Ester Aquilino
“Molto spesso le donne che vengono qui non sanno di essere delle vittime; devono acquisire consapevolezza riguardo al problema, comprendendo che si tratta di un fenomeno culturale”
Siamo al secondo appuntamento con la rubrica ‘Rivoluzione donna’ in compagnia dell’Avvocata Ester Aquilino. Un altro incontro per parlare da donna a donna, con la speranza di arrivare a chiunque.
L’intento di ‘Rivoluzione donna‘ è – infatti- quello di confrontarsi per divulgare, educare, sensibilizzare, per attraversare quei confini culturalmente tracciati dalla nostra mente.
Oggi proviamo a fare un altro passo, toccando una questione di cui – fortunatamente – si sta iniziando a parlare sempre di più: la violenza di genere. Noi la tratteremo attraverso un’altra ottica: quella di chi opera nel settore.
Ester Aquilino: la storie delle donne
Siamo nel Centro Antiviolenza “GiuridicaMente Libera” dedicato a Martina Scialdone, una delle numerose donne uccise per mano di un uomo che non ha accettato la scelta di Scialdone di porre fine alla loro relazione tossica.
Sono qui, dentro questo luogo caldo ed accogliente con le pareti che, come un foglio di carta, raccontano storie di donne attraverso alcuni scatti. La luce filtra dalla finestra alle mie spalle mentre mi siedo e vengo accolta da Ester Aquilino con un sorriso che mi trasporta immediatamente in una dimensione priva di formalità facendomi sentire subito a mio agio.
Dopo una breve presentazione spingo il play del registratore e parto con le domande:
Ester Aquilino, tu sei l’Avvocata di questo centro dopo essere stata un’operatrice, giusto?
“Si, sono stata un’operatrice per anni proprio perché qui gravitano diverse figure, come la mia o quella della psicologa, ma a mio avviso una delle più importanti figure è proprio quella dell’operatrice.“
Di cosa si occupa precisamente l’operatrice di un centro antiviolenza?
“È una donna esperta – specializzata e formata – in grado di aiutare le vittime di violenza a fuoriuscire dalla loro situazione attraverso un percorso che prevede – prima di tutto – la presa di coscienza della stessa. Molto spesso le donne che vengono qui non sanno di essere delle vittime; devono acquisire consapevolezza riguardo al problema, comprendendo che si tratta di un fenomeno culturale. Per la maggior parte sono convinte che il loro abusante sia un uomo che sta male, quando non è assolutamente così; molte di loro credono di non poter compiere nessuna azione senza il consenso del marito: dal fare la spesa, al portare i bambini a scuola. Far prendere loro consapevolezza su questo aspetto è fondamentale, altrimenti è impossibile che riescano ad avviare una causa di separazione, a querelare.“
Quindi il vostro centro “Giudiricamente Libera” è prima di tutto un luogo informativo?
“I centri vengono spesso associati ad un CAF, come se si trattasse di un centro di servizi, ed è sbagliato. Prima di tutto questo è un luogo protetto, dove vige la riservatezza. Un’abusata ci si può recare per raccontare la propria storia; solo successivamente deciderà se sporgere denuncia o meno: non c’è nessun obbligo da parte nostra, altrimenti sarebbe come aiutarla ad uscire da un meccanismo per ritrovarsi poi nella medesima situazione.“
Immagino ci siano degli step da seguire
“Assolutamente! Noi consigliamo loro cosa fare dopo aver appreso la situazione in cui si trovano, ma è una scelta in cui non possiamo interferire, questo è il primo passo verso l’emancipazione. Chiaramente noi cerchiamo di capire insieme a loro il motivo per cui si è entrate in quel meccanismo.“
Che tipo di percorso si fa con l’operatrice?
“Diciamo che è legato ad un discorso antropologico, culturale, dove si porta a far riflettere. È un percorso che si svolge completamente alla pari: qui le vittime si sentono uguali alla donna che le sta aiutando, ed è importantissimo, perché il sentimento di vergogna che prevale, le porta a sentirsi stupide ed incapaci. Noi facciamo capire loro che la violenza di genere è trasversale e colpisce donne di qualsiasi cultura ed estrazione sociale. Quando capiscono che anche chi è molto emancipata può cadere in una relazione maltrattante e che non hanno colpa, iniziano ad assorbire e comprendere bene cosa stia accadendo.“
Immagino capiti spesso che una vittima inizi un percorso per poi tirarsi indietro. Come agite in quel caso?
“Accade molto spesso, purtroppo – in quella determinata circostanza – non possiamo fare nulla. Spesso ci sono casi che vengono definiti ‘false riappacificazioni’.“
Ester Aquilino: violenza di genere, la spirale
Ester mi fa vedere una raffigurazione appesa sulla parete accanto alla scrivania e mi spiega questo meccanismo mostrandomi la spirale raffigurata. Rimango stupita di come l’immagine riesca a rendere chiaro questo concetto. Continua dicendo:
“Quando mostriamo questo quadro e chi lo osserva capisce di essere ‘incastrata’ reagisce piangendo, tanto si ritrova in questa raffigurazione.“
E voi come gestite emotivamente tutto questo? Credo non sia affatto semplice
“Siamo tutte esaurite! Scherzi a parte, ci sosteniamo a vicenda, facciamo tante riunioni. Capita che alcune storie richiamino in noi qualcosa di difficile, come fosse una sorta di transfert al contrario. In qualche modo chi si dedica a questo mestiere ha ‘toccato’ il problema, ecco perché il confronto è fondamentale.“
Mentre l’intervista procede resto molto colpita dal modo di trattare l’argomento. Aquilino ne parla consapevolmente: non c’è rabbia, ma si percepisce tanta esperienza. Questo fa trasparire l’enorme capacità di chi si occupa della questione così da vicino.
