grandi responsabilità nei confronti del pubblico, nelle loro aspettative; Claudio regge quasi quattro ore di spettacolo e non smette di cantare, di ballare e di interagire col suo pubblico: quella è una questione di esperienza, di preparazione fisica, emotiva. Mi porto dietro tanta gratitudine. Sono felice di avere preso e di avere dato.”
Ritorniamo un attimo all’Accademia. Qual è stata la motivazione che l’ha spinta a dare vita all’Accademia
“Ho creato l’Accademia Internazionale del Musical – diciassette anni fa – mosso dall’esigenza di portare nella mia città d’origine (Catania) una realtà di formazione multidisciplinare. Pensavo a un centro polifunzionale, finalizzato sia alla preparazione artistica sia alla produzione di spettacoli dal vivo. Non potevo immaginare che negli anni si sarebbe espansa con oltre sette sedi, di cui una nella capitale del Musical Theatre: Londra; e che sarebbe diventata una delle realtà più acclamate del panorama nazionale, non solo per quel che riguarda la formazione nelle discipline del Musical per l’appunto, ma anche per il teatro, la danza e il canto. La prima grande soddisfazione è stata quella di poter far vivere e condividere un sogno, soprattutto in una terra come la Sicilia, che potesse cambiare la prospettiva del lavoro artistico visto come hobby e non come professione. In seguito, riuscire a portare lo stesso ‘format’ in altre città è stata la chiave di volta. Oltre che a Londra, oggi siamo presenti a Catania, Roma, Torino, Udine, Cagliari e Sassari; e prima del periodo ‘covid’ eravamo anche a Palermo, Latina e Pescara. Fatta eccezione per le sedi di Londra e Roma, l’Accademia nasceva in città minori per permettere a chi, per ragioni economiche o familiari, non volesse o potesse permettersi di studiare fuori, di godere di una possibilità di alta formazione nella propria terra. Oggi la mia gioia risiede nel creare rete, nel generare delle connessioni nuove. I nostri ragazzi, studiando in Accademia, acquisiscono le competenze tecniche per affrontare il mondo dello spettacolo sotto tutti punti di vista, non solo quello del canto, della danza o della recitazione: proviamo a dare loro anche tutte le possibilità per ampliare la rete di conoscenze e trasformare la formazione in lavoro, li aiutiamo a realizzare il loro repertorio in tutte le discipline, spieghiamo loro il funzionamento burocratico, gli realizziamo il book fotografico, lo showreel, li aiutiamo a creare il curriculum vitae. Insomma li avviamo alla professione puntando anzitutto a far recuperare l’investimento economico sostenuto nel triennio di formazione e a consolidare la professione attraverso l’esperienza sul campo.”
Essa ha sedi in Italia e anche una a Londra. Perché scegliere la capitale britannica?
“La sede di Londra in realtà è nata per esigenze logistiche. Ogni anno, da quasi dieci, portiamo i nostri allievi in corso, per una settimana, a integrare l’esperienza formativa attraverso stage di approfondimento con professionisti del panorama internazionale. Inizialmente ci appoggiavamo ad altre realtà britanniche, ma i nostri allievi erano sempre di più: quando da varie città italiane si spostano centinaia di giovani artisti, diventava complicato farli accedere a spazi dedicati, così è nata l’idea di avere uno spazio interamente nostro. Far conoscere agli allievi il mondo da cui l’Italia prende esempio, quello del musical per l’appunto, è fondamentale e fa parte del programma formativo. Nella nostra sede di Londra i ragazzi hanno avuto modo di conoscere artisti del calibro di Alice Fearn, Nigel Richards, Nick Hayes, Joe Golby, Julia Jenkins e molti altri. Studiano con loro al mattino e la sera si corre in teatro a vedere come funziona lo showbusiness in un altro paese, a toccare con mano il rinomato ‘musical theatre’. Così, visto il grande interesse dei nostri allievi, ho pensato che, a parte la settimana di vacanza studio, poteva essere interessante fornire ai nuovi diplomati la possibilità di trasferirsi e studiare anche a Londra, così è nata l’idea di avere una base logistica in territorio anglosassone. Abbiamo finalizzato il progetto alla specializzazione di professionisti e neo-diplomati, per garantire loro un approfondimento specifico nelle discipline dell’arte con docenti di altissimo livello provenienti da tutto il mondo. Lavoriamo affinchè agli studenti venga offerta la migliore opportunità di formazione per facilitare l’inserimento lavorativo, organizzando, dove possibile, audizioni private, con alcuni casting agent, al fine di avvantaggiare la rappresentanza artistica. Così anno dopo anno siamo anche riusciti a offrire agli allievi degli alloggi gratuiti e delle borse di studio.”
