Felicia Buonomo: “Giornalismo e poesia sono due forme di linguaggio differenti, eppure affini”
Abbiamo recensito la sua ultima raccolta di poesie, “Cara Catastrofe”, in cui la violenza viene descritta sotto le sue più svariate sfumature. Ci siamo incuriositi così a una personalità eclettica e versatile che riesce a coniugare il linguaggio giornalistico con la lirica attraverso una spiccata sensibilità e un’apertura verso l’altro.
La giovane giornalista e poetessa, Felicia Buonomo, da sempre amante della scrittura breve, si è laureata in “Economia internazionale” e ne ha fatto poi uno strumento per il suo lavoro, scrivendo di economia per la carta stampata.
Attualmente lavora in televisione e questo le permette di raccontare la società: la Buonomo ci rimanda, in questo modo, ciò che la anima di più. Punta l’attenzione sulle storie, approfondisce e si interroga sui fatti, avvicinandosi alla verità.
L’idea di un “giornalismo narrativo”, come preferisce definirlo, le dà l’opportunità dunque di sviluppare inchieste/reportage ad ampio raggio, verificando ogni volta se la notizia può essere approfondita e/o verificata. Immagini e scrittura sono gli elementi del suo mestiere: è per questo che la poesia è la forma letteraria che predilige. I versi lasciano immaginare come forse un po’ il giornalismo va interpretato secondo le sue differenti e insite chiavi di lettura.
Felicia Buonomo è inoltre convinta che nelle azioni risieda un pizzico di ingegnosità: le stesse “sono nulle in assenza di determinazione interiore“. Sarà per questo motivo che la “Street Poetry” la coinvolge molto per perseguire le sue battaglie con le parole, per una giustizia necessaria, perché la poesia stimola il pensiero.
Felicia Buonomo ci racconti un po’ di lei
“Raccontarsi è sempre un po’ difficile, svincolarsi da un freddo curriculum vitae che mette in evidenza percorsi e interessi, senza doversi spendere in prima persona. Ma ci proverò. Sono una giornalista, una professione che attraversa la mia esistenza a tutto campo. Il mio sguardo sul circostante non è differenziato tra la ‘me’ persona e la ‘me’ professionista nel campo giornalistico. Si è giornalisti sempre, quando si sceglie di esserlo. All’interno di questo mondo ho deciso di concentrarmi e dare spazio espressivo a quello che io definisco giornalismo narrativo, perché quello che mi interessa è raccontare storie, dopo esserci entrata e aver provato a comprenderle profondamente. Uguale spirito mi caratterizza, almeno nelle intenzioni, quando faccio poesia: tento di narrare, anche se utilizzando i versi, che trovo più vicini al mio gusto e alla mia formazione letteraria”.
Qual è stato il suo percorso di studi e in che modo è entrata poi in contatto con il giornalismo?
“Mi sono laureata in ‘Economia internazionale’. Ho dunque una formazione tecnica, ma in una branca che viene definita sociologia dell’economia, meno legata ai numeri (tipico dei percorsi affini, come quelli di Economia e commercio o simili). Appena laureata ho compreso che avrei voluto avvicinarmi alla realtà giornalistica per avere un ruolo nella narrazione della società. Ho iniziato come giornalista economica per la carta stampata. Successivamente mi sono avvicinata al giornalismo televisivo, che mi consente di intrecciare più linguaggi. E infine anche a quello di approfondimento/inchiesta, che mi permette di avvicinarmi al concetto di verità, uno dei motivi per cui ho scelto questa professione”.
Quando ha compreso che il giornalismo sarebbe diventato il suo mestiere?
“Immediatamente, appena iniziato. È stato un percorso naturale, ma ponderato nelle sue diverse fasi evolutive. Raccontare, farlo animata dalla ricerca della verità, era il mio desiderio; il giornalismo – per come lo intendo e tento di praticare io – mi consente di farlo, in modo naturale”.
La poesia, invece, come si è “intrufolata” nella sua vita?
“La poesia è da sempre la forma letteraria che ho praticato come lettrice. Amo la scrittura breve. E, di quella poetica, quella piccola dose di ermetismo che consente al lettore di posizionarsi in quegli anfratti che sente più confortevoli. Spazio di manovra che trovo, per quella che è la mia sensibilità, più complicato intravedere nella narrativa. Con il tempo ho compreso che, quella che da sempre definisco la mia “ansia espressiva”, si sarebbe potuta liberare anche nella scrittura poetica. E così ho iniziato questo percorso”.
