Giulia Soi: “I canali di comunicazione non devono combattere tra loro ma dialogare”
Abbiamo incontrato Giulia Soi, autrice televisiva romana e scrittrice: il suo primo romanzo “Glitch – Figli di un Dio confuso”, dato alle stampe un anno fa, ha avuto un discreto successo di pubblico e critica: www.brainstormingculturale.it/gitch-figli-di-un-dio-confuso/
Ideatrice di diversi progetti per la tv e il web, nei mesi scorsi Giulia ha indetto la prima edizione di “Fèrmate”, un contest letterario aperto a chiunque voglia divulgare le proprie avventure quotidiane alle prese con i mezzi di trasporto pubblico romani.
L’idea è nata dall’esperienza di Giulia che, da abituale utente di quei mezzi, cura da anni la pagina online “Giulia sotto la metro”, una raccolta di racconti ambientati sotto il suolo di Roma.
Giulia ci racconta anche che il suo legame con la TV non si limita alla scrittura ma anche, ovviamente, alla visione: sono le serie TV a interessare maggiormente l’autrice la quale ci confida che, prima o poi, potrebbe anche firmarne una.
In questo incontro Giulia spende parole ottimistiche sullo stato della cultura in Italia, parole che non possono che rincuorare e alle quali si deve necessariamente dare ascolto.
E inoltre, per chi fosse incuriosito dal contest “Férmate 2020”, il termine per sottoporre i propri scritti scade il prossimo 7 dicembre.
Giulia Soi, come nasce e da dove prende spunto la sua ultima idea, il contest “Fèrmate 2020”?
“Ormai da cinque anni, con il mio progetto ‘Giulia sotto la metro’ racconto su Facebook le tragicomiche disavventure quotidiane dei passeggeri dei mezzi pubblici romani. E molto spesso lo faccio anche con il loro aiuto, grazie agli aneddoti e alle segnalazioni che mi inviano e che puntualmente pubblico ringraziandoli. L’anno scorso, ho deciso di fare qualcosa che coinvolgesse ulteriormente il mio pubblico, che stimolasse i miei lettori a fare ciò in cui sono già bravissimi: raccontare la romanità sotterranea alle prese con le proprie (dis)avventure quotidiane. E così è nato ‘Férmate’, il concorso letterario per viaggiatori metropolitani sull’orlo di una crisi di nervi”.
In cosa consiste esattamente?
“Si tratta di un concorso gratuito, aperto a tutti e riservato a opere inedite. L’obiettivo è quello di dare la possibilità ai pendolari di sdrammatizzare attraverso la scrittura le loro grandi e piccole odissee quotidiane, di ricercare soluzioni creative per i problemi del trasporto pubblico e di prendere le distanze dal turpiloquio lamentoso e fine a se stesso. Quest’anno, naturalmente, il tema è ‘la metro del Covid’. I partecipanti avranno tempo fino al sette dicembre per raccontare in maniera ironica e costruttiva un proprio viaggio sui mezzi avvenuto dall’inizio del lockdown a oggi. Gli interessati possono trovare tutti i dettagli a questo link: https://giulia.sottolametro.it/2020/10/23/fermate-2020-la-metro-del-covid/”
Lei ha ideato due progetti: “Giulia sotto la metro” e “#Siamoserie”. Cosa stimola la sua creatività?
“In entrambi i casi, l’idea di partenza è arrivata dalla mia quotidianità. ‘Giulia sotto la metro’ è nato da alcuni sfoghi estemporanei scritti sul mio profilo Facebook personale, per condividere con i miei amici lo stupore per certe situazioni assurde in cui ero incappata prendendo la metro per andare a lavorare. Con il passare dei giorni, ho visto che ciò che scrivevo riscuoteva un certo interesse e soprattutto aiutava gli altri a sdrammatizzare ciò che anche loro si trovavano a vivere in prima persona. Così, ho pensato che dare vita a un progetto organico su Facebook potesse essere un buon modo per aggregare una comunità di passeggeri che, come me, avessero voglia di condividere con ironia e spirito costruttivo le proprie testimonianze di pendolari capitolini. Gli ormai quasi 10.000 lettori a cui propongo quotidianamente i miei contenuti sembrano dimostrare che avevo ragione. A far nascere ‘#siamoserie’, parallelamente, è stata la mia innegabile natura di amante patologica delle serie TV. Volevo creare uno spazio dove poter consigliare novità, commentare episodi, scambiare opinioni, confrontarsi su dubbi e interpretazioni. E, anche se in forma più intermittente, anche questo progetto va avanti da cinque anni: sotto forma di live Facebook, di video su Youtube, di game show o di articoli di giornale, non ho ancora smesso di parlare di serie TV e – vi svelo un segreto – a essere sinceri dubito che lo farò mai!”
