Gioia Avvantaggiato: “La crisi venezuelana è economica ma ha anche risvolti umanitari”
Abbiamo incontrato Gioia Avvantaggiato, produttrice di ‘Venezuela, la maledizione del petrolio’, un documentario diretto da Emiliano Sacchetti.
Il lavoro è andato in onda su History Channel lo scorso 30 marzo permettendo di acquisire un’importante quantità di informazioni in merito alla terrificante crisi che sta martoriando il paese sudamericano.
Il racconto di Gioia Avvantaggiato e Emiliano Sacchetti ha portato alla realizzazione di un’opera priva di pregiudizi che diventa una lezione di geopolitica e di storia, sottolineando come eventi così critici siano una circostanza che torna ciclicamente a tormentare gli uomini nelle più disparate zone del mondo.
Attraverso degli interessanti parallelismi con altri paesi che attualmente vivono momenti di gravissima crisi, come la Siria e l’Ucraina, ‘Venezuela, la maledizione del petrolio’ non sembra, con estrema onestà, voler dare spazio a improbabili ottimismi, anzi, rimarca con lucidità come sia la gente comune a subire, come sempre, i danni e le privazioni peggiori.
Gioia Avvantaggiato, “Venezuela, la maledizione del petrolio” ha un classico taglio giornalistico che arriva dritto all’obiettivo senza aggiungere punti di vista esterni, tuttavia qual è la cifra narrativa che ha privilegiato per informare il pubblico nel miglior modo possibile?
“Lascio rispondere il regista Emiliano Sacchetti perché la scelta della cifra narrativa è una sua prerogativa: “La forma è quella del reportage, con contributi istituzionali e storie di vita, materiali di archivio e girato originale (Bogotà, Caracas ed il confine tra Venezuela e Colombia). L’obiettivo è quello di fornire un quadro dettagliato ed imparziale della crisi venezuelana, sottolineando come ad una serie di errori, gravi, commessi da Maduro, corrispondano precise responsabilità ed interessi internazionali. Un reportage geopolitico, che non si limita a raccontare il conflitto in atto nella sua dimensione ‘locale’, ma che chiama in causa le scelte di politica estera ed economica delle grandi potenze”. È importante per me, per tutti i documentari che produco, poter offrire al pubblico un’occasione di approfondimento di una tematica ma senza pregiudizi di partenza. Fornire quindi tutti gli elementi affinché sia lo spettatore stesso a trarre per conto proprio una conclusione”.
Il Venezuela, così come viene raccontato nel documentario, sta attraversando un periodo di crisi secondo soltanto a quello della Siria: per quale motivo, secondo lei, il paese del Medioriente esercita sull’opinione pubblica un’emozione molto più violenta rispetto al Venezuela stesso?
“Anche qui, rispondo a quattro mani con Emiliano, che conosce molto bene tutte le aree calde del Medio Oriente e dell’Africa per averci lavorato in occasione di suoi precedenti documentari. Innanzitutto, per la prossimità geografica e la pressione che il flusso degli oltre undici milioni di rifugiati siriani ha applicato nel corso dei dieci anni di conflitto all’Europa. La crisi venezuelana è di tipo economico, il che non significa che non abbia risvolti umanitari, ma insiste in un quadrante geopolitico percepito come distante dall’opinione pubblica del vecchio continente. L’Europa deve attualmente misurarsi con tre aree di crisi: il Medio Oriente con la Siria, il Nord Africa con la Libia e l’est Europa con l’Ucraina. Non è un caso quindi che Venezuela, ma anche Birmania e Yemen – solo per fare due esempi –, occupino un posto più defilato nell’agenda mediatica nostrana”.
All’interno del documentario sono presenti, come è giusto che sia, numerosi cenni storici che aiutano a capire meglio la vita di quel paese: la storia è una fondamentale materia di studio, qual è il suo punto di vista sulla storia in quanto tale?
“La storia è fondamentale. Tutte le crisi nascono e si sviluppano all’interno di contesti socioeconomici, politici e culturali ben precisi che ciclicamente – dopo periodi di relativa calma – si ripresentano come caldi e a rischio. La storia si ripete, insomma, ma non sembra che le sue lezioni vengano tenute nella dovuta considerazione”.
Come è riuscita ad entrare in contatto con le personalità che ha intervistato e che tipo di disponibilità le hanno concesso?
“Il lavoro di redazione preliminare alla realizzazione di qualunque documentario è fondamentale, così come lo è la scelta della squadra. Anche in questo caso il gruppo di lavoro aveva in sé capacità, credibilità, competenze e contatti che hanno sicuramente aiutato ad analizzare e selezionare le interviste necessarie. Non è stato difficile avere la disponibilità degli intervistati, sicuramente meno difficile che non organizzare le riprese e la logistica in Colombia e in Venezuela in quel periodo”.
Quante volte ha visitato il Venezuela?
“Io mai, anche se una parte della mia famiglia ha vissuto e lavorato in Venezuela per molti anni nel periodo pre–Chavez. Il regista, una volta negli anni ’90, e poi la scorsa estate, per le riprese del documentario”.
In seguito alle informazioni che ha acquisito qual è la sua previsione sul futuro del Venezuela sia a breve sia a lungo termine?
Emiliano Sacchetti: “Dopo un periodo di stallo, in cui l’opposizione non è riuscita ad ottenere il sostegno necessario per andare alle elezioni, la crisi in Venezuela si è nuovamente acuita con la decisione di Trump di mettere una taglia sulla testa di Maduro, ritenuto il capo di un potente cartello di narcos. Ritornando all’importanza della storia, questa situazione mi ricorda l’invasione americana di Panama del 1989, motivata da accuse di narcotraffico nei confronti del dittatore Noriega, ex agente della CIA considerato ormai scomodo. Non credo che a breve vedremo i marines a Caracas, però è difficile non notare le similitudini. In un momento in cui la pandemia sta mettendo a serio rischio economie ben più forti di quella venezuelana, poi, l’inasprimento delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti non fa che aggravare la situazione del paese, colpendolo ancora una volta nella sua parte più fragile: la popolazione”.
C’è un altro tema geopolitico sul quale vorrebbe lavorare nel prossimo futuro?
“Stavo lavorando con Emiliano Sacchetti e Piero Messina alla preparazione di un documentario sulla Libia a dieci anni dalla caduta di Gheddafi; pochi giorni prima di partire per Bengasi, la dichiarazione di pandemia ha bloccato tutto. Stiamo continuando a monitorare l’evolversi della crisi e compatibilmente con le limitazioni imposte dall’emergenza Covid–19 il lavoro va avanti. La speranza è che a settembre si possa finalmente partire con le riprese sul campo. Nel frattempo, la nostra splendida redazione sta lavorando per assicurarsi le interviste migliori e più esclusive”.
Gabriele Amoroso