Come riesce a conciliare le due forme di scrittura così diverse e opposte?
“Non lo trovo complicato. Sono abituata a intrecciare i linguaggi narrativi, lavorando come giornalista televisiva, che mi consente di coniugare la scrittura alle immagini, due forme di linguaggio differenti, eppure affini. Peraltro pratico la scrittura in versi e la scrittura giornalistica con la medesima sensibilità e apertura verso l’altro, che diventa il collante”.
A che punto della sua vita ha riconosciuto la passione per la scrittura?
“Forse tardi, rispetto all’affacciarsi dell’ansia espressiva di cui parlavo in una delle precedenti risposte. Prima di comprendere che avrei voluto e potuto, mi sono data il tempo di studiare. Per capire che scrivere non sarebbe stato in contrasto con il mio ruolo di appassionata lettrice. Entrambe le dimensioni hanno alla base lo studio, fonderle è diventato poi una necessità”.
Lei ha vinto dei Premi molto importanti: quanto tempo ha impiegato sui suoi Reportage/Inchieste?
“Ogni lavoro ha una sua gestazione, differente. Certo, la struttura di una reportage o inchiesta richiede tempi comunemente più estesi rispetto alla cronaca quotidiana. Generalmente il maggiore spazio di tempo lo dedico alla pre–produzione, dove studio il fenomeno che voglio indagare e organizzo la realizzazione vera e propria (che occupa il minor tempo) e alla post–produzione, dove il lavoro prendere forma e magari anche direzioni differenti rispetto a quelle inizialmente ipotizzate”.
Ci spiega la differenza tra un semplice articolo di cronaca e Reportage/Inchiesta?
“La cronaca, per sua definizione, cavalca il momento, l’attimo, e si caratterizza per un racconto il più distaccato possibile della realtà, che diventa oggettiva di per sé. Fare reportage o inchieste richiede mesi di studio e approfondimento, per verificare se un singolo fenomeno e/o notizia può essere dimostrato e verificato. E anche la scrittura cambia, specie nel reportage, diventa narrativo, scava, così come il giornalista ha fatto nella fase di pre–produzione”.
Lei è esperta di “Diritti Umani”: quanta strada ancora c’è da fare per conquistare leggi che riconoscano l’uguaglianza tra i popoli e soprattutto la parità tra uomo e donna?
“Spiace dirlo, ma la strada è ancora lunga e impervia. Sopratutto se si considera il gap geografico. Esistono zone del globo in cui alcuni diritti nemmeno vengono riconosciuti, non abitano la coscienza dei popoli. Lunga, anche se si considera che, invece, in paesi dove i diritti sono riconosciuti (anche giuridicamente), sono ancora ampiamente violati. Raccontare serve a questo, a mettere in luce zone d’ombra che esistono, perché non ci si dimentichi che bisogna proseguire ancora sulla strada dell’affermazione dei diritti”.
Quanto conta la giustizia per lei?
“È un concetto fondante. Che anima ogni mio lavoro e pensiero. Ho scelto di raccontare e informare, di dare voce a chi non ce l’ha, per dire – anche a me stessa – che la giustizia può e deve esserci, anche laddove viene negata”.
Lei è molto giovane: quali consigli può dare a chi desidera approcciarsi alla professione del giornalista?
“Pazienza e spirito di sacrificio, sono le due dimensioni imprescindibili se si vuole fare questo mestiere. Si deve essere disposti anche a rinunciare: agli agi, ad esempio, se si considera le paghe che governano l’attuale mondo dell’informazione; ai giorni liberi, non esistono festività di fronte alla necessità di informare; l’elenco potrebbe proseguire. E a queste due dimensioni aggiungerei anche – sembra scontato, ma non troppo – la tenacia; le azioni sono nulle in assenza di determinazione interiore”.
Infine, a proposito di poesia e in qualità di poetessa: cosa intende trasmettere con il movimento della “Street Poetry” e che valenza ha acquisito per lei tale attività?
“Attribuisco al movimento della ‘Street Poetry’ una valenza sociale, capace anche di far uscire la poesia dalle aule accademiche, avvicinando le persone alla parola e ai colori. Ho partecipato a diversi progetti di riqualificazione dei quartieri attraverso l’arte come ‘Fuoco Armato’, il mio progetto da street poet, in diverse parti d’Italia (Roma, Milano, Bologna e non solo) e si è sempre rivelato un modo intenso e aggregante di vivere l’arte e la socialità”.
Annalisa Civitelli