Lei è giornalista pubblicista, autrice per la televisione e scrittrice: qual è stato il percorso che l’ha condotta a fare ciò che fa oggi?
“Quando mi chiedono quale mestiere faccia, rispondo sempre: ‘Io scrivo’. Perché, in fondo, è ciò che ho sempre fatto, che ho sempre voluto fare e su cui ho imperniato tutto il mio percorso formativo. Ho frequentato il liceo classico, mi sono laureata alla facoltà di ‘Scienze della Comunicazione’, ho frequentato un master presso la ‘Scuola di Televisione’ di Mediaset e – mentre iniziavo a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo romano – ho iniziato la collaborazione con alcune testate giornalistiche che mi ha permesso di ottenere il tesserino da giornalista pubblicista. Il risultato è che che scrivo per la TV ormai da quindici anni, scrivo su alcuni giornali di serie televisive da circa due, nel 2019 ho scritto il mio primo romanzo e ogni volta che posso scrivo sui miei spazi social ‘Giulia sotto la metro’, ‘#siamoserie’ e il profilo Instagram ‘@giuliasoi’. Non posso che ritenermi soddisfatta e felice”.
Da autrice televisiva quali sono, secondo lei, gli elementi che rendono un prodotto televisivo un prodotto di successo?
“Rispondere a questa domanda equivale quasi a dover elencare gli ingredienti di una pozione magica, o le varie fasi di un incantesimo difficilissimo di cui non si può mai prevedere l’esito finale. È sempre una grande scommessa, ma non per questo non vale la pena di tentare. Bisogna pensare alle caratteristiche dell’emittente che trasmette il programma, alle tipologie di audience a cui ci si rivolge e alle piattaforme su cui ci si appoggia, così come bisogna tener conto delle esigenze del pubblico a seconda delle fasce di età che lo caratterizzano. Bisogna saper azzeccare il talent giusto, i tempi e la modalità di narrazione più adeguata e curare i dettagli in maniera lungimirante. I vincoli da tenere presenti sono molti; allo stesso tempo, però, non vanno mai considerati come un limite assoluto. Anzi, a volte sono proprio quei vincoli a stimolare la nascita di idee nuove e diverse”.
Quali sono i progetti televisivi ai quali ha lavorato e di cui è più fiera?
“Ne scelgo tre per tre motivi diversi: ‘Sconosciuti’, longevo programma di Rai3 che non solo mi ha permesso di ascoltare e raccontare tante storie interessanti, ma che per me ha costituito un banco di prova determinante e che mi ha insegnato moltissimo sui segreti dello storytelling; ‘Prima dell’alba’, il viaggio alla scoperta del mondo della notte che Salvo Sottile ha compiuto tra il 2018 e il 2019 sempre su Rai3, che più di qualsiasi altro programma mi ha permesso di scrivere, raccontare e usare la musica in montaggio nel modo a me più congeniale; ‘Boing Challenge’, game show per ragazzi andato in onda recentemente su Boing, che mi ha visto come unica autrice e mi ha permesso di lavorare con Tommaso Cassissa, talento giovane ma molto promettente con cui ho fatto un ottimo lavoro e che spero di ritrovare presto per un nuovo programma”.
Il programma “Prima dell’alba” dunque le ha dato modo di lavorare in libertà: come è stato confrontarsi con Salvo Sottile e quanto è stato decisivo il ruolo delle musiche all’interno del programma?
“Ogni volta che si ha modo di confrontarsi con un conduttore di peso c’è sempre l’occasione di imparare. Nel caso di Salvo, sono rimasta impressionata dalla sua capacità di immergersi rapidamente nelle vite delle persone e dal grande rispetto che ha sempre dimostrato nei confronti del nostro di lavoro di montaggio. Nello specifico, la scelta delle musiche – che è sempre determinante – era uno degli aspetti più stimolanti, perché ci dava la possibilità di sottolineare e raccontare ulteriormente il mondo della notte attraverso l’uso di classici del rock degli anni ’60 e ’70. Ed era sempre divertente trovare il brano giusto, quello che tramite il testo, il sound e l’atmosfera musicale rendeva ancora più completa la scena su cui veniva montato”.
