Giovanni Arezzo:
“Il mio personaggio in ‘Hungry Birds’ è un ultimo tra gli ultimi”
Giovanni Arezzo, giovane e dotatissimo attore siciliano, volto noto a Brainstorming Culturale, ha raccontato in questa interessante intervista diversi aspetti di se stesso e del proprio mestiere.
Interprete eclettico, diviso tra teatro e cinema, il bravo Giovanni sta costruendo la propria carriera attraverso una serie di lavori di ottima qualità che consolidano il suo talento sempre di più.
A margine del toccante cortometraggio ‘Hungry Birds’, diretto da Raffaele Romano e interpretato dallo stesso Giovanni, l’attore si lascia andare a dichiarazioni che vanno al di là della sua professione e mostrano un uomo profondo e colto.
Costretto come tutti all’immobilità dai decreti indirizzati al contenimento del contagio da coronavirus, Giovanni Arezzo racconta come sfrutta il suo tempo libero e sottolinea l’importanza dello studio costante.
Giovanni Arezzo, l’abbiamo appena visto impegnato nell’emozionante cortometraggio “Hungry Birds”, cosa può raccontarci della genesi di questo lavoro?
“La genesi di questo film risale a luglio del 2018, quando da Londra ho ricevuto una telefonata di Raffaele Romano, giovane regista ragusano, come me, che mi ha parlato di questo progetto e del coinvolgimento nello stesso di Dominic Chianese. Appena ho ripreso i sensi, ho subito accettato con un entusiasmo infinito!“.
Il protagonista del cortometraggio è un senzatetto interpretato da lei: mettersi nei panni di un uomo così sfortunato ha comportato per lei conferme o smentite in merito a questo disagio sociale?
“Sono cresciuto ascoltando De Andrè e sentendogli raccontare gli ultimi con una poesia che per me rimane ancora insuperabile. Quando ho saputo di dover interpretare questo homeless, ultimo tra gli ultimi, ho cominciato a pensare a tutte le possibili cause che possono comportare una scelta così estrema e, una volta arrivato a Londra, nei giorni precedenti al set, ho avuto modo di osservare da vicino tantissimi clochard. Ho avuto modo di confrontarmi con alcuni di loro e ho cercato con la mia interpretazione di essere il più onesto possibile, e di dare al mio personaggio tutta l’umanità di cui ero capace“.
La “disumanità” è il tema centrale di “Hungry Birds”: lo ritiene attuale?
“Penso sia attualissimo, ora più che mai. Colgo l’occasione per fare una riflessione: questo film è stato donato al pubblico in un momento molto delicato per tutto il mondo, un momento destinato a entrare nella storia come uno dei più tragici dal secondo dopoguerra. Quello che ho notato maggiormente, e che mi ha stupito, è stato vedere una grandissima umanità e altrettanta empatia da parte di chi ha fruito del film. Forse questa stasi forzata ci aiuterà a rivalutare le nostre priorità, mettendoci di fronte al fatto che noi uomini siamo tutti uguali e abbiamo bisogno di essere tutti complici e tutti uniti. So che questo pensiero profuma (o puzza?) di utopia, però credo che sia un segnale che può farci ben sperare per il futuro“.
Abbiamo avuto il piacere di vederla a teatro a Roma, lo scorso dicembre, nel bellissimo “Mein Kampf Kabarett”: quali ricordi ha di quella esperienza?
“Interpretare Hitler nello splendido ‘Mein Kampf Kabarett’ di George Tabori è stata una sfida enorme, tra le più grandi che ho affrontato nella mia carriera. Interpretare un personaggio realmente esistito, per di più talmente noto, che è chiarissimo nell’immaginario di chiunque, è sempre rischioso. Mi sono affidato alla sapiente regia di Nicola Alberto Orofino e ne è venuto fuori un personaggio al quale mi sono molto affezionato. C’è da dire che il mio Hitler altro non era che un giovane e ambizioso pittore, non abbastanza supportato dal suo (non) talento, per cui non ho messo in scena il mostro che tutti conosciamo, ma un mostro ‘in potenza’ al quale mi sono preso la responsabilità di dare anche fragilità e mancanze“.
Il suo mestiere si divide tra teatro e cinema: quali differenze riscontra tra le due arti e quale predilige?
“Ho fatto molto molto molto più teatro che cinema, quindi il mondo della sacre tavole lo conosco decisamente meglio di quello della macchina da presa. Mi affascinano, terribilmente, entrambi. Ho tanta voglia di far sì che la mia esperienza davanti alla macchina da presa possa crescere ogni giorno di più, ma se dovessi scegliere a cosa non rinunciare per il resto della mia vita, non avrei nessun dubbio e opterei per il teatro“.
Lei è senza dubbio un attore molto dotato e capace di farsi ricordare: qual è stata la sua formazione?
“Grazie intanto per queste bellissime parole. La mia formazione nasce da piccolissimo, come spettatore: mio padre è un grande appassionato di teatro, e mi ha sempre portato con lui in giro per la Sicilia a vedere gli spettacoli, fin da bambino. Per cui ho esordito giovanissimo come spettatore onnivoro, e annovero questo periodo tra quelli della mia formazione perché è qui che si è acceso qualcosa dentro di me. Cresciuto, ho cominciato a fare teatro di strada, e a partecipare ai laboratori scolastici del mio Liceo. Ma è con l’ammissione nel 2003 all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico che è cominciato il mio periodo di studio, che non finirà mai“.
Siamo in piena emergenza Coronavirus e tutti i lavoratori dello spettacolo sono senza un’occupazione: lei come sta trascorrendo le sue giornate?
“Con difficoltà. Cerco di tenermi impegnato come posso: scrivo, leggo, canto, suono, ogni tanto registro qualche piccolo video con il mio cellulare e lo do in pasto alla rete. Sto inoltre partecipando a un corso online di drammaturgia. Insomma, dato che devo stare fisicamente fermo cerco di far muovere cervello e idee“.
Augurandoci che questo momento passi il prima possibile, in quali progetti sarà impegnato in futuro?
“Devo innanzitutto recuperare appena possibile le repliche degli spettacoli che mi sono saltati a causa dei vari decreti di questi ultimi giorni. E poi ho belle novità sia per la stagione teatrale estiva che per la stagione 2020 / 2021. Cose molto belle e importanti su cui però devo tacere!“
Gabriele Amoroso