È evidente inoltre la differenza tra la strumentalizzazione da parte dei media e l’onesta capacità di ascolto dettato dalla voglia – o dal sincero bisogno – di risolvere il problema.
So che vi occupate di donne straniere, di culture differenti…
“Sì, la zona ci porta ad avere intorno etnie differenti, soprattutto dal Bangladesh. A volte le vediamo passare qui davanti diverse volte prima di varcare la soglia di quella porta. Una volta superato il primo scoglio è evidente da subito quanto la questione sia ancora più radicata: parliamo di donne che vengono del tutto isolate dal gruppo una volta separate e – proprio perché lontane da casa – restano completamente sole.“
Negli ultimi anni si sta parlando molto del problema della violenza sulle donne. C’è un riscontro pratico?
“Parlarne fa bene, le persone devono essere sensibilizzate. Purtroppo, si corre il rischio che possa verificarsi l’effetto contrario: ognuno può arrivare a credere che si parli solo di questo argomento e che sia al centro di ogni dibattito, ma bisogna saperne parlare ponendo l’attenzione proprio sul linguaggio. Ecco perché definire il fenomeno come un’emergenza non è corretto; non parliamo – infatti – di calamità naturali, ma di un vero e proprio problema strutturale presente da secoli. Forse anche usare il termine patriarcato è una scelta errata, o meglio, arcaica. Probabilmente dal punto di vista sociologico/antropologico non andrebbe utilizzata: il patriarca è colui che si trova a capo della propria famiglia e decide per le figlie; per patriarcato si intende la posizione di vantaggio e superiorità dell’uomo rispetto alla donna. Parlare di maschilismo credo sia più corretto.“
Come cambiano invece i casi quando sono coinvolti anche i minori?
“Ancora oggi si fa difficoltà a distinguere la figura dell’uomo violento da quella del bravo genitore; questo comporta che gli venga dato l’affidamento condiviso. Quando una donna in questi casi sporge denuncia, è sottoposta a mille interrogativi che fanno leva sul senso di colpa, ponendo la centralità sulla scelta della vittima di aver intrapreso una relazione problematica, portandola a credere che sia stata la sua decisione ad essere il reale problema, per poi disporre l’attenzione – in un secondo momento – sulla cattiva decisione di lasciare i figli senza un padre. Questo gioco si chiama ‘ri-vittimizzazione secondaria’: ‘Te lo sei cercato e quindi la colpa è la tua‘. Perfino i magistrati si trovano in difficoltà: da una parte c’è la denuncia per maltrattamenti, dall’altra si cerca di tutelare i minori. Spesso tutto questo porta le donne a desistere dal presentare istanze più serie al civile, preferiscono la separazione consensuale pur di chiudere il rapporto e non andare avanti con la causa penale che ha tempistiche più lente, ed è del tutto comprensibile.“
Se dovessi chiederti qual è il vostro obiettivo, come mi risponderesti?
“Chiudere il centro antiviolenza. Non ce ne deve stare più nessuna al mondo.“
Siamo arrivate al termine dell’intervista e dopo esserci confrontate ed aver condiviso alcune esperienze, restano solo le ultime tre domande, il marchio di fabbrica di questo spazio.
Qual è stata per te una figura femminile importante?
“Le donne che lavorano qui: mi sento privilegiata a farne parte. Trovo che abbiano uno spessore particolare, non perché le altre non lo abbiano, ma questo luogo ti porta ad avere una struttura verbale, mentale, comportamentale che è veramente diversa. Mi sento sostenuta anche per quanto riguarda miei fatti personali. L’alleanza tra donne ha un potere enorme.“
L’opera di una donna che ha avuto un impatto, un’influenza nella tua vita
“Questa è difficile. Nell’immediatezza non ce l’ho, ma penso proprio siano i libri di Michela Murgia. Quando parlava rimanevo incantata. Recentemente ho visto una sua intervista in cui sottolineava come veniamo definite noi quando ci arrabbiamo, ossia isteriche, pazze. Quando accade ad un uomo no. È una cosa che mi sento ripetere spesso e bisognerebbe capire che non è una questione di emotività, che è un’altra cosa.“
Ora ti chiedo di inviare un messaggio, un augurio o un’esortazione a tutte le donne
“Di non vergognarsi, di fregarsene del senso di colpa, di aprire la porta ed entrare in un centro antiviolenza per cercare di superare la convinzione che le cose non si possano cambiare. Mi sento di dire – con un po’ di presunzione- che per denunciare serve l’aiuto di donne competenti che conoscano gli step da seguire. Inoltre c’è un grande sostegno amicale; nella maggior parte dei casi chi si reca in questo centro non ha amiche, noi le mettiamo in contatto con altre donne: fare rete è fondamentale.“
Con questa esortazione si conclude la seconda intervista di ‘Rivoluzione Donna’.
Saluto l’avvocata Ester Aquilino mentre penso alle donne la cui vita è migliorata grazie all’intervento di “Giuridicamente Libera”, all’enorme lavoro svolto ogni giorno e a quanto poco si conosca tutto ciò che ruota all’interno di questa macchina le cui braccia potrebbero arrivare ovunque, se solo venisse dato maggior sostegno.
Grazie ad Ester Aquilino, a “Giuridicamente Libera” e a tutte le operatrici italiane.
Silvia Bruni