Lei è un’appassionata di serie TV: ha mai pensato, date le sue qualità di scrittrice, di realizzare il soggetto di una serie originale firmata da lei?
“Definirmi appassionata di serie TV è riduttivo. Proprio per questo, tuttavia, nonostante abbia studiato sceneggiatura, ho acquisito una discreta competenza in materia e avuto più di qualche idea in proposito, non saprei rinunciare al mio ruolo di spettatrice e commentatrice social. Non posso escludere che prima o poi accadrà, ma per il momento mi va benissimo così”.
Quale è la sua serie preferita in assoluto?
“In generale, tutte quelle scritte da Aaron Sorkin, per la cui scrittura ho una forma di devozione totalizzante sia verso i prodotti di lunga serialità, sia per quelli cinematografici. Nello specifico, scelgo ‘The newsroom’, una serie in tre stagioni andata in onda ormai diversi anni fa che racconta la vita quotidiana nella redazione di un telegiornale in maniera romantica, spesso epica, a volte irreale, ma con una forma di amore che è incredibilmente simile a quello che provo io nei confronti del mio lavoro”.
Lo scorso anno è stato pubblicato il suo primo romanzo, “Glitch – Figli di un Dio confuso”: che riscontro ha avuto?
“Dal mio punto di vista, sono molto soddisfatta. Considero ‘Glitch’ una specie di inno alla vita, al passaggio delle linee d’ombra, alle scelte e alla libertà di sbagliare, all’importanza vitale che hanno le conseguenze di ogni nostra azione. Ho cercato di filtrare il mio punto di vista al riguardo attraverso le vicende di Maia, Sebastian e Alex – trentenni cresciuti insieme che, tra alti e bassi, portano avanti il loro particolarissimo rapporto – e di Mattia, un ragazzino che entra nelle loro vite e con la freschezza tipica degli adolescenti li aiuta risolvere quei contrasti che vanno avanti da quando (per l’appunto) erano ragazzi anche loro. E per essere un’opera prima, edita da una piccola casa editrice su un mercato complesso come quello italiano, ha portato a risultati anche maggiori di quelli che mi ero concessa di sognare”.
Tornando a “Fèrmate 2020”, quali sono le sue aspettative in merito? Si augura che ci saranno altre edizioni?
“La prima edizione è andata molto bene, tanto da spingermi a indirne una seconda. Al momento sto ancora ricevendo i racconti dei lettori che, dal 7 dicembre in poi, esaminerò insieme ai colleghi scrittori Luca Poldelmengo e Laura Pusceddu. Mi rendo conto che lo stato attuale rende difficile il processo creativo, ma i miei lettori non mi stanno deludendo e, se il riscontro sarà buono come l’anno scorso e se la realtà continuerà a fornirci spunti interessanti, tra un anno valuteremo se proseguire l’avventura. Cosa che naturalmente mi auguro di cuore”.
Da “addetta ai lavori” come descriverebbe lo stato attuale della cultura in Italia?
“Tribolato, ma combattivo. Confuso, ma vivo. In fase di transizione, ma pieno di buona volontà. La mia speranza è che i vari canali di comunicazione e le varie forme di prodotto culturale non si combattano tra loro, ma trovino il modo di dialogare e fondersi in una maniera costruttiva, che favorisca lo sviluppo dei loro aspetti migliori e che consenta l’abbandono di retaggi e zavorre ormai fuori tempo massimo”.
E in merito al giornalismo: quali consigli darebbe a un giovane alle prime armi?
“Premetto che non mi sento qualificata a dare consigli su un modo che frequento da ospite occasionale. Credo, però, che proporrei gli stessi tre suggerimenti che propongo ai ragazzi che vogliono intraprendere il percorso televisivo: siate sempre pronti a imparare, credete il più possibile nelle vostre idee e siate pronti a non arrendetevi mai. Per nessuna ragione. Non è mica facile, questo lo so, ma io continuo a seguire queste linee da quando ho iniziato e per il momento troppo male non mi è andata!”
Gabriele Amoroso