Presumiamo che la sede londinese dell’“Accademia del Musical” abbia generato un’eco internazionale: è così?
“Paradossalmente più europeo. L’Italia però risponde con moderazione e onestamente vorrei tanto fosse il contrario: proprio perché il progetto nasce per i nostri talenti italiani. Ogni anno riceviamo numerosissime mail da artisti provenienti dai Paesi Bassi, dalla Spagna, dalla Francia e dalla stessa Inghilterra. È molto interessante fare interagire più culture, più lingue e più esperienze. Le classi che abbiamo visto risplendere ci hanno regalato grandi soddisfazioni. Sono dieci settimane di master, ma sembra sempre che passi un anno intero per l’intensità esperienziale che viene a nascere.”
Dunque, quanto è importante tenere alto il livello di preparazione per perseguire il proprio obiettivo e portare avanti i progetti personali?
“Più che importante ritengo sia necessario. Come dicevo prima, la richiesta è sempre maggiore della domanda, pertanto bisogna essere preparati, informati, aggiornati. Stare sempre sul pezzo, insomma. Ai ragazzi dico sempre che oggi non si può pensare di essere ‘solo una cosa’, i tempi sono cambiati: ieri venivi scritturato per un lavoro e restavi tutto l’anno in tour, potevi mantenerti, oggi una produzione media riesce a sostenere un tour di qualche mese al massimo e quindi di cosa vivere? Bisogna essere versatili, ecco perché puntare sulla multidisciplinarietà: saper cantare, recitare, danzare – anche più stili – saper parlare al microfono, sapersi presentare è necessario per garantirsi una continuità lavorativa. L’ho vissuto sulla mia pelle, ho lavorato al cinema, lavoro in teatro, in tv, ho fatto radio, doppiaggio, conduzione; faccio questo mestiere da quasi trenta anni ormai, come potrei non indirizzare i giovani artisti nella stessa direzione? Bisogna studiare, c’è poco da fare. Lo studio è la base della nostra carriera. E poi non bisogna mica smettere! Bisogna studiare. Bisogna; sempre.”
Ritorniamo ora al teatro. Lei in una sua intervista ha asserito che “come tutti i linguaggi artistici anche quello teatrale cambia e si evolve”: in che modo avviene tale trasformazione?
“André Gide diceva “l’arte comincia dalla resistenza: dalla resistenza vinta. Non esiste capolavoro umano che non sia stato ottenuto faticosamente”. Cosa fa l’essere umano sin da quando esiste? Resiste! E per resistere si fatica, si lotta, si inventano strategie. L’arte è un’espressione della vita osservata da dentro un caleidoscopio che ti permette di osservarne le innumerevoli sfaccettature, di cambiarle continuamente, di provarne una e poi trasformarla in altro. L’arte, in ogni sua forma è la salvezza dalla vita che spesso ci schiaccia contro il suolo, è la possibilità di vivere innumerevoli volte, di morire innumerevoli volte. L’arte è il cambiamento continuo, è l’osservazione delle possibilità, come la fisica quantistica che descrive il comportamento della materia, ed è tutto sempre in movimento, in continuo cambiamento: ecco perché evolve, ma non sempre in senso progressivo poiché anche nell’involuzione – quella che sta avvenendo ai giorni nostri – tutto cambia, tutto muta, nulla è fermo, per citare Eraclito ‘πάντα ῥεῖ’ tutto scorre; e ci costringe a spiegarlo ancora e ancora: ecco perché cambiamo il nostro linguaggio e così il linguaggio artistico.”
Lei frequenta ambienti teatrali non solo italiani: quali sono le differenze che riscontra tra quello nostrano e gli stranieri?
