Gianluca Merolli: “Stranieri sono tutti quelli che ancora non ho avuto il piacere di conoscere”
Gianluca Merolli, abile regista teatrale e attore, introduce ‘Stranieri’, la pièce del celebre drammaturgo Antonio Tarantino, in scena al Piccolo Eliseo di Roma dall’1 al 3 novembre dopo essere già stata applauditissima la scorsa stagione al teatro Argot Studio, sempre nella capitale.
Giovanissimo ma con una carriera già ricca di esperienze alle spalle, Merolli si dedica da anni al teatro di alta qualità non tralasciando incursioni nel cinema, nella tv e persino nella radio.
‘Stranieri’ è un lavoro che ha senza dubbio condizionato il regista sia come uomo di teatro sia come persona e, dalle parole che lo stesso Merolli ha speso per questa intervista, si presuppone che lo spettacolo sia veramente una rappresentazione insolita e significativa, capace di arrivare con forza agli spettatori.
Quest’opera promette di essere unica nel suo genere anche grazie allo spessore umano che il regista confessa di aver conquistato durante la lavorazione e alla sintonia all’interno del cast che vede impegnati in scena il regista stesso con Francesco Biscione e Paola Sambo.
Gianluca Merolli racconta e si racconta manifestando un affascinante insieme di consapevolezza e umiltà, lasciando intendere come ‘Stranieri’ meriti necessariamente una visione.
Lo spettacolo di Antonio Tarantino è una storia che racconta di assenza: in quale modo la sua regia racconta questa condizione?
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Quale identità ha creato, in quanto attore, per il suo personaggio?
“Nel cast ci sono Francesco Biscione e Paola Sambo, due attori che amo molto, anche umanamente, perciò per me essere in scena ha rappresentato qualcosa in più che non soltanto recitare. Tarantino ha raccontato l’assenza ispirandosi al suo filosofo preferito, Heidegger, e fa di questo figlio, il mio personaggio, uno studioso di filosofia che aveva scritto una tesi su ‘Essere e tempo’, l’opera principale di Heidegger stesso, perciò il figlio il compito di educare questi genitori piuttosto gretti al pensiero alto e di conseguenza filosofa lungo tutta l’azione. E forse questa è la caratteristica più complessa del mio personaggio ma anche quella più coraggiosa e fuori dal tempo”.
Questo lavoro si intitola “Stranieri”: chi sono per lei gli stranieri?
“Parafrasando Tarantino stesso, potrei dire che sono stranieri proprio quelli che conosco meglio in quanto più stratificati: più è approfondita la conoscenza e maggiori sono le zone d’ombra. Potrei aggiungere che per me stranieri sono tutti quelli che ancora non ho avuto il piacere di conoscere”.
Come avete collaborato lei e l’autore per definire i contorni dello spettacolo?
“In realtà non abbiamo collaborato personalmente, io ho cercato di avvicinarmi il più possibile alla lingua di Tarantino che è una lingua alta, mai convenzionale. Il testo è diviso in dieci scene e di queste le prime nove sono sempre alternate in un dentro e un fuori: il dentro è scritto in versi e il fuori in prosa, quindi ho iniziato a lavorare su questa dicotomia e ho capito che nella prosa c’era un respiro di vita ormai finita, una necessità di parlarsi, tra madre e figlio, per farsi compagnia, mentre nei versi pronunciati dal padre c’era ancora un tentativo di spingere le ultime marce, per darsi forza, per stare ancora in vita: ho insistito su queste due direzioni. Ho cercato di seguire lo spirito di Tarantino lavorando su questa sua ansia di ragionare prima sulle piccole cose del quotidiano e poi sui massimi sistemi della filosofia, cercando l’Alto dentro il Basso e viceversa”.
Quale arricchimento le ha lasciato curare questa regia?
“Questa è la mia sesta regia ma è forse il primo spettacolo in cui ho la sensazione di aver centrato il punto ed essere arrivato al pubblico ad ampio raggio. La cosa più importante che mi ha insegnato Tarantino è che non bisogna mai strizzare l’occhio, ma prendere delle decisioni e portarle fino in fondo perché il coraggio di quelle scelte in qualche modo ripaga: ecco, Tarantino e questo lavoro mi hanno insegnato ad avere coraggio”.
Lo spettacolo sta per debuttare al Piccolo Eliseo di Roma, a quali progetti si dedicherà in seguito?
“‘Stranieri’ sarà in scena anche dal 10 al 15 marzo al teatro Piccolo Bellini di Napoli, in seguito curerò una regia per Radio Rai Tre, il 29 novembre: si tratta di un testo di Bernard-Marie Koltès che si intitola “Lotta di negro e cani” che spero di mettere in scena anche in teatro; dopodiché lavorerò a un progetto con Giuliano Peparini sulla ‘Lucrezia Borgia’ di Victor Hugo che mi vedrà nel ruolo di attore e adattatore del testo, sebbene lo spettacolo sia principalmente un balletto con protagonista Eleonora Abbagnato. Inoltre ho appena finito di girare un film che si intitola “Karim” per la regia di Federico Alotto, una produzione Lime in collaborazione con Rai Cinema”.
Gabriele Amoroso