“Le differenze fondamentali stanno nell’approccio al lavoro. Non possiamo fare di tutta l’erba un fascio, ma a volte mi sembra che in Italia il teatro si faccia più tra e per gli addetti al settore che per il pubblico in generale. C’è un’attitudine attoriale, oserei dire, ridicola, nel sentirsi ‘superiori’ agli altri. Nel resto del mondo non è così. Non parlo delle grandi stars, ma dell’attore medio, che esce da teatro per esempio: lo vedi nell’atteggiamento, nell’aspettativa; come se facessimo un lavoro più prestigioso. Nel resto del mondo gli attori escono da teatro con la loro bicicletta, vestiti che nemmeno li riconosci, ti salutano, a volte si prende anche una birra assieme e stop. È un lavoro, come un altro. In Italia molti registi ti urlano contro, a volte ti insultano, confondono il personale dal professionale; all’estero non ho mai visto nulle di simile. Esiste un rispetto e un approccio completamente differente. Ognuno col suo mestiere, con la sua mansione, col suo obiettivo. Gli orari di lavoro sono rispettati e si viene regolarmente contrattualizzati; in Italia a volte resti in prova dodici ore al giorno senza nemmeno un contratto! In Italia non esiste una garanzia per gli artisti (prendo a caso l’esempio del decreto attuativo del codice unico dello spettacolo, profondamente sbagliato riguardante l’indennità di discontinuità da poco proposto dal consiglio dei ministri), ma potrei continuare per ore. Certo, esiste lo spirito di adattamento, come dire ‘conosco il sistema’ e lo assecondo per il mio interesse – nonostante io sia una persona piuttosto precisa.”
Di conseguenza, secondo lei, il nostro teatro che “stato di salute” vive?
“A differenza del cinema, ho riscontrato una grande voglia di comunità, ho visto i teatri pieni, il pubblico felice di essere presente, di andare a teatro. Ciò nonostante il settore culturale piange molto la propria condizione: a volte non comprendo cosa sfugge ai nostri governi rispetto al settore artistico e culturale, tanto da spingere gli stessi a apportare tagli su tagli. È un’industria! Impiega grandi professionisti, da lavoro a migliaia di persone, regala intrattenimento e spunti di riflessione, permette di conoscere il mondo, usi, costumi, tradizioni, pensieri, emozioni. Il mondo ha bisogno del teatro e dello spettacolo in genere. Le piccole compagnie non possono resistere a lungo e il costo dei soli biglietti non può garantirne la sopravvivenza. Sono due le soluzioni: riprogrammare i sostegni economici oppure riprogrammare l’idea dello spettacolo stesso.”
Quanta valenza oggi ha il teatro rispetto al passato?
“Io credo che non ci sia molta differenza se rapportata ai tempi. Il teatro è sempre una forma di denuncia, a prescindere dal modo in cui si tenti di rappresentarla. Oggi forse ha una valenza terapeutica maggiore di ieri: in un tempo in cui siamo costretti a correre, a portare a casa i risultati, ad essere sempre all’altezza della situazione, in un tempo in cui ci annoiamo facilmente e continuiamo a ‘swippare’ ciò che non cattura il nostro interesse, comprese le persone, le relazioni, il teatro ci offre una possibilità! Quella di fermarci, di respirare, di chiudere gli occhi, di sognare, di staccare tutto e dedicarci a qualcosa al di fuori da noi. Come un rito – perché questo è – come un prete che recita la messa per i fedeli che scelgono di andare in chiesa. Che il teatro sia sempre stato un luogo sacro non è un’idea condivisa rispetto ai periodi storici, ma io credo profondamente che lo sia. Ho scelto di essere il ‘prete’ però!”
Pertanto, in che modo i giovani si possono avvicinare/approcciare ai palcoscenici?
“Oltre a studiare – non mi stancherò mai di dirlo – sono fermamente convinto che i giovani debbano imparare a creare, a scrivere, a inventare. Devono abbandonare il peso del giudizio e lasciarsi andare. Io nel mio piccolo provo a dare loro, attraverso l’Accademia, la formazione necessaria, poi, utilizzando i miei contatti e la mia rete, provo a dare loro la possibilità di crescere e farsi conoscere.”
Che messaggio/consiglio si sente di divulgare ai suoi alunni e alle sue alunne e a chi desidera intraprendere la carriera del ballo o dell’attore?
“Vorrei trasmettere la speranza che il ‘lavoro dell’artista’ si può fare, diventa possibile se si percorre un sentiero passo dopo passo. Le scorciatoie possono aiutare, ma fare un salto troppo lungo ti può far trovare in luoghi sconosciuti dai quali sarà difficile trovare la strada di casa; e se ti perdi non sempre poi ti ritrovi. Bisogna avere pazienza e lasciare la possibilità al nostro corpo di metabolizzare: poi tutto torna e prende forma. Il sogno si trasforma in scelta. La formazione si trasforma in lavoro.”
Annalisa Civitelli
Ringraziamo Enrico Sortino per la sua disponibilità all’intervista. Ci auguriamo di vederlo presto sui palchi italiani e di conoscerlo presto di persona.